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Migranti. Papa Francesco: solidarietà e misericordia le uniche risposte sensate

A 5 anni dalla visita a Lampedusa il Papa ricorda le vittime dei naufragi. Dio ha bisogno nelle nostre mani per soccorrere e della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio

venerdì 6 luglio 2018

 
Papa Francesco: solidarietà e misericordia le uniche risposte sensateL’8 luglio di 5 anni fa papa Francesco visitò Lampedusa, luogo simbolo della sofferenza di tanti migranti nel Mediterraneo.  Nel primo viaggio al di fuori del Vaticano, volle denunciare quella "globalizzazione dell'indifferenza" che rende insensibili alle grida degli altri.
E oggi il Papa ha scelto di rinnovare nella preghiera un tributo alle vittime dei naufragi, ai sopravvissuti e a chi li assiste.

"Il Signore promette ristoro e liberazione a tutti gli oppressi del mondo, ma ha bisogno di noi per rendere efficace la sua promessa. Ha bisogno dei nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli e delle sorelle - ha sottolineato nell'omelia della Messa in San Pietro per le persone migranti - . Ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti".

 

IL TESTO DELL'OMELIA DELLA MESSA PER I MIGRANTI

 

Nella Messa per le vittime dei naufragi, per le tante troppe persone morte su tutte le rotte migratorie il Papa ha citato un passo del Vangelo di Matteo nel quale Gesù rimprovera i farisei, facili a subdole mormorazioni: "Andate a imparare che cosa vuol dire: 'Misericordia io voglio e non sacrifici' (9,13). È un'accusa diretta verso l’ipocrisia sterile di chi non vuole “sporcarsi le mani”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano. Si tratta di una tentazione ben presente anche ai nostri giorni, che si traduce in una chiusura nei confronti di quanti hanno diritto, come noi, alla sicurezza e a una condizione di vita dignitosa, e che costruisce muri, reali o immaginari, invece di ponti".

 

Il Papa ha ringraziato chi presta soccorsi nel Mar Mediterraneo che si fermano "per salvare la vita del povero picchiato dai banditi, senza chiedergli chi sia, la sua origine, i motivi del suo viaggio o i documenti e semplicemente decide di prendere in carico e salvare la sua vita".

 

E a chi è stato salvato, "voglio ribadire - ha aggiunto Francesco - la mia solidarietà e incoraggiamento, poiché conosco bene le tragedie dalle quali state scappando. Vi chiedo di continuare ad essere testimoni di speranza in un mondo sempre più preoccupato per il suo presente, con pochissima visione del futuro e riluttanza a condividere". E al tempo stesso ad avere "rispetto per la cultura e le leggi del Paese che vi accoglie" per mettere in campo "congiuntamente un percorso di integrazione".

"Superare tutte le paure e le inquietudini": è l'appello finale con cui il Papa ha concluso l'omelia della Messa per le persone migranti.

 

A Lampedusa, in quel lembo di terra tra Tunisia e Italia, Francesco già 5 anni fa parlò di "immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte": con queste parole scelse di aprire l’omelia della Messa al Campo sportivo "Arena", davanti a 10mila persone, da un palco costruito anche con i relitti di quelle barche naufragate, con un pensiero "come una spina nel cuore" per una e, insieme, tante tragedie.
 

 


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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 11 Dicembre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.

In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.

Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.

È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.

Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!

Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].

Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.

L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!

[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.

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