Sabato 20 Aprile 2024
Contempliamo qui le meraviglie del creato
Amore al fratello!ContattiLa Parola di DioBlog
A tutto campo


Migranti. Papa Francesco: solidarietà e misericordia le uniche risposte sensate

A 5 anni dalla visita a Lampedusa il Papa ricorda le vittime dei naufragi. Dio ha bisogno nelle nostre mani per soccorrere e della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio

venerdì 6 luglio 2018

 
Papa Francesco: solidarietà e misericordia le uniche risposte sensateL’8 luglio di 5 anni fa papa Francesco visitò Lampedusa, luogo simbolo della sofferenza di tanti migranti nel Mediterraneo.  Nel primo viaggio al di fuori del Vaticano, volle denunciare quella "globalizzazione dell'indifferenza" che rende insensibili alle grida degli altri.
E oggi il Papa ha scelto di rinnovare nella preghiera un tributo alle vittime dei naufragi, ai sopravvissuti e a chi li assiste.

"Il Signore promette ristoro e liberazione a tutti gli oppressi del mondo, ma ha bisogno di noi per rendere efficace la sua promessa. Ha bisogno dei nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli e delle sorelle - ha sottolineato nell'omelia della Messa in San Pietro per le persone migranti - . Ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti".

 

IL TESTO DELL'OMELIA DELLA MESSA PER I MIGRANTI

 

Nella Messa per le vittime dei naufragi, per le tante troppe persone morte su tutte le rotte migratorie il Papa ha citato un passo del Vangelo di Matteo nel quale Gesù rimprovera i farisei, facili a subdole mormorazioni: "Andate a imparare che cosa vuol dire: 'Misericordia io voglio e non sacrifici' (9,13). È un'accusa diretta verso l’ipocrisia sterile di chi non vuole “sporcarsi le mani”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano. Si tratta di una tentazione ben presente anche ai nostri giorni, che si traduce in una chiusura nei confronti di quanti hanno diritto, come noi, alla sicurezza e a una condizione di vita dignitosa, e che costruisce muri, reali o immaginari, invece di ponti".

 

Il Papa ha ringraziato chi presta soccorsi nel Mar Mediterraneo che si fermano "per salvare la vita del povero picchiato dai banditi, senza chiedergli chi sia, la sua origine, i motivi del suo viaggio o i documenti e semplicemente decide di prendere in carico e salvare la sua vita".

 

E a chi è stato salvato, "voglio ribadire - ha aggiunto Francesco - la mia solidarietà e incoraggiamento, poiché conosco bene le tragedie dalle quali state scappando. Vi chiedo di continuare ad essere testimoni di speranza in un mondo sempre più preoccupato per il suo presente, con pochissima visione del futuro e riluttanza a condividere". E al tempo stesso ad avere "rispetto per la cultura e le leggi del Paese che vi accoglie" per mettere in campo "congiuntamente un percorso di integrazione".

"Superare tutte le paure e le inquietudini": è l'appello finale con cui il Papa ha concluso l'omelia della Messa per le persone migranti.

 

A Lampedusa, in quel lembo di terra tra Tunisia e Italia, Francesco già 5 anni fa parlò di "immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte": con queste parole scelse di aprire l’omelia della Messa al Campo sportivo "Arena", davanti a 10mila persone, da un palco costruito anche con i relitti di quelle barche naufragate, con un pensiero "come una spina nel cuore" per una e, insieme, tante tragedie.
 

 


Documenti allegati

 I vantaggi

 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco