Martedì 23 Aprile 2024
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I Cappuccini


Padre Casimiro Bonetti

Fu il cappuccino ad accogliere la consacrazione a Dio di Chiara Lubich, il 7 dicembre 1943. La presidente Maria Voce: "La Provvidenza lo ha legato agli albori del Movimento"

 

Ci lascia una figura la cui storia si è intrecciata con quella di Chiara Lubich e dei Focolari. Messaggio della presidente Maria Voce in occasione della morte di P. Casimiro Bonetti.

 

 

Il Movimento dei Focolari esprime la propria sentita vicinanza all´Ordine dei Frati Minori Cappuccini per la dipartita di P. Casimiro Bonetti.

 

La Provvidenza di Dio ha voluto legare la sua persona agli albori del Movimento dei Focolari.
Fu lui, infatti, che il 7 dicembre 1943, accolse la consacrazione a Dio di Chiara Lubich.
Fu lui che in diverse circostanze si rivelò strumento di Dio.Si pensi alla risposta data a Chiara, avendone colto la generosità: "Si ricordi signorina: Dio la ama immensamente!". O al pensiero da lui espresso il 24 gennaio 1944 a proposito del momento più doloroso della passione di Gesù, che a suo parere era da individuare quando Egli gridò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).

 

Tali affermazioni, di cui egli stesso si è poi stupito riconoscendole frutto dell´agire dello Spirito Santo, hanno avuto nell´anima di Chiara Lubich una risonanza particolare. Grazie al carisma da Dio a lei donato, esse, insieme ad altre intuizioni da lei avute, sono divenute nel tempo fondamenti della spiritualità dell´unità che anima la vita del Movimento dei Focolari.

 

Conservando vivo il ricordo di P. Casimiro Bonetti, insieme a quanti in diverse maniere fanno parte del Movimento dei Focolari, assicuro la comune preghiera per lui con gratitudine e riconoscenza.

 

Maria Voce
Presidente del Movimento dei Focolari

2014 (Zenit.org) - Il Movimento dei Focolari esprime la propria sentita vicinanza all´Ordine dei Frati Minori Cappuccini per la scomparsa di padre Casimiro Bonetti. Fu proprio il frate ad accogliere,il 7 dicembre 1943, "la consacrazione a Dio di Chiara Lubich", come ricorda Maria Voce, presidente del Movimento.

 

"La Provvidenza di Dio ha voluto legare" la persona di padre Bonetti "agli albori" del Movimento dei Focolari - afferma in una nota - "fu lui che in diverse circostanze si rivelò strumento di Dio". La presidente dei Focolari ricorda anche la risposta data dal cappuccino alla Lubich, "avendone colto la generosità": "Si ricordi signorina: Dio la ama immensamente!". O anche "al pensiero da lui espresso il 24 gennaio 1944 a proposito del momento più doloroso della passione di Gesù, che a suo parere era da individuare quando Egli gridò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).

 

"Tali affermazioni, di cui egli stesso si è poi stupito riconoscendole frutto dell´agire dello Spirito Santo, hanno avuto nell´anima di Chiara Lubich una risonanza particolare", afferma Maria Voce. E aggiunge: "Grazie al carisma da Dio a lei donato, esse, insieme ad altre intuizioni da lei avute, sono divenute nel tempo fondamenti della spiritualità dell´unità che anima la vita del Movimento dei Focolari".

 

Il Movimento mantiene dunque vivo il ricordo di padre Bonetti, assicurando "la comune preghiera per lui con gratitudine e riconoscenza".

 

 

Io, Chiara Lubich e quella vocazione
   

25-01-2010  di Lucia Bellaspiga


fonte: Città Nuova

 

Novant'anni fa nasceva la fondatrice dei Focolari. Nelle parole ad "Avvenire" di padre Casimiro, il frate che ispirò la sua vocazione, il racconto degli esordi di un carisma rivoluzionario.


