Cronaca Bianca


LO SCAFANDRO

Oggi è il momento giusto per darsi da fare a cucire e ricucire lo Scafandro "a Sua Immagine".

E’ da un po’ di tempo che nella mia testa gira e rigira questo nome: “SCAFANDRO”. Lo vedo dappertutto. Guai se non ci fosse lo scafandro!

 

Le più grandi imprese e scoperte dell’umanità non si sarebbero realizzate senza lo scafandro. Infatti, Yuri Gagarin nello sputnik non avrebbe potuto fare il suo salto gigantesco attorno alla terra e alla luna … e ultimamente i tecnici giapponesi non avrebbero potuto avvicinarsi e manipolare il nucleo  atomico della Centrale elettrica di Fukushima …

 

Senza scafandro nessun record di apnea nelle profondità marine sarebbe raggiunto.

Senza scafandro nessuna fusione del ferro o di altri minerali potrebbe attuarsi.

Senza scafandro le scoperte tecnologiche non solo si annullerebbero, ma si ritornerebbe  all’età del ferro o forse ancora più in là, a quella della pietra!

 

Esso è fatto di un materiale speciale anti fuoco, anti freddo e anti … qualsiasi sostanza che potrebbe provocare contaminazione e generare deterioramento.

 

Sì, per il bene che l’umanità ha ottenuto tramite lo scafandro, questi meriterebbe senz’altro il Premio Nobel!  Se avesse un suo museo speciale, senz’altro supererebbe in numero i visitatori dell’ultima EUROFLORA di Genova!

 

Siamo nella cosiddetta “globalizzazione”, con cui l’uomo sta annullando definitivamente   il sacro “pudore”, virtù che in un certo senso difende dal male, la cui presenza ovunque porta scompiglio e toglie la serenità. Oggi quasi quasi non si sa se esista ancora il “pudore”, e se si possa far conto ancora sulla sua identità.

 

La televisione rode e corrode questa virtù, che faceva da “scafandro” alla nostra vita privata, specie religiosa.

 

Su tutti i temi della vita umana il sesso è presentato “in tutte le salse”; anche negli “spot” della propaganda automobilistica, ogni macchina è valida se è … sessuata.

 

Qui l’Ex diventa profetico e sicuro di affermare che l’Oggi è il momento giusto per darsi da fare personalmente e comunitariamente, a cucire e ricucire lo Scafandro, “a Sua Immagine”,  secondo il Suo DNA. Perché, caro lettore, avrai capito che oggi senza lo SCAFANDRO … siamo persi, io per primo e tu con me!

 

Nel nostro SITO continueremo a sviluppare le realtà di questo tema, quanto mai necessario, che ci porta a Dio, il nostro vero Scafandro.

 Tuo l’Ex

 

Il presente articolo di stampa si può leggere su BENABE 58 e in anteprima sull’omonimo Sito www.benabe.org 

 

TOKYO, 25 APRILE - Campi di girasoli a perdita d'occhio per ripulire il suolo contaminato vicino alla centrale nucleare di Fukushima: e' l'idea di un gruppo di ricercatori nipponici, secondo cui, sull'esempio di quanto già sperimentato dopo il disastro di Cernobyl, i fiori gialli potrebbero assorbire il letale cesio radioattivo emesso dal disastrato impianto.

 

Il progetto ecologico e' stato presentato da Masamichi Yamashita, a capo di un team di scienziati che studia agricoltura spaziale presso la Jaxa, l'agenzia spaziale nipponica, che ha invitato a piantare semi di girasole nelle vicinanze di Fukushima n.1 per sfruttare la capacità dei fiori di assorbire alcune sostanze inquinanti, tra cui quelle altamente radioattive come il cesio 134 e 137.

 

Il piano prevede la coltivazione di girasoli non solo intorno alla centrale, dove l'inquinamento da isotopi radioattivi e' più grave, ma anche nei giardini delle scuole situate nel raggio di 30 km dall'impianto, nella speranza che i fiori possano anche diventare un simbolo naturale di rinascita.

 

Il gruppo di scienziati ha già raccolto circa 300 kg. di semi di girasole per avviare l'iniziativa, che tuttavia deve affrontare il problema di come smaltire i fiori contaminati: al momento la soluzione più efficace appare il trattamento delle piante con batteri usati nello smaltimento dei rifiuti, che permetterebbe di ridurre la massa dei fiori all'1% del volume originale. I girasoli sarebbero poi gestiti alla stregua di veri e propri rifiuti nucleari.

 

''Stiamo ancora pianificando le strutture di decomposizione e altri dettagli - ha spiegato Yamashita allo Yomiuri Shimbun -.  Pensando alla semina in autunno, speriamo di coinvolgere nel progetto il maggior numero di persone possibile'' (ANSA).

 



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale - Piazza San Pietro Mercoledì, 10 Settembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 6. La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e grazie per la vostra presenza, una bella testimonianza!

Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce. I Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna.

Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia (cfr Mc 15,33.38). È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore.

Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità.

Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza.

Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto.

Gridare diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.

Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema. Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto.

LEONE XIV