Mercoledì 7 Giugno 2023
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Letture e meditazioni


San Giuseppe nel Canone della Messa

Intervista a padre Tarcisio Stramare, OSJ, direttore del Movimento Giuseppino

 

 

Papa Francesco ha dato al mondo la gioia di poter menzionare San Giuseppe, lo sposo di Maria Santissima, in tre delle preghiere eucaristiche della messa di rito romano, come proposto dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

 

Per approfondire i contenuti di questa decisione, ZENIT ha intervistato padre Tarcisio Stramare, sacerdote degli Oblati di San Giuseppe, e instancabile direttore del Movimento Giuseppino a Roma, istituto che studia e medita una figura salvifica come quella di San Giuseppe, spesso non compresa a sufficienza dagli studi teologici e catechetici.

 

Padre Tarcisio, come ha accolto questa nuova disposizione di papa Francesco?

 

Padre Stramare: A essere sincero, l’ho ricevuta come un atto “dovuto” e sono grato a papa Francesco per questa decisione. Tenuto conto che Giovanni XXIII aveva disposto di inserire il nome di san Giuseppe nel Canone Romano, allora “unico”, sembrava logico, infatti, che eventuali altri Canoni seguissero la stessa norma.

 

Che cosa intende il Papa con questa decisione?

 

Padre Stramare: Penso che Papa Francesco abbia voluto porre fine ad un’attesa che si protraeva ormai da oltre 50 anni.

 

Perché questo riferimento esplicito alle preghiere II, III e IV del Canone Romano?

 

Padre Stramare: Probabilmente in vista della terza edizione tipica del Messale Romano. Il silenzio circa “altri” Canoni, già esistenti o futuri, lascia supporre una diversa interpretazione.

 

C’era bisogno di un intervento così?

 

Padre Stramare: Nel testo del Decreto sono indicati i motivi che giustificano l’inserimento. Oltre alla santità di san Giuseppe, emerge soprattutto il suo ruolo nel piano della salvezza: la cura paterna di Gesù; lo status di “capo della Famiglia di Gesù”; l’amorevole cura della Madre del Figlio; l’impegno nell’educazione di Gesù Cristo; il patrocino sulla Chiesa.

 

Il Papa ha voluto sottolineare lo status di marito di san Giuseppe. Perché?

 

Padre Stramare: Perché il titolo di “sposo” è indispensabile sia per onorare la maternità di Maria, sia,  in particolare, per garantire a Gesù la discendenza davidica, necessaria per il titolo di “Cristo”, come insegna l’evangelista Matteo. 

 

Quindi senza san Giuseppe...

 

Padre Stramare: Senza san Giuseppe, inoltre, non esisterebbe la “Santa Famiglia”, “mistero salvifico”, che colloca san Giuseppe, insieme con Maria, nell’ordine dell’Unione ipostatica! L’Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II  è esplicita in proposito. La pastorale della famiglia ha urgente bisogno di approfondire questa dottrina.

 

Pensa che ora ci sarà una crescita nella devozione e nel culto di san Giuseppe?

 

Padre Stramare: La devozione del popolo cristiano verso san Giuseppe c’è sempre stata ed è ben radicata, come espressamente riconosciuto nel Decreto. Anche la Liturgia e i documenti del Magistero onorano convenientemente san Giuseppe. Quello che manca, invece, è il supporto dei teologi e dei catechisti, che continuano a considerare irrilevante il ruolo di San Giuseppe nel mistero dell’Incarnazione.

 



 

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Messaggio Cristiano
Angelus, 4 Giugno

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, Solennità della Santissima Trinità, il Vangelo è tratto dal dialogo di Gesù con Nicodemo (cfr Gv 3,16-18). Nicodemo era un membro del Sinedrio, appassionato del mistero di Dio: riconosce in Gesù un maestro divino e di nascosto, di notte, va a parlare con Lui. Gesù lo ascolta, capisce che è un uomo in ricerca e allora prima lo stupisce, rispondendogli che per entrare nel Regno di Dio bisogna rinascere; poi gli svela il cuore del mistero dicendo che Dio ha amato così tanto l’umanità da mandare il suo Figlio nel mondo. Gesù, dunque, il Figlio, ci parla del Padre e del suo amore immenso.

Padre e Figlio. È un’immagine familiare che, se ci pensiamo, scardina il nostro immaginario su Dio. La parola stessa “Dio”, infatti, ci suggerisce una realtà singolare, maestosa e distante, mentre sentir parlare di un Padre e di un Figlio ci riporta a casa. Sì, possiamo pensare Dio così, attraverso l’immagine di una famiglia riunita a tavola, dove si condivide la vita. Del resto, quella della mensa, che allo stesso tempo è un altare, è un simbolo con cui certe icone raffigurano la Trinità. È un’immagine che ci parla di un Dio comunione. Padre, Figlio e Spirito Santo: comunione.

Ma non è solo un’immagine, è realtà! È realtà perché lo Spirito Santo, lo Spirito che il Padre mediante Gesù ha effuso nei nostri cuori (cfr Gal 4,6), ci fa gustare, ci fa assaporare la presenza di Dio: presenza sempre vicina, compassionevole e tenera. Lo Spirito Santo fa con noi come Gesù con Nicodemo: ci introduce nel mistero della nuova nascita – la nascita della fede, della vita cristiana –, ci svela il cuore del Padre e ci rende partecipi della vita stessa di Dio.

L’invito che ci rivolge, potremmo dire, è quello di stare a tavola con Dio per condividere il suo amore. Questa è l’immagine. Questo è ciò che succede in ogni Messa, all’altare della mensa eucaristica, dove Gesù si offre al Padre e si offre per noi. E sì, è così, fratelli e sorelle, il nostro Dio è comunione d’amore: così ce lo ha rivelato Gesù. E sapete come possiamo fare a ricordarlo? Con il gesto più semplice, che abbiamo imparato da bambini: il segno della croce. Tracciando la croce sul nostro corpo ci ricordiamo quanto Dio ci ha amato, fino a dare la vita per noi; e ripetiamo a noi stessi che il suo amore ci avvolge completamente, dall’alto in basso, da sinistra a destra, come un abbraccio che non ci abbandona mai. E al tempo stesso ci impegniamo a testimoniare Dio-amore, creando comunione nel suo nome. Forse adesso, ognuno di noi, e tutti insieme, facciamo il segno della croce su di noi [fa il segno della croce].

Oggi allora possiamo chiederci: noi testimoniamo Dio-amore? Oppure Dio-amore è diventato a sua volta un concetto, qualcosa di già sentito, che non smuove e non provoca più la vita? Se Dio è amore, le nostre comunità lo testimoniano? Sanno amare? Le nostre comunità sanno amare? E la nostra famiglia, sappiamo amare in famiglia? Teniamo la porta sempre aperta, sappiamo accogliere tutti, sottolineo tutti, come fratelli e sorelle? Offriamo a tutti il cibo del perdono di Dio e la gioia evangelica? Si respira aria di casa o assomigliamo più a un ufficio o a un luogo riservato dove entrano solo gli eletti? Dio è amore, Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo e ha dato la vita per noi, per questo facciamo il segno della croce.

E Maria ci aiuti a vivere la Chiesa come quella casa in cui si ama in modo familiare, a gloria di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Assicuro la mia preghiera per le numerose vittime dell’incidente ferroviario avvenuto due giorni fa in India. Sono vicino ai feriti e ai familiari. Il Padre celeste accolga nel suo regno le anime dei defunti.

Saluto voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi, in particolare i fedeli provenienti da Villa Alemana (Cile) e i ragazzi della Cresima di Cork (Irlanda). Saluto i gruppi di Poggiomarino, Roccapriora, Macerata, Recanati, Aragona e Mestrino; come pure i ragazzi della Cresima e della Prima Comunione di Santa Giustina in Colle.

Un saluto speciale ai rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, che ringrazio per la vicinanza quotidiana alla popolazione; la Virgo Fidelis, vostra Patrona, protegga voi e le vostre famiglie. A Lei, Madre premurosa, affido le popolazioni provate dal flagello della guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina.

Saluto tutti, anche i ragazzi dell’Immacolata che sono bravi, e auguro una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Grazie, buon pranzo e arrivederci!

Papa Francesco


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