Vademecum

Crocifisso

VADEMECUM

Al lettore

 

          Dopo dieci anni, l´opuscolo BENABE, che si è dato da fare ed é cresciuto "in umanità e saggezza", facendo contente tante persone, ha lasciato il posto al VADEMECUM, come un "lasciapassare  e un salvacondotto", per ricordare che, finché siamo su questa terra, per mantenerci cristiani viventi, dobbiamo stare sempre più vicino al Cristo "senza braccia", bene presentato nell'ultimo numero, il 72.

 

          Ora il VADEMECUM é nel Sito alla portata di tutti. Cerchiamo di approfondirlo poco per volta, gustandolo nella nostra vita ...

 

          Buona lettura e grazie ad ogni lettore

 

L'Ex

 

L´angolo del SILENZIO

 

          Che qui, dai Cappuccini di Savona, ci sia un´esposizione assortita di piante grasse, la voce si é sparsa da tanto tempo ... Tutti sanno pure che qui da tempo ha il suo laboratorio in ceramica l'artista GIAN GENTA, che l'anno scorso ha partecipato alla Biennale di Venezia, invitato dall'amico Vittorio Sgarbi, supervisore degli artisti italiani.

 

         A lui l'Ex ha chiesto di fare un´opera in ceramica raffigurante Cristo sofferente sulla Croce. Ora il capolavoro é stato inaugurato in data 12 Maggio 2013, alla presenza di tanta gente, fra cui numerosi artisti.

 

          La scultura rappresenta un "torso d'uomo senza braccia" ... quanto mai "parlante" per chi vuole ascoltare la sua voce.  L'Autore stesso ne presenta le motivazioni: 

 

Il Crocifisso senza braccia, perché ogni volta che usciremo dal convento ci dovremo ricordare che Cristo ha bisogno delle nostre braccia per fare quello che abbiamo ascoltato nella sua Parola.

 

Il Crocifisso senza braccia, perché è l'icona perfetta della nostra impotenza, del "grado zero" dell'esistenza, che diciamo nostra perché ad essa apparteniamo.

 

Il Crocifisso senza braccia, perché ci ricordi che siamo noi le braccia di Dio nel mondo.

 

 Il Crocifisso senza braccia, perché non sono le braccia che lo tengono legato alla Croce, ma l´amore donato e sofferto per noi. 

 

          Davanti a Gesù, in questa estrema posizione e situazione, non sapevo di essere così importante per LUI, tanto da poter affermare in tutta sicurezza: finalmente ecco uno che mi capisce ... e  mi assomiglia! 

 

         Penso che si debba andare vicino al Crocifisso in silenzio, con il cuore da bambini ... da abbandonati ... da pezzenti  ... da persone "senza appoggio" … da falliti ...

 

          E tu che ti avvicini a Lui, non darti alcuna ragione né alcuna scusa, perché non ne hai! GuardaLo attentamente: non ha nulla di bello né di attraente ... Sembra che ti sussurri: "In quel Venerdì Santo anche tu eri tra i miei crocifissori, anche tu mi hai spinto, schiaffeggiato ... rotto la mandibola della mia bocca! So bene chi sei ... taci per favore ... Adesso impara ad accettarmi così  come sono, anche se ti viene voglia di fuggire,  perché ti faccio pena ... Tu fai ribrezzo più di me con le tue malefatte e combine ... però io ho accettato di pagare a nome tuo e di farti "nuovo".

 

         Alle 2 di notte, riflettendo sul Crocifisso senza braccia, ho pensato: "E´ brutto. Non ha una forma presentabile ... Ha gli occhi socchiusi". Mi sembrava però che Lui mi dicesse: "Mi sono ridotto così per darti "forma". Mi sono fatto cieco perché tu veda; mi sono sbilanciato, perché tu ritrovassi la dovuta sicurezza. Mi sono ridotto ad uno straccio, per darti un bel vestito ... Scusami se non ti guardo bene negli occhi, essendo tumefatti … Ho perduto tutto per te!  Non ho niente di bello né di amabile, sono diventato un nulla, quasi insensato! Proprio e solo per te!  

 

         Ma non mi sono dimenticato di te, delle tue incomprensioni, fallimenti e sofferenze!  Adesso, cerca di cogliere questa opportunità.   Basta che tu, nel tuo intimo mi dica "voglio ricominciare!" e Io ti risponderò: non ne parliamo più, perché il passato é passato. Ora cambia "vestito" e mostra a tutti che sei "nuovo". Allora, solo allora ti dirò: "Grazie!", e sarò tanto felice di averti dato la felicità con la mia passione e morte! 

 

          Accettami però così come sono: tale e quale ho accettato te così come sei!

 

          Sapessi quanto ti capisco! Proprio quando gli altri non ti capiscono.

 

          Mi sono fatto te perché infine tu diventassi Me. 

 

Dimmi di sì, per favore ... e grazie del tuo silenzio!".

 

L´Ex

 


Documenti allegati

 Vademecum pg 1-4
 Vademecum pg 5-8
 Vademecum pg 9-12
 Vademecum pg 13-16
 Vademecum pg 17-20
 Vademecum pg 21-24

 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale - Piazza San Pietro Mercoledì, 10 Settembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 6. La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e grazie per la vostra presenza, una bella testimonianza!

Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce. I Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna.

Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia (cfr Mc 15,33.38). È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore.

Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità.

Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza.

Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto.

Gridare diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.

Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema. Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto.

LEONE XIV