Venerdì 19 Aprile 2024
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Letture e meditazioni


Il bosone di Higgs: questione di scienza

La metafisica si muove su livelli diversi

CHE COSA È IL BOSONE DI HIGGS E COSA RAPPRESENTA LA SUA SCOPERTA PER LA COMUNITÀ SCIENTIFICA? PERCHÉ È COSI IMPORTANTE?

 

Lo sviluppo di acceleratori di particelle, che funzionano come potentissimi microscopi, ha permesso di studiare la struttura dei protoni e neutroni e di scoprire i quark e altre particelle elementari. I fisici teorici hanno studiato come rappresentare in un modello unitario le diverse particelle e le forze con cui queste interagiscono. E´ cosi nato il Modello Standard (MS) che descrive i costituenti elementari della materia e le forze fondamentali che li legano ma i conti tornano solo ipotizzando che le particelle elementari abbiano massa 0. Ciò è in contrasto con gli esperimenti. Per superare questa difficoltà il fisico inglese Peter Higgs postulò nel 1964 l´esistenza di un campo nuovo (di Higgs) dalla cui interazione con le particelle nasceva la massa. Introducendo questo campo nel MS la teoria rimane valida e le particelle acquistano la massa giusta. Ma come verificare ciò sperimentalmente? Higgs, per analogia con gli altri campi, ipotizzò che dovesse esistere una particella legata a quel campo appunto il bosone di Higgs. I tentativi di osservare questa particella sono durati 48 anni e solo la disponibilità al CERN di Ginevra di LHC il più grande acceleratore del mondo ha permesso di creare le condizioni perché si formasse questa particella. L´averla rivelata rappresenta la conferma sperimentale dell´ipotesi di Higgs e quindi della validità del MS. Questi esperimenti rappresentano un grande successo sia della scienza e del suo modo di procedere sia della tecnologia che è stata capace di realizzare al CERN un acceleratore unico al mondo e dei sistemi di rivelazione e trattamento dati che sono quanto di più avanzato e complesso abbia mai prodotto l´uomo.

 

PERCHÉ DA ALCUNI È STATA DEFINITA LA PARTICELLA DI DIO?

 

Il premio Nobel Leon Lederman voleva intitolare un suo scritto divulgativo sul bosone di Higgs (1993) "The Goddamn Particle: se l´universo è la risposta quale è la domanda". L´editore sembra abbia modificato "the Goddamn particle" cioè la "dannata particella" in "the God Particle" la particella di Dio certamente più attraente per il gran pubblico. La sovraesposizione mediatica cosi acquisita dal bosone di Higgs lo ha reso molto popolare e ha forse favorito la concessione di finanziamenti per la sua ricerca, ma tale particella con Dio non ha proprio nulla a che fare!

 

DOPO IL BOSONE DI HIGGS COSA CI ASPETTA?

 

Individuato a 126 Gev il bosone di Higgs si apre adesso un periodo di grande interesse per la fisica delle particelle e per l´astrofisica. E´ ora necessario misurare le proprietà di questa particella, la sua precisa natura, se essa rappresenta soltanto il completamento del MS oppure le sue caratteristiche permetteranno di capire di più quel 96% dell´Universo che rimane oscuro. Ci vorrà ancora molto tempo, molta ricerca, molto impegno, ma è certo che la finestra che si è aperta farà fare un grande passo in avanti alla nostra conoscenza della struttura fondamentale della materia e getterà nuova luce sui misteri dell´Universo.

 

QUESTA SCOPERTA SCIENTIFICA PUÒ LIMITARE LA RIFLESSIONE METAFISICA?

 

Certamente no! La scienza studia infatti la realtà naturale, osservabile e misurabile, procede creando modelli e verificandone sperimentalmente la validità e la capacità predittiva. Per la scienza è determinante l´aderenza e il rispetto dei fatti. Affermava Planck: "Quanto più un pensatore è ricco di idee e di fantasia tanto più è necessario che si ponga in mente che i fatti sono il fondamento senza il quale la scienza non può esistere e tanto più coscienziosamente deve chiedersi se egli li apprezza come si deve". La riflessione metafisica (filosofica o teologica) si muove su livelli diversi di conoscenza e se è vero che concetti metafisici sono e sono stati utili alla scienza (p.e. Concetti come la contingenza del tempo e dello spazio, la simmetria, l´unitarietà etc.) non credo che argomenti scientifici possano essere utilizzati nelle riflessioni metafisiche come lo sono nella scienza. Solo nell´integrazione dell´esperienza, della conoscenza e della coscienza in ciascuno di noi nasce l´unicità della persona e la sua specificità nel rapporto con la metafisica e in particolare con la fede. James Clerk Maxwell, il grande fisico scozzese, uno dei padri della fisica moderna, riteneva che lo scienziato nella sua attività di comprensione della natura riproducesse in certo modo lo schema dell´azione creativa di Dio. "Felice l´uomo - egli scrisse - che può riconoscere nel lavoro di oggi una parte non isolata del lavoro della vita e una realizzazione del lavoro dell´Eternità. I fondamenti della sua fiducia sono immutabili perché egli è stato fatto partecipe dell´infinito. Egli lavora strenuamente per compiere le sue imprese quotidiane perché il presente gli è dato in possesso. Cosi l´uomo dovrebbe essere una personificazione del processo divino della natura e portare alla luce l´unione dell´infinito col finito, senza togliere valore alla sua esistenza temporale, anzi ricordando che solo in essa è possibile l´azione individuale e tuttavia senza escludere dalla sua visione ciò che è eterno, sapendo che il tempo è un mistero di cui l´uomo non può sostenere la contemplazione se non lo illumina l´eterna verità".

 

* Professore Emerito di Fisica Sperimentale
Università di Firenze



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco