Domenica 19 Maggio 2024
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Cronaca Bianca


Quando in azienda si fa spazio alla preghiera

di Barbara Sartori

 

«Impresa Orante», ovvero «Metti al lavoro la preghiera». Se il fondatore della «Ferrero» – piemontese di Alba – non faceva mistero della sua devozione mariana, tanto da volere in ogni stabilimento una statua della Madonna di Lourdes, dal Piemonte arriva ora da un gruppo di imprenditori l’appello ai colleghi di tutta Italia ad unirsi per creare una rete di preghiera pensata ad hoc per il mondo del lavoro.

 

«Viste le fatiche che sperimentiamo a causa di un’economia confusa e alterata nella sua natura – spiega una delle promotrici, Mariachiara Martina, titolare di “Fioredentro”, che opera nel campo della moda – abbiamo deciso di giocare la partita tirando fuori una carta inaspettata: la preghiera e, in particolare, la preghiera del rosario recitata in azienda una volta alla settimana».

 

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Ha debuttato a febbraio a Torino, all’Opera dei Giuseppini del Murialdo. A quattro mesi di distanza, la squadra Impresa Orante (IO in sigla) si è allargata. Sono nate cellule a Nichelino, nel Torinese, in provincia di Cuneo, a Savona e a Milano. Ne partiranno a Padova e Verona. Attraverso il sito www.impresaorante.org arrivano richieste di informazioni da Rimini, Prato, Catania, Cosenza, Roma, perfino dagli Stati Uniti. Mariachiara Martina e don Danilo Magni, direttore dell’Opera del Murialdo e assistente spirituale di IO, stanno girando la penisola per far conoscere la proposta. Ieri sono stati a Piacenza, invitati dall’Ucid e dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali.

 

«La bellezza di Impresa Orante è la contemporaneità e la coralità del momento di preghiera – sottolinea Martina – ma anche l’unione nel pregare per un’unica grande intenzione: far rinascere l’economia secondo nuovi parametri, rendendola mezzo di gratificazione e promozione della dignità dell’uomo. L’auspicio è di coinvolgere più imprenditori di uno stesso territorio, così da poter condividere il Rosario, a turno, nelle varie realtà aziendali, con l’aiuto di meditazioni dei Misteri che sono state composte tenendo conto delle problematiche del mondo del lavoro. Una volta al mese si propone inoltre di celebrare la Messa».

 


 

Roba da ingenui, in una crisi che pare senza fondo? Le voci degli “oranti”, titolari di aziende ma pure dipendenti, sono di tutt’altro segno. «Non prego in chiesa, se non ai funerali, quindi per me questo è un momento che mi riavvicina a Dio – confida Mario –. Sto consigliando di partecipare a mia moglie, anche se a lei sembra incredibile al lavoro questo tempo dedicato alla preghiera. Eppure è proprio il luogo che fa la differenza».

 

«Ti cambia il modo di vedere il mondo degli affari – è l’esperienza di Tiziana, imprenditrice –. Così quando sai che il tuo concorrente storico è fallito, non gioisci, ma preghi per lui, per la sua famiglia, che come la tua ha dedicato a questo settore quarant’anni di vita».

 

«Non tutti in azienda partecipano alla cellula – dice un’altra “orante” – ma è successo che, in occasione di una fiera importante cui dovevamo partecipare, una collega sia venuta a chiederci di pregare per loro che ci andavano, perché potesse essere occasione utile per superare il periodo difficile. La fiera è andata bene, come non succedeva da tempo».

 

FONTE – AVVENIRE



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, 15 Maggio 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 19. La carità

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parleremo della terza virtù teologale, la carità. Le altre due, ricordiamo, erano la fede e la speranza: oggi parleremo della terza, la carità. Essa è il culmine di tutto l’itinerario che abbiamo compiuto con le catechesi sulle virtù. Pensare alla carità allarga subito il cuore, allarga la mente, corre alle parole ispirate di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Concludendo quell’inno stupendo, San Paolo cita la triade delle virtù teologali ed esclama: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità» (1 Cor 13,13).

Paolo indirizza queste parole a una comunità tutt’altro che perfetta nell’amore fraterno: i cristiani di Corinto erano piuttosto litigiosi, c’erano divisioni interne, c’è chi pretende di avere sempre ragione e non ascolta gli altri, ritenendoli inferiori. A questi tali Paolo ricorda che la scienza gonfia, mentre la carità edifica (cfr 1 Cor 8,1). L’Apostolo poi registra uno scandalo che tocca perfino il momento di massima unione di una comunità cristiana, vale a dire la “cena del Signore”, la celebrazione eucaristica: anche lì ci sono divisioni, e c’è chi se ne approfitta per mangiare e bere escludendo chi non ha niente (cfr 1 Cor 11,18-22). Davanti a questo, Paolo dà un giudizio netto: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore» (v. 20), avete un altro rituale, che è pagano, non è la cena del Signore.

Chissà, forse nella comunità di Corinto nessuno pensava di aver commesso peccato e quelle parole così dure dell’Apostolo suonavano un po’ incomprensibili per loro. Probabilmente tutti erano convinti di essere brave persone, e se interrogati sull’amore, avrebbero risposto che certo l’amore era per loro un valore molto importante, come pure l’amicizia e la famiglia. Anche ai nostri giorni l’amore è sulla bocca di tutti, è sulla bocca di tanti “influencer” e nei ritornelli di tante canzoni. Si parla tanto dell’amore, ma cos’è l’amore?

“Ma l’altro amore?”, sembra chiedere Paolo ai suoi cristiani di Corinto. Non l’amore che sale, ma quello che scende; non quello che prende, ma quello che dona; non quello che appare, ma quello che si nasconde. Paolo è preoccupato che a Corinto – come anche oggi tra noi – si faccia confusione e che della virtù teologale dell’amore, quella che viene solo da Dio, in realtà non ci sia alcuna traccia. E se anche a parole tutti assicurano di essere brave persone, di voler bene alla propria famiglia e ai propri amici, in realtà dell’amore di Dio sanno ben poco.

I cristiani dell’antichità avevano a disposizione diverse parole greche per definire l’amore. Alla fine, è emerso il vocabolo “agape”, che normalmente traduciamo con “carità”. Perché in verità i cristiani sono capaci di tutti gli amori del mondo: anche loro si innamorano, più o meno come capita a tutti. Anche loro sperimentano la benevolenza che si prova nell’amicizia. Anche loro vivono l’amor di patria e l’amore universale per tutta l’umanità. Ma c’è un amore più grande, un amore che proviene da Dio e si indirizza verso Dio, che ci abilita ad amare Dio, a diventare suoi amici, ci abilita ad amare il prossimo come lo ama Dio, col desiderio di condividere l’amicizia con Dio. Questo amore, a motivo di Cristo, ci spinge là dove umanamente non andremmo: è l’amore per il povero, per ciò che non è amabile, per chi non ci vuole bene e non è riconoscente. È l’amore per ciò che nessuno amerebbe; anche per il nemico. Anche per il nemico. Questo è “teologale”, questo viene da Dio, è opera dello Spirito Santo in noi.

Predica Gesù, nel discorso della montagna: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso» (Lc 6,32-33). E conclude: «Amate invece i vostri nemici – noi siamo abituati a sparlare dei nemici – amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35). Ricordiamo questo: “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla”. Non dimentichiamo questo!

In queste parole l’amore si rivela come virtù teologale e assume il nome di carità. L’amore è carità. Ci accorgiamo subito che è un amore difficile, anzi impossibile da praticare se non si vive in Dio. La nostra natura umana ci fa amare spontaneamente ciò che è buono e bello. In nome di un ideale o di un grande affetto possiamo anche essere generosi e compiere atti eroici. Ma l’amore di Dio va oltre questi criteri. L’amore cristiano abbraccia ciò che non è amabile, offre il perdono – quanto è difficile perdonare! quanto amore ci vuole per perdonare! –, l’amore cristiano benedice quelli che maledicono, mentre noi siamo abituati, davanti a un insulto o a una maledizione, a rispondere con un altro insulto, con un’altra maledizione. È un amore così ardito da sembrare quasi impossibile, eppure è la sola cosa che resterà di noi. L’amore è la “porta stretta” attraverso cui passare per entrare nel Regno di Dio. Perché alla sera della vita non saremo giudicati sull’amore generico, saremo giudicati proprio sulla carità, sull’amore che noi abbiamo avuto in concreto. E Gesù ci dice questo, tanto bello: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Questa è la cosa bella, la cosa grande dell’amore. Avanti e coraggio!

Papa Francesco