Testimoni del nostro tempo


Grazie Gis!

20 Gennaio 2018

Gisella Calliari, una delle prime focolarine, si è spenta oggi, 20 gennaio, all’età di 97 anni. Una vita lunga, sempre protesa alla realizzazione del “sogno” di Gesù: «Che tutti siano uno».

 

GisCalliariCon gratitudine per “il suo esempio di fedeltà eroica al suo disegno” Maria Voce, presidente dei Focolari, ha comunicato a tutti i membri del Movimento nel mondo la scomparsa di Gisella Calliari che questa sera si è spenta serenamente, dopo una lunga vita all’insegna dell’unità.Pur nel dolore di questa grande perdita”, dice la presidente, “restiamo con lei, un cuor solo e un’anima sola”.

 

Gisella Calliari era nata a Lavis (Trento, Italia) il 18 aprile 1920. Conosciuta semplicemente come Gis, è stata una delle prime giovani che, insieme alla sorella Ginetta, aveva seguito Chiara Lubich in quella “avventura dell’unità” che ha segnato gli inizi del Movimento dei Focolari e i suoi sviluppi nel mondo. Terza di tre sorelle, aveva incontrato Chiara nel 1944, nel piccolo appartamento che ospitava il primo focolare, in Piazza Cappuccini, a Trento. Il giorno dopo aveva già maturato la scelta di seguirla sulla stessa strada. L’iniziale ostilità della famiglia venne meno quando la mamma conobbe Igino Giordani (Foco), di cui Gisella divenne segretaria a Roma.

 

Nella sua lunga vita Gis è vissuta con Chiara per più di 40 anni. Dopo essere stata responsabile di alcuni focolari in Italia (nelle città di Trento, Roma, Milano, Firenze), le è stata affidata la sezione delle focolarine. In seguito ha affiancato la fondatrice, insieme a Oreste Basso, nel seguire gli sviluppi di tutta l’Opera di Maria. Per questo incarico ha visitato più volte le comunità nel mondo.
Una vita, la sua, profondamente legata al carisma dell’unità, al quale si è mantenuta fedele fino alla fine, con gli effetti di una grande fecondità spirituale in lei e attorno a lei.

 

 

 

23 anni per credere all'Amore, 7 per sperimentare la gioia vera (1965 – 24 Agosto 1995)

 

Con una realtà difficile alle spalle, fin dall’ adolescenza aveva cercato di dare un senso alla sua vita. Giudicata superficiale la religiosità tradizionale che lo circondava, si era legato dapprima ad un gruppo di pacifisti, in seguito ad una comunità socialista ed infine ad una ragazza con cui ha vissuto per tre anni un rapporto burrascoso. Sempre però Alfredo, alla fine, si è trovato deluso, vuoto ed apatico.

 

«Un giorno – ricorda Giorgio, focolarino a Treviso, dove abitava Alfredo – telefona una signora che, avendo sentito parlare di noi, chiede se possiamo incontrare suo figlio». A chiamare, preoccupata per lui, era la mamma di Alfredo, suscitando ovviamente le sue ire.  A quella prima ‘pizza insieme’, seguono altri incontri. Alfredo comincia a frequentare il focolare e i gen (i giovani dei focolari) della sua città. Tuttavia, la paura di incappare in nuove delusioni gli impedisce un coinvolgimento maggiore.  Solo nel ’91 partecipa ad una Mariapoli, (incontro di alcuni giorni sulla Spiritualità dei focolari). La gioia sperimentata in quell’occasione gli fa comprendere quanto grande sia la felicità che viene dall’amore concreto verso il prossimo. Inizia così anche lui a vivere la Spiritualità di Chiara Lubich e a frequentare con più assiduità il focolare.

 

Con una gen nasce e si consolida poi, un rapporto sempre più profondo, ‘nutrito’ anche da scelte difficili: «Quando, all’inizio, gli ho spiegato la mia scelta di vivere la purezza nel nostro rapporto – racconta Raffaella -, è rimasto sconcertato perché non lo credeva possibile.  Dopo 15 giorni mi ha richiamata, dicendomi che ci stava! Col tempo il nostro rapporto è maturato, tanto che, alcuni mesi dopo, lui stesso mi ha detto: “Sai, se anche tu cambiassi idea, sarei io ora a fare la tua scelta e a portarla avanti”».

 

Presto però, arrivano i momenti crudi. Il rapporto tra i genitori si fa sempre più difficile arrivando alla rottura. Alfredo perde il suo lavoro di restauratore. Si demoralizza, disertando anche gli incontri dei gen. Nel ’93 infine, i forti dolori che lo affliggono da qualche tempo, rivelano una grave forma tumorale ormai irreversibile, della quale, inizialmente, è tenuto all’oscuro.