 

Casimiro Bonetti

 

Era solo un giovane frate, padre Casimiro da Perarolo, quando nel 1942 si sentì rivolgere una di quelle domande che, sotto la cenere, covano la miccia degli eventi epocali: «Perché non viene a predicare su da noi? Ci sono tre maestrine, che imparino qualcosa su san Francesco!». A parlare era padre Bruno da Verla, che sui monti di una Trento sventrata dalle bombe dava ricovero a decine di orfanelli mentre a valle la guerra infuriava.


«Avevo appena finito gli studi - racconta oggi padre Casimiro, 95 anni portati con estrema lucidità e ruvido vigore -. Il Superiore provinciale mi aveva affidato il Terz´Ordine francescano, così io andavo in giro a predicare. Anche quel giorno nell´orfanotrofio di Cognola alle tre giovanissime maestre parlai dell´ideale di san Francesco, del suo "fuoco d´amore". Alla fine chiesi loro che cosa ne pensassero e una sola, Lubich Silvia, mi rispose con parole che non ho mai dimenticato: "Padre, io non avevo mai sentito cose del genere. Voglio anch´io questo fuoco d´amore, voglio portarlo nel mondo". La guardai e la vidi ardere dello stesso fuoco». Presto la maestrina Silvia da Trento, anni 22, diventerà Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, la donna che farà del Vangelo la sua potente rivoluzione fondando una nuova corrente di spiritualità, fino a raccogliere uomini e donne di ogni categoria sociale, età, razza e cultura nel mondo intero. Tra molti anni ai cattolici si uniranno cristiani di altre Chiese, ebrei, musulmani, buddisti, non credenti, tutti misteriosamente attratti dal suo linguaggio universale. Prima donna cristiana, la Lubich sarà chiamata a parlare davanti a diecimila buddisti a Tokyo, a migliaia di islamici afro-americani nella moschea di Harlem a New York, alla comunità ebraica di Buenos Aires. Nel 1997 nel Palazzo di Vetro dell´Onu spiegherà ai grandi della terra l´unità dei popoli, e per decenni, fino alla sua morte avvenuta il 14 marzo del 2008, affascinerà con la forza del suo agire Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI...


«Ma eravamo nel 1942 - continua padre Casimiro - e mai avrei pensato... Tornai più volte nell´orfanotrofio a predicare e, vedendo il suo entusiasmo, le affidai altri giovani. Successe l´impensabile». Rapita dall´esempio del santo che lasciò tutto per seguire Cristo ("In foco amor mi mise"), Silvia volle offrirsi al Signore e prese il nome da Santa Chiara d´Assisi. «Non voleva farsi suora, desiderava offrirsi a Dio restando laica. Io le chiesi di pensarci bene, le dissi che poi, se avesse cambiato idea, solo il Santo Padre avrebbe potuto scioglierla dal voto, ma lei era raggiante. Mi raccontò che suo fratello, medico e comunista, le aveva trovato un bravo collega d´ospedale come marito, ma che lei ormai apparteneva a Dio e come Francesco voleva amarlo attraverso i fratelli».


Di nuovo sarebbe toccato a padre Casimiro accendere la miccia. Avvenne il 7 dicembre del 1943 quando, a tu per tu con una Chiara 23enne nella chiesetta dei Cappuccini di Trento, ebbe il privilegio di assistere al suo sì incondizionato: «Eravamo soli. Dissi Messa e lì Chiara si offrì a Dio, promise povertà, obbedienza e castità e partì per la sua grande avventura. Nasceva il Movimento dei Focolari...».
Un numero sempre maggiore di ragazze e ragazzi di Trento si lasciarono contagiare e la seguirono, soccorrendo con lei l´umanità dolente sotto le bombe. «Chiara infiammava chiunque la incontrasse. Ricordo benissimo l´impressione che riscossero un giorno a Trento tutte quelle ragazze che passavano, quasi duecento, belle, ordinate, ben vestite, alla testa del Corpus Domini... Un primo nucleo di giovani andò a vivere con lei nella prima casetta del Movimento, sotto il nostro convento». Ed è lì che per la terza volta il cappuccino si fa inconsapevole veicolo di Dio: «Una di loro, Doriana, andando ad assistere i senzatetto si era ammalata e quel giorno Chiara mi chiese di portarle l´Eucarestia a casa. Era il 1944». Una scena mai dimenticata: nel letto Doriana, lì accanto, seduta, Chiara. Al giovane frate salì spontanea una domanda, ancora oggi non sa spiegarsi come: qual è l´istante in cui Gesù ha sofferto di più? «Mi vengono ancora i brividi - ricorda padre Casimiro -. Non avevo idea di cosa stesse avvenendo, solo a pensarci mi viene da inginocchiarmi». Chiara provò a rispondergli: «Nell´orto dei Getsemani?». Il frate la corresse: «No, fu quando gridò al suo stesso Padre "perché anche tu mi hai abbandonato?", quello è stato il momento più atroce».


Fu un fulmine a ciel sereno. Chiara, folgorata dall´intuizione, stabilì l´ideale del suo Movimento: «Da quell´istante e per sempre prese con sé Gesù abbandonato, riconoscendolo in ogni fratello della famiglia umana». Nell´Uomo-Dio che dalla croce grida l´abbandono del Padre, Chiara trovava la chiave per ricomporre l´unità con il Creatore e tra tutti gli uomini: nasceva quel giorno il "progetto di unità" che sarà lo scopo della sua vita, orientata ad attuare l´ultima volontà di Cristo, che tutti siano uno.


Fino al giorno della morte la sua passione sarà la stessa, riportare al Padre il mondo sanato da ogni divisione e ricomposto nella fratellanza universale: Nel tuo giorno, mio Dio, verrò verso di Te con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia, scriverà... Ai suoi funerali in San Paolo fuori le Mura due anni fa portarono la loro testimonianza rappresentanti delle religioni orientali, dell´islam, dell´ebraismo, di confessioni cristiane, di movimenti ecclesiali, oltre a politici di ogni schieramento, tutti ugualmente trascinati dal carisma di Chiara Lubich... «Aveva una intelligenza fuori dal comune e si era iscritta a filosofia - prosegue il frate -, ma le consigliai di lasciar perdere: erano tempi duri, le dissi, stai invece accanto a questi poveretti che nei bombardamenti hanno perso tutto... Le trasmettevo le parole di Cristo, "quando due o più sono uniti nel mio nome, sono io in mezzo a loro", e lei le ha diffuse in modo nuovo, rivoluzionario».


L´estate scorsa a trovare padre Casimiro è arrivata una cinquantina di giovani studenti di teologia dalla Terra del Fuoco alla Corea, piccola rappresentanza di quel popolo di Chiara che ormai abita tutta la Terra. «Sono venuti nel giorno in cui compivo i 70 anni di ordinazione sacerdotale, volevano conoscere gli esordi di Chiara, sentire dalla mia voce ciò che avevo visto, anche ringraziarmi, ma io ero stato solo la scintilla inconsapevole: nulla avviene per caso e il Signore si era servito di me tre volte per indicarle la via».
 

Per questo, forse, nel maggio del 1915 al piccolo Casimiro, figlio di un ferroviere abruzzese, era toccato nascere non all´ombra del Gran Sasso ma delle Dolomiti bellunesi. E il suo destino era già scritto quando, giunti a Rovereto, la mamma («ogni volta che papà veniva trasferito, lei cercava subito la chiesa più vicina a casa») buttò gli occhi sulla cappella dei Cappuccini «e tutte le mattine mi portava a Messa qui, dove un giorno avrei trovato la vocazione». Poi a Trento l´incontro con Chiara, 22 anni lei e 27 lui: due giovani vite che si sarebbero sfiorate qualche mese. Giusto il tempo per cambiare il mondo.
 
 
Da Avvenire del 23 gennaio 2010


 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco