Testimoni del nostro tempo


La "debolezza" di Chiara

22 Gennaio 2020

22 gennaio 1920 – 22 gennaio 2020. Siamo al centenario di Chiara Lubich!

La ricordo con questo breve scritto che pubblicai anni fa sulla rivista dei Carmelitani: Quello sguardo di Chiara Lubich, “Rivista di vita spirituale”, 62 (2008), p. 731-733.
 
Quando il preside del Claretianum, nella riunione del consiglio accademico, mi affidò il compito di tessere la laudatio per il Dottorato honoris causa che sarebbe stato conferito a Chiara Lubich, provai un profondo senso di gioia. Avrei potuto esprimere pubblicamente il mio grazie a Chiara per tutto quello che aveva donato alla vita consacrata e a me personalmente. Speravo fosse una sorpresa e pregustavo il momento in cui, salito sul podio, davanti a lei avrei motivato il conferimento della laurea illustrando la profondità della sua dottrina e la novità della sua opera di fondatrice.
Pochi giorni prima si ammalò improvvisamente, gravemente, e partì per l’estero per le cure necessarie. Il 25 ottobre 2004 venne una delle sue prime compagne a ritirare il dottorato e a leggere la lezione magistrale che lei aveva preparato. Esposi la mia laudatio nella fiducia che Chiara avrebbe almeno visto il video, ma era diverso, lei non c’era.
 
Una malattia misteriosa quella di Chiara, che la tenne lontano dai suoi per più di due anni. Anche quando tornò nella sua casa a Rocca di Papa, per lungo tempo non la si poteva visitare. Cos’era questa malattia, perché così prolungata, cosa stava vivendo?
 
 
Un giorno, nel maggio del 2007, una felice coincidenza mi porta al Policlinico Gemelli di Roma dove Chiara è ricoverata per dei controlli. Mi intrattengo nella sala d’aspetto conversando con la sua segretaria, fino a quando vengono a chiamarmi: avrei potuto darle un breve saluto. Entro nella stanza. Lei è seduta su una poltrona. È lei, la Chiara di sempre. Mi saluta con un filo di voce e un tocco di umore: “Ecco Padre Fabio che va in giro per il mondo!”. Sì, sono da poco tornato da Cuba e lei lo sa, mi segue sempre. Le porto il saluto di un religioso brasiliano che ho appena sentito a telefono e lei mi precede indovinando il nome: presentissima come sempre! Sì, è la Chiara di sempre.
Ma come è diversa. Il volto smagrito ingigantisce gli occhi belli, mai così grandi. La pettinatura è dimessa. Al naso la sonda che la alimenta. La parola non è nitida… Ma c’è qualcos’altro che me la fa apparire diversa. Forse lo sguardo. Sì, lo sguardo. È come se tradisse insicurezza, smarrimento. Mentre mi parla di tratto in tratto cerca con gli occhi le due compagne che la vegliano quasi per trovare un sostegno nella conversazione con me, pur così breve.
Dov’è la Chiara energica e sicura che ho conosciuto da sempre? Per anni, assieme al gruppo di studio “Scuola Abbà”, ho avuto modo di incontrarla regolarmente, ogni quindici giorni. L’ho frequentata dal 1973 e mi sono sentivo sempre particolarmente prediletto (forse tutti quelli che l’hanno incontrata hanno avuto la stessa impressione…). Ha sempre incoraggiato tutti, sostenuto tutti, guidato la sua opera così vasta e complessa con sicurezza e braccio forte. E adesso… Dov’è la Chiara che manda in delirio migliaia di giovani negli stati, nei palazzi dello sport? La Chiara che parla davanti al Papa in piazza san Pietro a Roma, che gli conduce in udienza centinaia di vescovi? La Chiara che incontra politici e capi di stato, che riceve cittadinanze, che gira il mondo, di continente in continente, che dialoga con leader religiosi, che abbraccia le folle?
Ho davanti una persona ormai anziana, debilitata da una lunga malattia, in uno stato di fragilità che non avrei immaginato. Eppure, stranamente, esco da quella stanza d’ospedale con una gioia indicibile, catturato da quegli occhi che dicono soltanto amore; altro non hanno mai saputo dire. E subito mi tornano in cuore alcune righe di una sua lettera, scritta tanti anni prima, nel 1944, ad una persona ammalata:
 
«Gesù ha convertito il mondo colla parola, coll'esempio, colla predicazione; ma l'ha trasformato colla prova dell'Amore: la Croce.
Lassù per due ore e mezzo, in quello stato di tremenda angoscia e terribile dolore, attirò i cuori a sé.
Credi, (…) vale di più un minuto della tua vita in quel lettino bianco, se con gioia tu accetti il Dono di Dio che è sempre: dolore, che tutta l'attività d'un predicatore che parla e parla e poco ama Iddio».
 
L’avevo letta questa pagina, tante volte, meditata, spiegata nelle mie lezioni. Ora la vedo attuata da Gesù in Chiara, da Chiara fatta Gesù, da Gesù fatto Chiara. E mi domando: quando questa donna carismatica ha dato davvero vita nella Chiesa alla grande e nuova opera dei Focolari? Quando appariva “vincente” e, piena di energie, dava orientamenti sicuri al suo movimento, lo indirizzava saldo nel suo sviluppo nei cinque continenti? O non adesso che non può più dirigere e organizzare, che non può scrivere e donare i suoi temi, rispondere alle domande…? Comprendo in maniera nuova la più bella parabola evangelica: in questo momento Chiara è il chicco di grano che sta cadendo in terra e muore per portare molto frutto. È così che avviene la generazione della vita.
 
Ne ho avvertito forte la conferma il giorno del suo funerale, nella basilica di san Paolo fuori le mura. Al termine della celebrazione, contro ogni protocollo, assieme a tanti altri sacerdoti ho potuto inginocchiarmi a baciare la bara. L’ho poi accompagnata, inaspettatamente, con il piccolo corteo, lungo la basilica, nel chiostro, all’esterno, fino alla macchina che l’attendeva. Ho potuto così attraversare la folla che piangeva e gioiva in una festa d’esultanza. Il corteo procedeva lento, si arrestava, pochi passi e si arrestava di nuovo, dandomi il tempo per salutare tutti.
Ed ecco la sorpresa: mi sono accorto di quante persone conoscevo, tra quelle migliaia che riempivano la basilica e la assiepavano al di fuori. Ho stretto tante mani, ho ricambiato tanti saluti. Persone non soltanto conosciute, ma con le quali mi sentivo legato da un affetto sincero. E quelle che non conoscevo mi conoscevano e mi salutavano, chiamandomi per nome, come uno della famiglia. Era il popolo di Chiara. Era come se vedessi Chiara moltiplicata nella sua gente: sul volto di ognuno il volto di Chiara. Ecco il chicco di grano caduto in terra e morto che porta il suo frutto, mi son detto, ed ecco davanti a me la spiga piena.
 
Fabio Ciardi
 

 

Chiara Lubich e Madre Teresa

Nell’intervista rilasciata subito dopo la partenza di Madre Teresa per il Cielo, Chiara Lubich ripercorre le tappe salienti della loro profonda amicizia, evidenziando tra l’altro il “genio femminile” di Madre Teresa nel compimento della missione affidatale da Dio nella Chiesa.

 

Speaker: Due donne in dialogo: Madre Teresa e Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari.
Risale al 1978 il loro primo colloquio. Poi, negli anni, altri incontri e un intenso scambio di corrispondenza.
Il dialogo tra le due donne oggi più in vista nella Chiesa cattolica era profondo, centrato sulla comune scelta di Dio, realizzata nel concreto in opere dalle caratteristiche diverse.
Ma che cosa di Madre Teresa è rimasto più impresso in Chiara Lubich? La ascoltiamo al microfono di Adriana Masotti.


Chiara: Ricordo che la prima volta mi ha impressionato la sua determinazione. Si vedeva una creatura che vuole andare fino in fondo nella missione che Dio le ha dato. Un'altra cosa che mi ha colpita altre volte  è stata la sua semplicità, la sua unione con Dio costante. E anche mi ha colpito molto, specie adesso, in questi ultimi giorni, la sua eroicità quotidiana.

 

Adriana Masotti: C’è un ricordo particolare di Madre Teresa che ci vuol raccontare?
Chiara: Il ricordo forse più bello è stato proprio l’ultimo incontro; è stato appunto a New York. Era ammalata, a letto, aveva un grande mal di schiena; e lì è stata una cosa meravigliosa, perché mi hanno dato qualche momento ed invece sono rimasta 20 minuti, ed è stato, il canto del Magnificat, vorrei dire, di Madre Teresa, perché lei mi ha raccontato un po’ tutta la sua Opera, i 50 mila moribondi, che sono arrivati, secondo lei, in paradiso, e poi il suo voto che lei ha fatto di aiutare i più poveri dei poveri. Lei mi teneva per le mani, era ardentissima, era contentissima, era felicissima. E alla fine ci siamo abbracciate e così l’ho lasciata.

 

Adriana Masotti: Madre Teresa e Chiara Lubich: due fondatrici di opere in primo piano nell’attuale panorama della Chiesa. Che cosa c’era al centro del dialogo tra due personalità così?


Chiara: E' così: lei, già la prima volta, ha voluto sapere qualcosa del nostro Movimento. Io le ho raccontato pochissime parole e lei mi ha risposto: “Ciò che tu fai io non lo posso fare. Ciò che io faccio tu non lo puoi fare”. E poi, sempre sempre ripeteva, quando ci incontravamo, questa frase. Eravamo tutte e due incaricate di qualcosa da parte Dio perciò ci capivamo molto bene. Lei mi scriveva spesso e il suo concetto era sempre questo: “Chiara, fatti santa perché Dio è santo”. Perciò io ho l’impressione che deve essere stata questa la sua tensione continua.

 

Adriana Masotti: Il mondo di oggi avverte un particolare bisogno di punti di riferimento. Perché, secondo lei, Madre Teresa è riuscita a catalizzare tanta stima, tanta simpatia e non solo da parte dei credenti, ma anche da parte di atei e di indifferenti?


Chiara: Ma io penso che la cosa principale in Madre Teresa sia la presenza di Dio dentro di lei. Lei non lo ha mai tradito, lo ha sempre testimoniato. Lei ha manifestato sempre la sua unione con la Chiesa di Cristo. E lei non è mai stata di mezze misure. Ma ciò che attira, soprattutto la gioventù, è questo eroismo che lei ha mostrato nella sua vita, perché lei dal Vangelo ha preso proprio la parte di Gesù, che fa, vorrei dire, tutte le guarigioni, che risuscita dei morti ... E come Gesù con i miracoli, diciamo, con le guarigioni, ha testimoniato la sua divinità, Madre Teresa con le sue grandi cose eroiche ha testimoniato, e le sue figliole  continueranno a testimoniare la divinità di quell'Opera.  

 

Adriana Masotti: Madre Teresa veniva chiamata da tutti “la Madre”. Secondo lei Madre Teresa ha realizzato quello che il Papa definisce “genio femminile” nel portare avanti la sua Opera?


Chiara: Senz’altro, perché, secondo me, il genio femminile sta proprio qui: in ciò che aveva Maria di caratteristico. Lei non era tanto investita da un ministero, ecc., era investita dall’amore, dalla carità, che è il più grande dono, il più grande che viene dal cielo. E così Madre Teresa.

 

http://www.centrochiaralubich.org/it/documenti/scritti/4-scritto-it/2153-mmadre-teresa-di-calcutta-e-chiara-lubich-due-donne-in-dialogo.html

 

Madre Teresa di Calcutta sarà canonizzata il prossimo settembre 2016, nell'ambito del Giubileo straordinario. Lo riporta l’agenzia di stampa Agi, indicando come possibile data il lunedì 5 settembre, memoria liturgica della Beata, fondatrice delle Missionarie della Carità, e 19° anniversario della sua scomparsa. Secondo Vatican Insider, tuttavia, "è molto più probabile che la canonizzazione avvenga il giorno precedente, cioè domenica 4 settembre".

 

Come riporta il medesimo sito, "per arrivare a ufficializzare la canonizzazione sono però necessari ancora dei passi". "Il presunto miracolo attribuito all'intercessione della Beata albanese sarà preso in esame dai cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi il mese prossimo", si legge. "Anche se quello dei porporati non è un esame di merito - quello viene svolto dalla Consulta medica del Dicastero ed è già avvenuto con esito positivo - sono sempre possibili richieste di approfondimenti che possono far slittare i tempi del processo. Una volta che i cardinali e vescovi della Congregazione si sono pronunciati, la decisione viene presentata dal cardinale Prefetto al Papa, il quale approva il miracolo e quindi comunica la data della cerimonia al concistoro dei cardinali".

 

Il miracolo che potrebbe far elevare Madre Teresa sugli onori degli altari è la guarigione inspiegabile di un uomo brasiliano, della diocesi di Santos, all’ultimo stadio di un tumore maligno al cervello, avvenuta dopo che il malato aveva pregato intensamente Madre Teresa. Dalle Tac è improvvisamente scomparso il cancro che si era ormai esteso a un’ampia porzione del cervello.

 

Madre Teresa, al secolo Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu, era nata a Skopje, capitale dell'attuale Macedonia, il 26 agosto 1910. Fondò la Congregazione delle Missionarie della Carità e più tardi dei Fratelli Missionari della Carità. Per la sua opera di apostolato tra i poveri e i malati divenne presto simbolo di amore e carità. Tanto che il riconoscimento delle virtù eroiche e dei miracoli si aprì a meno di due anni dalla sua morte - avvenuta a Calcutta il 5 settembre 1997 - a causa della diffusa fama di santità. La cerimonia della sua beatificazione avvenne in piazza San Pietro il 19 ottobre 2003 presieduta da Giovanni Paolo II, legato alla religiosa da una profonda amicizia.

 

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro Mercoledì, 21 maggio 2025 UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì, 21 maggio 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Le parabole. 6. Il seminatore. Egli parlò loro di molte cose con parabole (Mt 13,3a)

Cari fratelli e sorelle,

Sono lieto di accogliervi in questa mia prima Udienza generale. Riprendo oggi il ciclo di catechesi giubilari, sul tema «Gesù Cristo Nostra Speranza», iniziate da Papa Francesco.

Continuiamo oggi a meditare sulle parabole di Gesù, che ci aiutano a ritrovare la speranza, perché ci mostrano come Dio opera nella storia. Oggi vorrei fermarmi su una parabola un po’ particolare, perché si tratta di una specie di introduzione a tutte le parabole. Mi riferisco a quella del seminatore (cfr Mt 13,1-17). In un certo senso, in questo racconto possiamo riconoscere il modo di comunicare di Gesù, che ha tanto da insegnarci per l’annuncio del Vangelo oggi.

Ogni parabola racconta una storia che è presa dalla vita di tutti i giorni, eppure vuole dirci qualcosa in più, ci rimanda a un significato più profondo. La parabola fa nascere in noi delle domande, ci invita a non fermarci all’apparenza. Davanti alla storia che viene raccontata o all’immagine che mi viene consegnata, posso chiedermi: dove sono io in questa storia? Cosa dice questa immagine alla mia vita? Il termine parabola viene infatti dal verbo greco paraballein, che vuol dire gettare innanzi. La parabola mi getta davanti una parola che mi provoca e mi spinge a interrogarmi.

La parabola del seminatore parla proprio della dinamica della parola di Dio e degli effetti che essa produce. Infatti, ogni parola del Vangelo è come un seme che viene gettato nel terreno della nostra vita. Molte volte Gesù utilizza l’immagine del seme, con diversi significati. Nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo, la parabola del seminatore introduce una serie di altre piccole parabole, alcune delle quali parlano proprio di ciò che avviene nel terreno: il grano e la zizzania, il granellino di senape, il tesoro nascosto nel campo. Cos’è dunque questo terreno? È il nostro cuore, ma è anche il mondo, la comunità, la Chiesa. La parola di Dio, infatti, feconda e provoca ogni realtà.

All’inizio, vediamo Gesù che esce di casa e intorno a Lui si raduna una grande folla (cfr Mt 13,1). La sua parola affascina e incuriosisce. Tra la gente ci sono ovviamente tante situazioni differenti. La parola di Gesù è per tutti, ma opera in ciascuno in modo diverso. Questo contesto ci permette di capire meglio il senso della parabola.

Un seminatore, alquanto originale, esce a seminare, ma non si preoccupa di dove cade il seme. Getta i semi anche là dove è improbabile che portino frutto: sulla strada, tra i sassi, in mezzo ai rovi. Questo atteggiamento stupisce chi ascolta e induce a domandarsi: come mai?

Noi siamo abituati a calcolare le cose – e a volte è necessario –, ma questo non vale nell’amore! Il modo in cui questo seminatore “sprecone” getta il seme è un’immagine del modo in cui Dio ci ama. È vero infatti che il destino del seme dipende anche dal modo in cui il terreno lo accoglie e dalla situazione in cui si trova, ma anzitutto in questa parabola Gesù ci dice che Dio getta il seme della sua parola su ogni tipo di terreno, cioè in qualunque nostra situazione: a volte siamo più superficiali e distratti, a volte ci lasciamo prendere dall’entusiasmo, a volte siamo oppressi dalle preoccupazioni della vita, ma ci sono anche i momenti in cui siamo disponibili e accoglienti. Dio è fiducioso e spera che prima o poi il seme fiorisca. Egli ci ama così: non aspetta che diventiamo il terreno migliore, ci dona sempre generosamente la sua parola. Forse proprio vedendo che Lui si fida di noi, nascerà in noi il desiderio di essere un terreno migliore. Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio.

Raccontando il modo in cui il seme porta frutto, Gesù sta parlando anche della sua vita. Gesù è la Parola, è il Seme. E il seme, per portare frutto, deve morire. Allora, questa parabola ci dice che Dio è pronto a “sprecare” per noi e che Gesù è disposto a morire per trasformare la nostra vita.

Ho in mente quel bellissimo dipinto di Van Gogh: Il seminatore al tramonto. Quell’immagine del seminatore sotto il sole cocente mi parla anche della fatica del contadino. E mi colpisce che, alle spalle del seminatore, Van Gogh ha rappresentato il grano già maturo. Mi sembra proprio un’immagine di speranza: in un modo o nell’altro, il seme ha portato frutto. Non sappiamo bene come, ma è così. Al centro della scena, però, non c’è il seminatore, che sta di lato, ma tutto il dipinto è dominato dall’immagine del sole, forse per ricordarci che è Dio a muovere la storia, anche se talvolta ci sembra assente o distante. È il sole che scalda le zolle della terra e fa maturare il seme.

Cari fratelli e sorelle, in quale situazione della vita oggi la parola di Dio ci sta raggiungendo? Chiediamo al Signore la grazia di accogliere sempre questo seme che è la sua parola. E se ci accorgessimo di non essere un terreno fecondo, non scoraggiamoci, ma chiediamo a Lui di lavorarci ancora per farci diventare un terreno migliore.

LEONE XIV