 

Seguono alcuni mesi in cui Alfredo sembra ristabilirsi. Vive forti esperienze di amore concreto, soprattutto nel lavoro che, nel frattempo, ha ripreso. Un piccolo dono di Dio per mostrargli, in modo chiarissimo, quanto Egli sia Amore e prepararlo ai momenti difficili che, nel gennaio ’94, arrivano: nuovamente ricoverato, gli si rivela la gravità del male.  Alfredo piange per ore nella cappellina dell’ospedale.  Scrive a Chiara: «Sto lottando, a volte con forza… Altre volte mi sembra che tutto non abbia più senso, ma, in quei momenti, ciò che più mi aiuta è sapere che tutto viene da Dio…io non posso capire perché, ma sono convinto che è un percorso che devo fare. E sono sicuro che, con il Suo aiuto, ce la farò». E ChiaraGrazie dell’offerta delle tue sofferenze…Dio sa quanto sono preziose! Abbandonati a Lui con fiducia, come già fai nei momenti difficili… Egli ti ama con predilezione, ti porterà avanti e ti darà la forza di superare la prova e di rispondere con il tuo amore al Suo infinito. Io prego per te».

 

Nel frattempo, per poter rendere meno dura l’esperienza del figlio, i genitori si riappacificano e possono così accompagnarlo serenamente negli ultimi mesi di vita. Accanto a lui fino all’ultimo – il 24 agosto 1995 parte per il Cielo – restano sempre anche Raffaella a cui confida: «Sento di volermi fare santo .. Dio mi sta chiedendo questo».; e i gen con cui condivide anche le gioie e le difficoltà della preparazione del Genfest del ’95. Subito dopo aver visto il programma alla tv, scrive:”Carissima Chiara, ti sto scrivendo per ringraziarti del genfest che ho seguito dal lettino….É  proprio nei momenti di maggior dolore che sento dentro quella forza che mi fa andare avanti…Ciao!». E subito Chiara, tra l’altro, risponde:« Ciao Alfredo! Sono con te nell’unico Bene e nella luce del Risorto».

 

Come aveva chiesto, il funerale è una grande festa e Giorgio confida: «Anticamente, molte persone si convertivano alla nuova fede solo nel vedere come i primi cristiani morivano nelle arene e ugualmente oggi, da come Alfredo ha saputo affrontare la malattia e dall’amore che si respirava attorno a lui, molti hanno rimesso in questione la loro esistenza e vogliono ora orientarla diversamente».

 

 

Rimasta orfana a due anni, Joëlle viene accolta dagli zii a Man (Costa d’Avorio). È timida e timorosa di tutto, ma un giorno la nuova mamma la porta in focolare. Improvvisamente, colpita senz’altro dalla bella atmosfera che si respira, Joëlle inizia a ridere di gusto e a parlare.

 

Prende così a frequentare gli incontri delle gen 4, le bambine che vivono la spiritualità dei Focolari. Nadia, la loro ‘assistente’, racconta come cerca di riempire la giornata di tanti atti d’amore e dona ad ognuna un braccialetto con tante perline: «così potete contare anche i vostri ogni giorno!»

 

Joëlle accoglie con grandissimo entusiasmo la proposta. E con quale determinazione!

 

Un giorno, ad esempio, Joëlle si offre con la sorella di riaccompagnare una signora verso casa. La strada è lunga da fare a piedi, ma la piccola non ne vuole sapere di tornare indietro: «Non puoi restare sola!» Accompagna la donna fino a casa e si trattiene a chiacchierare finché a un certo punto dice: «Adesso stanno per arrivare i tuoi figli da scuola, possiamo lasciarti!»

 

Dopo qualche tempo, per il lavoro del papà, la famiglia di Joëlle si trasferisce nella parte meridionale del Paese, lontano dal focolare. Per lei è un grande dolore, ma in poco tempo fa amicizia con tutti i bambini del quartiere, condividendo con loro le sue esperienze.

 

Una maestra ricorda: «Aveva sempre qualcosa da dare. Se c’era qualcuno che mangiava mais sotto il banco, di sicuro glielo aveva dato lei. Se nel cortile c’era un capannello di bambini, potevi stare certo che al centro c’era Joëlle che distribuiva a tutti il suo succo, dicendo a ognuno “Bevi, ma non finirlo tutto!”».

 

Un giorno una bambina ha chiesto alla sorella di tre anni se conoscesse Joëlle. La piccola è corsa dentro casa ed è uscita con un paio di scarpe: «me le ha regalate lei!».

 

Una sera Joëlle ha la febbre alta. Prima di partire per l’ospedale, squilla il telefono. È Vitoria, del focolare che saputa la situazione chiede a Joëlle: «Vero che offri tutto a Gesù?» la risposta è immediata: «Là in fondo al mio cuore, anche se gli altri non lo sanno, l’ho già fatto!»

 

Già da molto tempo infatti, chiedeva con insistenza di poter ricevere il Battesimo. Il 7 luglio 2004, questo grande desiderio viene esaudito. Subito dopo, come scrive Chiara Lubich, “carica di tanti atti d’amore, è volata in Cielo.”

 

Morta ad appena 6 anni, per la cultura ivoriana, Joëlle non avrebbe potuto essere sepolta come una persona adulta. «Come potevamo però non farle un funerale degno? – ricorda la mamma – noi sapevamo che spiritualmente Joëlle era grandissima! Aveva creato attorno a sé una rete impressionante di rapporti ed era amata da tutti. Come potevamo non seppellirla con onore? Il funerale c’è stato ed è stato una festa, con il concorso di tantissime persone. E questo modo di fare ha sorpreso tanti: una testimonianza che ha cambiato anche la mentalità». 

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, Piazza San Pietro 5 novembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 3. La Pasqua dà speranza alla vita quotidiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti.

La Pasqua di Gesù è un evento che non appartiene a un lontano passato, ormai sedimentato nella tradizione come tanti altri episodi della storia umana. La Chiesa ci insegna a fare memoria attualizzante della Risurrezione ogni anno nella domenica di Pasqua e ogni giorno nella celebrazione eucaristica, durante la quale si realizza nel modo più pieno la promessa del Signore risorto: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Per questo il mistero pasquale costituisce il cardine della vita del cristiano, attorno a cui ruotano tutti gli altri eventi. Possiamo dire allora, senza alcun irenismo o sentimentalismo, che ogni giorno è Pasqua. In che modo?

Sperimentiamo ora per ora tante esperienze diverse: dolore, sofferenza, tristezza, intrecciate con gioia, stupore, serenità. Ma attraverso ogni situazione il cuore umano brama la pienezza, una felicità profonda. Una grande filosofa del Novecento, Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, che ha tanto scavato nel mistero della persona umana, ci ricorda questo dinamismo di costante ricerca del compimento. «L’essere umano – ella scrive – anela sempre ad avere di nuovo in dono l’essere, per poter attingere ciò che l’attimo gli dà e al tempo stesso gli toglie» (Essere finito ed Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, Roma 1998, 387). Siamo immersi nel limite, ma siamo anche protesi a superarlo.

L’annuncio pasquale è la notizia più bella, gioiosa e sconvolgente che sia mai risuonata nel corso della storia. Essa è il “Vangelo” per eccellenza, che attesta la vittoria dell’amore sul peccato e della vita sulla morte, e per questo è l’unica in grado di saziare la domanda di senso che inquieta la nostra mente e il nostro cuore. L’essere umano è animato da un movimento interiore, proteso verso un oltre che costantemente lo attrae. Nessuna realtà contingente lo soddisfa. Tendiamo all’infinito e all’eterno. Ciò contrasta con l’esperienza della morte, anticipata dalle sofferenze, dalle perdite, dai fallimenti. Dalla morte «nullu homo vivente po skampare», canta San Francesco (cfr Cantico di frate sole).

Tutto cambia grazie a quel mattino in cui le donne, recatesi al sepolcro per ungere il corpo del Signore, lo trovarono vuoto. La domanda rivolta dai Magi giunti dall’oriente a Gerusalemme: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (Mt 2,1-2), trova la sua risposta definitiva nelle parole del misterioso giovane vestito di bianco che parla alle donne nell’alba pasquale: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. Non è qui. È risuscitato» (Mc 16,6).

Da quel mattino fino a oggi, ogni giorno, Gesù avrà anche questo titolo: il Vivente, come Lui stesso si presenta nell’Apocalisse: «Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre» (Ap 1,17-18). E in Lui noi abbiamo la sicurezza di poter trovare sempre la stella polare verso cui indirizzare la nostra vita di apparente caos, segnata da fatti che spesso ci appaiono confusi, inaccettabili, incomprensibili: il male, nelle sue molteplici sfaccettature, la sofferenza, la morte, eventi che riguardano tutti e ciascuno. Meditando il mistero della Risurrezione, troviamo risposta alla nostra sete di significato.

Davanti alla nostra umanità fragile, l’annuncio pasquale si fa cura e guarigione, alimenta la speranza di fronte alle sfide spaventose che la vita ci mette davanti ogni giorno a livello personale e planetario. Nella prospettiva della Pasqua, la Via Crucis si trasfigura in Via Lucis. Abbiamo bisogno di assaporare e meditare la gioia dopo il dolore, di ri-attraversare nella nuova luce tutte le tappe che hanno preceduto la Risurrezione.

La Pasqua non elimina la croce, ma la vince nel duello prodigioso che ha cambiato la storia umana. Anche il nostro tempo, segnato da tante croci, invoca l’alba della speranza pasquale. La Risurrezione di Cristo non è un’idea, una teoria, ma l’Avvenimento che sta a fondamento della fede. Egli, il Risorto, mediante lo Spirito Santo continua a ricordarcelo, perché possiamo essere suoi testimoni anche dove la storia umana non vede luce all’orizzonte. La speranza pasquale non delude. Credere veramente nella Pasqua attraverso il cammino quotidiano significa rivoluzionare la nostra vita, essere trasformati per trasformare il mondo con la forza mite e coraggiosa della speranza cristiana.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

GIUBILEO DEGLI STUDENTI

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV