VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA MANIFESTAZIONE "INSIEME PER L'EUROPA"
MONACO DI BAVIERA, 2 LUGLIO 2016
Cari amici di Insieme per l’Europa,
vi so riuniti a Monaco di Baviera in tanti Movimenti e Gruppi, provenienti da varie Chiese e Comunità, per il vostro incontro dal titolo: “Incontro - Riconciliazione - Futuro”.
Avete ragione. È ora di mettersi insieme, per affrontare con vero spirito europeo le problematiche del nostro tempo. Oltre ad alcuni muri visibili, si rafforzano anche quelli invisibili, che tendono a dividere questo continente. Muri che si innalzano nei cuori delle persone. Muri fatti di paura e di aggressività, di mancanza di comprensione per le persone di diversa origine o convinzione religiosa. Muri di egoismo politico ed economico, senza rispetto per la vita e la dignità di ogni persona.
L’Europa si trova in un mondo complesso e fortemente in movimento, sempre più globalizzato e, perciò, sempre meno eurocentrico.
Se riconosciamo queste problematiche epocali, dobbiamo avere il coraggio di dire: abbiamo bisogno di un cambiamento! L’Europa è chiamata a riflettere e a chiedersi se il suo immenso patrimonio, permeato di cristianesimo, appartiene a un museo, oppure è ancora capace di ispirare la cultura e di donare i suoi tesori all’umanità intera.
Siete radunati per affrontare assieme queste sfide aperte in Europa, e per portare alla luce testimonianze di una società civile che lavora in rete per l’accoglienza e la solidarietà verso i più deboli e svantaggiati, per costruire ponti, per superare i conflitti dichiarati o latenti.
Quella dell’Europa è la storia di un continuo incontro tra Cielo e terra: il Cielo indica l'apertura al Trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l'uomo europeo; e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare situazioni e problemi.
Anche voi, Comunità e Movimenti cristiani nati in Europa, siete portatori di molteplici carismi, doni di Dio da mettere a disposizione. “Insieme per l’Europa” è una forza di coesione con l’obiettivo chiaro di tradurre i valori base del cristianesimo in risposta concreta alle sfide di un continente in crisi.
Il vostro stile di vita si fonda sull’amore reciproco, vissuto con radicalità evangelica. Una cultura della reciprocità significa confrontarsi, stimarsi, accogliersi, sostenersi a vicenda. Significa valorizzare la varietà dei carismi, in modo da convergere verso l'unità e arricchirla. La presenza di Cristo fra voi, trasparente e tangibile, è la testimonianza che induce a credere.
Ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono — come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo se stesso senza timore. Se l’intera Europa vuol essere una famiglia di popoli, rimetta al centro la persona umana, sia un continente aperto e accogliente, continui a realizzare forme di cooperazione non solo economica ma anche sociale e culturale.
Dio porta sempre novità. Quante volte l’avete già sperimentato nella vostra vita! Siamo aperti anche oggi alle sue sorprese?Voi, che avete risposto con coraggio alla chiamata del Signore, siete chiamati a mostrare la sua novità nella vita e a far così fiorire i frutti del Vangelo, frutti germogliati dalle radici cristiane, che da 2000 anni nutrono l’Europa. E porterete frutti ancora più grandi! Mantenete la freschezza dei vostri carismi; tenete vivo il vostro “Insieme”, e allargatelo!Fate che le vostre case, comunità e città siano laboratori di comunione, di amicizia e di fraternità, capaci di integrare, aperti al mondo intero.
Insieme per l’Europa? Oggi è più necessario che mai. Nell’Europa di tante nazioni, voi testimoniate che siamo figli dell’unico Padre e fratelli e sorelle tra di noi. Siete un seme di speranza prezioso, perché l’Europa riscopra la sua vocazione di contribuire all’unità di tutti.
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All’insieme non esiste alternativa; il Vangelo, una fonte di speranza; una cultura del rispetto e della stima; superare le divisioni; il nostro impegno: i 5 punti del messaggio finale di Monaco 2016.
Insieme per l‘Europa Incontro. Riconciliazione. Futuro.
Monaco (Baviera), 2 luglio 2016
All’insieme non esiste alternativa.
“Uniti nella diversità”. Questa speranza europea è oggi più attuale che mai. L’Europa non deve diventare una roccaforte ed alzare nuove frontiere. All’insieme non esiste alternativa. Un insieme in una diversità riconciliata è possibile.
Il Vangelo – una fonte di speranza
Gesù Cristo ha pregato per l’unità e dato la sua vita per questo. Questo ci dice il Vangelo, che da quasi 2000 anni è una forza determinante per la cultura in Europa. Gesù Cristo ci insegna l’amore senza limiti per tutte le persone. Lui ci indica la strada della misericordia e della riconciliazione: possiamo chiedere perdono e perdonarci a vicenda. Il Vangelo di Gesù Cristo è una fonte potente, dalla quale possiamo attingere speranza per il futuro.
L’Europa – una cultura del rispetto e della stima
Le terribili esperienze delle Guerre mondiali ci hanno insegnato che la pace è un dono prezioso che dobbiamo conservare. Il nostro futuro deve essere caratterizzato da una cultura del rispetto e della stima dell’altro, anche dello straniero.
L’unità è possibile – Superare divisioni
Chiediamo a tutti i cristiani, specialmente ai responsabili delle Chiese, di superare le divisioni. Esse hanno causato sofferenza, violenza, ingiustizia ed hanno minato la credibilità del Vangelo. Come cristiani vogliamo vivere insieme riconciliati ed in piena comunione.
Il nostro impegno
Viviamo il Vangelo di Gesù Cristo e lo testimoniamo a parole e coi fatti. Percorriamo la via della riconciliazione e facciamo in modo che le nostre comunità, Chiese, popoli e culture possano vivere “uniti nella diversità”. Andiamo incontro a persone di convinzioni e religioni diverse con rispetto e cerchiamo il dialogo con loro. Ci impegniamo affinché nel mondo crescano umanità e pace. Abbiamo la visione di un insieme in Europa che è più forte di ogni paura ed egoismo. Poniamo la nostra fiducia nello Spirito Santo che rinnova e vivifica continuamente il mondo.
Una delle testimonianze più toccanti dell’incontro tra Papa Francesco e i rappresentanti del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale nel Duomo di Firenze, la cattedrale di Santa Maria del Fiore. A parlare è don Bledar Ximli, sacerdote di origine albanese.
Al V° Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre), papa Francesco auspica una grande sterzata per la chiesa cattolica in Italia. Intervista al copresidente dei Focolari Jesús Morán.
Il convegno di Firenze si è concluso. “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: come leggere il significato profondo di questo evento per la chiesa italiana?
«Ci sarebbero tante letture, però penso che sia un momento decisivo e storico per la chiesa italiana. Prima di tutto per il forte messaggio che papa Francesco ha consegnato ai 2000 delegati, presente tutta la Conferenza Episcopale. L’evento accade nel cuore del pontificato, in un momento dove le riforme si fanno pressanti e concrete. Avendo come specchio la riforma che vuole Francesco, la Chiesa italiana è inesorabilmente spinta a riformare se stessa. Il discorso del Papa è soprattutto un richiamo alla conversione, a tutti i livelli: conversione delle persone, delle comunità, delle strutture…».
Quali i passaggi centrali delle parole di Francesco?
«La figura che il Papa ci ha presentato è l’Ecce Homo: Cristo che spoglia se stesso, che non si affida ai procedimenti né all’organizzazione, che non pretende di occupare spazi di potere, ma che si fa carico dei dolori dell’umanità. È Gesù nella sua vera essenza, nella sua missione come inviato del Padre per la salvezza di tutti gli uomini. Questa è la prima cosa.
Poi, il Papa invita la chiesa italiana ad essere più evangelica, più come la vuole lo Spirito nell’oggi della storia. Solo una Chiesa, come ha detto lui, che riesce ad essere umile, disinteressata, che si riflette nelle beatitudini, può assomigliare a questo Maestro, a questo Ecce Homo, può presentarsi come amore per la società.
Papa Francesco a Firenze: Pranzo alla mensa dei poveri. Foto: Ansa
D’altra parte il Papa radicalizza l’umanesimo cristiano sulla base del superamento dei due rischi da lui indicati. Il rischio del pelagianesimo, cioè la tentazione di voler fare tutto noi, di affidarci alle nostre capacità, ai nostri strumenti, al potere, anche alla capacità di programmare. E il rischio dello gnosticismo che vuol dire rischio della disincarnazione, della “non-incarnazione” proprio. Cioè presentare un Gesù che non si tocca con le mani, che non si afferra. Attualizzazione dell’umanesimo cristiano, significa che esso deve partire da Gesù, deve essere centrato in Lui, non nelle nostre forze. Deve essere incarnato, non può rimanere nei documenti, nei proclami e neanche nelle opere d’arte, bellissime, come le abbiamo viste qui a Firenze. L’umanesimo cristiano deve essere incarnato nella vita della gente».
Il 50% dei partecipanti, laici, indica una forza della chiesa che si vuole mettere in gioco. Quali novità nei lavori di gruppo?
«Una delle novità di Firenze è la metodologia. Una giornata e mezza dedicata ai lavori di gruppo, ha reso possibile una maggiore partecipazione, dove ognuno ha potuto donare se stesso. Ma, se su 2000 partecipanti, la metà è ancora clero, non è ancora sufficiente. Perché la società, la chiesa italiana non è così. Ci sono donne, sì, ma poche ancora. Giovani, sì, ma pochi ancora. Speriamo che si vada avanti in questa linea, verso una rappresentatività maggiore».
Un’impressione a caldo, dopo aver partecipato a tutto il Convegno?
«Un clima bellissimo, di apertura, cordialità nel senso profondo, dove si vive mescolati con tutti. I vescovi pranzano con le persone: nei gruppi sono uno in più, così i sacerdoti. Questo già di per sé crea molta famiglia e quindi c’è entusiasmo, c’è gioia, c’è tanta condivisione, comunione, un desiderio profondo di ascolto e questo dà molta speranza».
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo
Il Convegno ecclesiale di Firenze, come i precedenti, vuole ritmare una stagione nuova di vita e di missione della Chiesa in Italia. I 2500 delegati di tutte le diocesi della Penisola e i rappresentanti dei Movimenti e delle Associazioni Laicali rifletteranno sulle 5 vie proposte dalla Evangeli Gaudium, come percorsi per una Chiesa in uscita.
Più che le prolusioni ed i discorsi che avevano caratterizzato i precedenti convegni l’evento sarà scandito da meditazioni, confronti, dialoghi e preghiera che martedì 10 vedrà giungere a Firenze papa Francescoper incontrare i partecipanti del Convegno e celebrare la Messa allo stadio comunale. Il Papa di prima mattina si recherà invece a Prato, significativa porta d’ingresso al Convegno di Firenze, segnale forte che indica come nel cuore del pontefice sia prioritaria, anche rispetto ai lavori di un convegno ecclesiale, l’urgenza dell’incontro con le persone che abitano le periferie, in questo caso la comunità cinese della “città delle stoffe”.
A rappresentare ufficialmente il Movimento dei Focolari saranno presenti tra i convegnisti il copresidente Jesús Morán, e i delegati dei Focolari in Italia Rosalba Poli e Andrea Goller, oltre ad alcune decine di membri del Movimento nominati da Diocesi o da Uffici Pastorali Regionali.
Ripercorriamo la Traccia di preparazione al convegno attraverso una sintesi dell’intervento di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari ad una delle tappe di preparazione verso il Convegno, il 15/16 maggio scorso.
«La “Traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale” ci propone cinque vie, le stesse suggerite da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, declinate attraverso cinque verbi che ci indicano la direzione da intraprendere: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare.
Sono verbi che tratteggiano uno stile, implicano una conversione e chiedono delle scelte e delle prassi forti e chiare.
Uscire. Il primo verbo dice lo scatto d’anima e di decisione che oggi ci è chiesto nel vivere la “nuova tappa dell’evangelizzazione” che Papa Francesco fa brillare vivida di fronte a noi come esigenza, la più radicale, per servire l’uomo là dove oggi si trova, nelle “periferie esistenziali” della nostra storia. Questo significa almeno due cose. Per prima cosa – come si legge nella “Traccia” – occorre «liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto». No, il futuro non possiamo né dobbiamo presumere d’averlo già scritto noi. Occorre far spazio, e sino in fondo, all’ascolto della Parola di Dio e delle parole dei nostri contemporanei, che devono risuonare come nostre nei nostri cuori. E per far questo ecco la seconda cosa, che dico con le parole di Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti all’Assemblea Generale del Movimento, nel settembre scorso: «…dobbiamo uscire con coraggio “verso di Lui fuori dall’accampamento, portando il suo disonore” (Eb 13,13). Egli ci aspetta nelle prove e nei gemiti dei nostri fratelli, nelle piaghe della società e negli interrogativi della cultura del nostro tempo. (…) serve una spiritualità dell’uscire (…): non rimanere dentro chiusi a quattro mandate. (…) Perché la Chiesa sembra un ospedale da campo. E quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo».
Il secondo e il terzo verbo – annunciare e abitare – mi piace vederli insieme, strettamente anzi indissolubilmente congiunti. Non si può annunciare, infatti, la gioia che viene dal Verbo che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14) e che si è calato nell’abisso di ogni grido dell’uomo abbandonato (cfr. Mc 15,34; Mt 27,46), se non abitando la carne e le grida, espresse o tacite, degli uomini e delle donne attorno a noi. Solo gesti e parole, che nascono da questa condivisione e da questa immersione, indirizzano «lo sguardo e i desideri a Dio», al Dio di Gesù, che è Misericordia e libertà. Sono venuto – dichiara Gesù – ad «annunciare il Vangelo ai poveri» (cfr. Lc 4, 18‐21). Per questo ci affascina e ci coinvolge il sogno tenace di papa Francesco: «una Chiesa povera e per i poveri».
Di qui il quarto verbo: educare. Esso dice, innanzi tutto, l’urgenza di lasciarci educare, tutti, da Dio come suo Popolo lungo i sentieri impervi e interpellanti della storia. Si tratta di lasciarci forgiare, insieme, da quel nuovo paradigma di umanesimo che scaturisce dalla pasqua di Gesù, il Signore crocifisso e risorto, come convivialità del “noi” in cui «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
E infine il quinto verbo: trasfigurare. Si legge nella “Traccia”: «il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello». Ciò si realizza attraverso la preghiera, dove la Luce trasfigurante di Dio inonda il nostro cuore; e attraverso l’Eucaristia, dove la carne trasfigurata di Gesù si fa nostro cibo per trasformarci in Sé. Ma questa trasfigurazione deve manifestare la sua bellezza e la sua promessa nelle trame tormentate e spesso tortuose della nostra storia».
Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.
In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.
Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.
È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.
Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!
Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].
Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.
L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!
Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!
[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.