A tutto campo


Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la Tratta di persone

8 Febbraio

 

Alla fine del XIX secolo, una bambina del Sudan veniva catturata e venduta come schiava a Khartoum. Aveva sette anni. Le venne dato il nome di Bakhita, che in arabo significa “fortunata”. Venduta da un padrone a un altro, la sua unica fortuna fu quella di arrivare in Italia e, aiutata da coloro che credevano nella dignità di ogni persona, divenire una donna libera. Libera anche di abbracciare la vita religiosa e perdonare quanti l’avevano trattata come merce.

 

Per ricordare Bakhita, che nel 2000 è stata proclamata “santa” dalla Chiesa cattolica, il giorno 8 febbraio ricorre la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la Tratta di persone.
È stata istituita da papa Francesco nel 2015, perché, come lui stesso ha detto: «La Tratta di persone è la schiavitù più estesa in questo XXI secolo!»
Quest’anno la Giornata è dedicata a bambini, bambine e adolescenti, cui la “nuova schiavitù” ruba la vita.

Il dossier è dedicato a loro, che ancora oggi subiscono il destino della piccola Bakhita.
E, in particolare, all’Africa. Afflitta per secoli dalla schiavitù narrata nei libri di storia, per l’Onu detiene oggi il triste primato della Tratta di minori.
Molte giovani nigeriane, anche minorenni, vengono trafficate come prostitute in Europa: i media ogni tanto ne parlano. Sebbene se ne parli meno, da Uganda, Kenya ed Etiopia molte giovani, con proposte allettanti di lavoro, raggiungono l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi, dove sono poi costrette a lavori domestici disumani. Queste vie, come ricorda la breve prospettiva storica offerta dal dossier, erano attive anche nei secoli passati.



Oggi ciò che sorprende è che la Tratta prevale anzitutto all’interno dell’Africa: per il 90% nello stesso Paese o fra Paesi limitrofi, e per appena l’1% a oltre 3.500 chilometri di distanza dal luogo di origine delle vittime.
Con il tocco che ci è proprio, non ci limitiamo a denunciare: lasciamo emergere l’umanità che reagisce. Risuonano in queste pagine molteplici iniziative, locali e internazionali, che contrastano questa piaga e aiutano tante persone a rinascere.
Speriamo che queste iniziative coinvolgano progressivamente anche ciascuno e ciascuna di noi.



Perché per contrastare la Tratta servono: la legge, le forze dell’ordine, i tribunali, ma anche una maggiore conoscenza del fenomeno e una drastica riduzione della domanda. Come ricorda ancora papa Francesco: «La spinta più potente allo sfruttamento e all’abuso di bambini e bambine viene dalla domanda».
Nestlé è in causa alla Corte suprema Usa per aver favorito lo sfruttamento di minori nella raccolta di cacao in Costa d’Avorio; anche la nostra domanda di cioccolata Nestlé può essere considerata complice?



Non parliamo poi del coltan del Kivu, indispensabile per produrre telefoni cellulari, tablet, computer e altri apparecchi elettronici. Chi denuncia i gruppi armati dediti allo sfruttamento illegale del minerale rischia la vita. Molte le vittime nei mesi scorsi, fra cui il religioso congolese Vincent Machozi. E quanti di noi non hanno un cellulare o un computer, e casomai lo cambiano spesso?



Riflettere insieme su questo dramma promuove l’umanità che reagisce e cerca soluzioni.
Gabriella Bottani, coordinatrice di Talitha Kum, la Rete internazionale della Vita Consacrata contro la tratta di persone, confida: «Sono convinta che i principali frutti della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la Tratta sono invisibili agli occhi e non possono essere veicolati dai media, perché la preghiera è una forza potente di trasformazione, che agisce dove noi non sappiamo, ma che sostiene e promuove la vita e cammini di libertà».

 

Paola Moggi, Direttrice rivista Combonifem Editoriale Febbraio 2017



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale - Piazza San Pietro Mercoledì, 10 Settembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 6. La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e grazie per la vostra presenza, una bella testimonianza!

Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce. I Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna.

Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia (cfr Mc 15,33.38). È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore.

Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità.

Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza.

Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto.

Gridare diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.

Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema. Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto.

LEONE XIV