Martedì 28 Marzo 2023
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Testimoni del nostro tempo


Marcello Candia, l'industriale per i poveri

Promulgato il decreto sul riconoscimento delle virtù eroiche del Servo di Dio che spese la sua vita per aiutare gli "ultimi" nella lontana Amazzonia

 

MILANO, 17 Luglio 2014 (Zenit.org) - L´8 luglio 2014, la Congregazione dei Santi ha promulgato il decreto sul riconoscimento delle virtù eroiche del servo di Dio dott. Marcello Candia, missionario laico in Amazzonia brasiliana dal 1965 al 1983, dove ha speso la sua vita di volontario fra i poveri e i lebbrosi e tutte le sue sostanze.

 

Marcello Candia (1916-1983), figlio di un industriale milanese, nato a Portici (Napoli), eredita dal padre la fabbrica di acido carbonico, la dirige per 18 anni con successo, fondando tre  nuovi stabilimenti. Ma Dio lo chiamava ad essere "l'industriale della carità". Fin da giovane studente (tre lauree in chimica, biologia e farmacologia), divideva il suo tempo fra l'industria paterna e le opere di carità nella sua Milano: il "Villaggio della madre e del fanciullo", l'assistenza ai profughi dai campi di concentramento tedeschi, un dispensario medico gratuito per i poveri, l'aiuto ai baraccati delle periferie milanesi (dove da adolescente mamma Luigia portava i cinque figli alla domenica pomeriggio), il "Collegio degli studenti d'Oltremare" voluto dal card. Montini.

 

Non si era sposato per fare opere di bene e sentiva profondamente anche la chiamata alle missioni. Fonda la scuola di medicina per missionari (all'Università di Milano) e sostiene i primi organismi di laicato missionario in Italia. Nel 1949 incontra mons. Aristide Pirovano, missionario del Pime e fondatore della diocesi di Macapà alle foci del Rio delle Amazzoni, che lo invita ad andare con lui per fondare un ospedale per i poveri. Marcello va in Amazzonia e si appassiona di quel popolo, ma solo nel 1964, a 49 anni, riesce a vendere la sua fiorente industria e va a Macapà con i missionari del Pime, donandosi totalmente a quella missione.

 

La sua vita, nei 19 anni di Amazzonia (muore nel 1983 di cancro al fegato) è tutta una corsa contro il tempo per realizzare e finanziare molte opere di bene: l'ospedale di Macapà, allora il più grande e moderno dell'Amazzonia brasiliana, il rifacimento del lebbrosario di Marituba (con 2000 lebbrosi), nella foresta presso Belem, centri sociali e casette per i poveri, scuola per infermiere, aiuti a tutte le missioni del Brasile povero che ricorrevano a lui.

 

All'inizio, in Amazzonia, aveva più d'un miliardo di lire (del 1964), spende tutto e incominciano ad arrivargli le offerte dei suoi ex-dipendenti, di molti amici e di tanti altri che venivano a conoscenza della sua avventura. Marcello mandava foto e lettere e tornava un mese l'anno in Italia per rispondere a inviti di conferenze e interviste. Avendo venduto anche la sua casa a Milano, in Italia era ospite del Pime, che gli organizzava gli incontri e le interviste a giornali, radio e televisioni.

 

 Dove sta la grandezza di questo "santo" del nostro tempo, modello per i laici missionari? Nella sua profonda vita di fede e di pietà e nella sua carità. Si definiva "un semplice battezzato": non apparteneva ad alcuna associazione o movimento ecclesiale; un uomo libero, con una spiritualità profonda ma elementare, che s'è santificato con le preghiere del "Manuale del buon cristiano". Era il santo della carità, il santo della Croce e il santo della gioia. In quel tempo di dittatura in Brasile, i militari sospettavano di questo riccone che va a spendere i suoi soldi in una regione ai confini del Paese e vive poveramente. Lo sorvegliavano, ostacolavano, umiliavano e lui sopportava con pazienza. Il governatore militare di Macapà dice al vescovo mons. Giuseppe Maritano: "Mi spieghi lei questo mistero. Vedo che il dottor Candia s'interessa solo dell'ospedale e spende tutto quel che ha per i poveri.. Però, quando gli parlo mi sembra una persona normale". Mons. Maritano ha testimoniato: "Voleva che l'ospedale fosse per i poveri, perché questo era l'unico scopo per il quale l'aveva costruito. Diceva: 'Se c'è un malato povero e uno ricco, prima ospitiamo il povero e poi, se c'è posto, il ricco, che può rivolgersi all'ospedale governativo. Io voglio un ospedale missionario per i poveri e quindi dev'essere per forza passivo. Se è in attivo vuol dire che non è più missionario e per i poveri'. Marcello pagava tutte le spese e i passivi".

 

Il mistero della sua vita sta tutto nella sua preghiera. Pregava molto, una preghiera semplice e continua, aveva sempre il pensiero rivolto a Dio e ha portato in Brasile le Carmelitane di Firenze, costruendo due loro conventi, perché diceva: "La preghiera è il carburante delle opere di bene".

 

Ho accompagnato Marcello nella visita a diversi lebbrosi. Si inginocchiava vicino al letto, baciava quei malati e mi diceva: "In ogni malato c'è Gesù". Faceva una vita di grandi rinunzie e sofferenze, anche per visitare le sue opere in tutti il Brasile dei poveri (quando è morto finanziava 14 opere da lui fondate). In Brasile ha avuto cinque infarti e un'operazione al cuore, non sarebbe dovuto tornare in Amazzonia, ma lui è stato fedele alla chiamata di Dio.

 

Nel 1975 il presidente del Brasile dà a Marcello Candia l'onorificenza più importante del paese - "Cruzeiro do Sul" - e il più importante settimanale illustrato brasiliano, Manchete di Rio de Janeiro, gli dedicò un articolo intitolato: "L'uomo più buono del Brasile", che incominciava con queste parole: "Il nostro Paese è terra di conquista per finanzieri e industriali italiani. Molti vengono da noi ad impegnare i loro capitali allo scopo di guadagnarne altri. Marcello Candia, ricco industriale milanese, vive in Amazzonia da dieci anni, vi ha speso tutte le sue sostanze, con uno scopo ben diverso: aiutare gli indios, i caboclos, i lebbrosi, i poveri. L'abbiamo eletto l'uomo più buono del Brasile per l'anno 1975".

 

Nel 1982, un anno prima di morire, Marcello ha istituito la Fondazione Candia per continuare a mantenere le opere da lui fondate; oggi la Fondazione finanzia più opere di quante ne ha lasciate Marcello. Indirizzo: Fondazione dott. Marcello Candia - Via P. Colletta, 21, 20135 Milano, tel. 02.546.37.89. Chiedere DVD e filmati, immaginette e il bollettino "Lettera agli Amici di Marcello Candia".

 

Per conoscere Marcello Candia: P. Gheddo, "Marcello dei lebbrosi", la biografia che è un romanzo d'avventure e le sue "Lettere dall'Amazzonia", una lettura appassionante e commovente. Chiedere questi libri a P. Piero Gheddo, Pime, Via Monterosa,81 - 20149 Milano - Tel. 02.43.82.04.18.

 

 



 

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Messaggio Cristiano
Angelus, 26 Marzo 2023

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta la risurrezione di Lazzaro (cfr Gv 11,1-45). È l’ultimo dei miracoli di Gesù narrati prima della Pasqua: la risurrezione del suo amico Lazzaro. Lazzaro è un caro amico di Gesù, il quale sa che sta per morire; si mette in cammino, ma arriva a casa sua quattro giorni dopo la sepoltura, quando ogni speranza è ormai perduta. La sua presenza però riaccende un po’ di fiducia nel cuore delle sorelle Marta e Maria (cfr vv. 22.27). Esse, pur nel dolore, si aggrappano a questa luce, a questa piccola speranza. E Gesù le invita ad avere fede e chiede di aprire il sepolcro. Poi prega il Padre e grida a Lazzaro: «Vieni fuori!» (v. 43). E questi torna a vivere ed esce. Questo è il miracolo, così, semplice.

Il messaggio è chiaro: Gesù dà la vita anche quando sembra non esserci più speranza. Capita, a volte, di sentirsi senza speranza – a tutti è capitato questo –, oppure di incontrare persone che hanno smesso di sperare, amareggiate perché hanno vissuto cose brutte, il cuore ferito non può sperare. Per una perdita dolorosa, una malattia, una delusione cocente, per un torto o un tradimento subito, per un grave errore commesso… hanno smesso di sperare. A volte sentiamo qualcuno che dice: “Non c’è più niente da fare!”, e chiude la porta ad ogni speranza. Sono momenti in cui la vita sembra un sepolcro chiuso: tutto è buio, intorno si vedono solo dolore e disperazione. Il miracolo di oggi ci dice che non è così, la fine non è questa, che in questi momenti non siamo soli, anzi che proprio in questi momenti Lui si fa più che mai vicino per ridarci vita. Gesù piange: il Vangelo dice che Gesù, davanti al sepolcro di Lazzaro ha pianto, e oggi Gesù piange con noi, come ha potuto piangere per Lazzaro: il Vangelo ripete due volte che si commosse (cfr vv. 33.38) e sottolinea che scoppiò in pianto (cfr v. 35). E al tempo stesso Gesù ci invita a non smettere di credere e di sperare, a non lasciarci schiacciare dai sentimenti negativi, che ti tolgono il pianto. Si avvicina ai nostri sepolcri e dice a noi, come allora: «Togliete la pietra» (v. 39). In questi momenti noi abbiamo come una pietra dentro e l’unico capace di toglierla è Gesù, con la sua parola: “Togliete la pietra”.

Questo dice Gesù, anche a noi. Togliete la pietra: il dolore, gli errori, anche i fallimenti, non nascondeteli dentro di voi, in una stanza buia e solitaria, chiusa. Togliete la pietra: tirate fuori tutto quello che c’è dentro. “Ah, mi dà vergogna”. Gettatelo in me con fiducia, dice il Signore, io non mi scandalizzo; gettatelo in me senza timore, perché io sono con voi, vi voglio bene e desidero che torniate a vivere. E, come a Lazzaro, ripete a ognuno di noi: Vieni fuori! Rialzati, riprendi il cammino, ritrova fiducia! Quante volte, nella vita, ci siamo trovati così, in questa situazione di non avere forza per rialzarci. E Gesù: “Vai, vai avanti! Io sono con te”. Ti prendo io per mano, dice Gesù, come quando da piccolo imparavi a fare i primi passi. Caro fratello, cara sorella, togliti le bende che ti legano (cfr v. 45); per favore, non cedere al pessimismo che deprime, non cedere al timore che isola, non cedere allo scoraggiamento per il ricordo di brutte esperienze, non cedere alla paura che paralizza. Gesù ci dice: “Io ti voglio libero, ti voglio vivo, non ti abbandono e sono con te! È tutto buio, ma io sono con te! Non lasciarti imprigionare dal dolore, non lasciar morire la speranza. Fratello, sorella, ritorna a vivere!” – “E come faccio?” – “Prendimi per mano”, e Lui ci prende per mano. Lasciati tirare fuori: e Lui è capace di farlo. In questi momenti brutti che succedono a tutti noi.

Cari fratelli e sorelle, questo brano del capitolo 11 del Vangelo di Giovanni, che fa tanto bene leggere, è un inno alla vita, e lo si proclama quando la Pasqua è vicina. Forse anche noi in questo momento portiamo nel cuore qualche peso o qualche sofferenza, che sembrano schiacciarci; qualche cosa brutta, qualche peccato vecchio che non riusciamo a tirare fuori, qualche errore di gioventù, non si sa mai. Queste cose brutte devono uscire. E Gesù dice: “Vieni fuori!”. Allora è il momento di togliere la pietra e di uscire incontro a Gesù, che è vicino. Riusciamo ad aprirgli il cuore e ad affidargli le nostre preoccupazioni? Lo facciamo? Riusciamo ad aprire il sepolcro dei problemi, siamo capaci, e a guardare oltre la soglia, verso la sua luce, o abbiamo paura di questo? E a nostra volta, come piccoli specchi dell’amore di Dio, riusciamo a illuminare gli ambienti in cui viviamo con parole e gesti di vita? Testimoniamo la speranza e la gioia di Gesù? Noi, peccatori, tutti? E anche, vorrei dire una parola ai confessori: cari fratelli, non dimenticatevi che anche voi siete peccatori, e siete nel confessionale non per torturare, per perdonare, e perdonare tutto, come il Signore perdona tutto. Maria, Madre della speranza, rinnovi in noi la gioia di non sentirci soli e la chiamata a portare luce nel buio che ci circonda.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, solennità dell’Annunciazione, abbiamo rinnovato la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, nella certezza che solo la conversione dei cuori può aprire la strada che conduce alla pace. Continuiamo a pregare per il martoriato popolo ucraino.

E restiamo vicini anche ai terremotati della Turchia e della Siria. A loro è destinata la speciale raccolta di offerte che si svolge oggi in tutte le parrocchie d’Italia. Preghiamo anche per la popolazione dello Stato del Mississippi, colpite da un devastante tornado.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini di tanti Paesi, in particolare quelli di Madrid e di Pamplona e i messicani; come pure i peruviani, rinnovando la preghiera per la riconciliazione e la pace nel Perù. Dobbiamo pregare per il Perù, che sta soffrendo tanto.

Saluto i fedeli di Zollino, Rieti, Azzano Mella e Capriano del Colle, Bellizzi, Crotone e Castelnovo Monti con l’Unitalsi; e saluto i cresimandi di Pavia, Melendugno, Cavaion e Sega, Settignano e Prato; i ragazzi di Ganzanigo, Acilia e Longi; e l’Associazione Amici del Crocifisso delle Marche.

Rivolgo un saluto speciale alla delegazione dell’Aeronautica Militare Italiana, che celebra il centenario di fondazione. Formulo i miei auguri per questa ricorrenza e vi incoraggio ad operare sempre per la costruzione della giustizia e della pace.

Prego per tutti voi e fatelo per me. E a tutti auguro una buona domenica. Buon pranzo e arrivederci.

Papa Francesco


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