Mercoledì 7 Giugno 2023
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Africa di ieri e di oggi


Quel gesto d´amore mi ha salvato

Dal Genfest la testimonianza di Jean Paul del Burundi e Egide del Ruanda.

Dopo una aggressione drammatica, subita tre anni fa, con gravi conseguenze per Jean Paul, una storia di dolore, generosità, amicizia incondizionata e perdono. Il loro racconto.

 

«Sono Jean Paul. Una sera del 2015, mentre aspettavo un autobus per tornare a casa, alla stazione ho incontrato un giovane. Era un rischio per lui viaggiare da solo, in una delle zone più pericolose della città, così gli ho proposto di venire quella notte a casa mia. Non arrivando l’autobus, ci siamo incamminati. Lungo il tragitto, siamo stati aggrediti da sei uomini. Ci hanno picchiato e poi mi hanno buttato in un canale, forse pensando che fossi morto. Lì sono rimasto per un’ora in uno stato di incoscienza. Quando mi sono svegliato, mi sono reso conto che non potevo muovermi dal petto in giù. Ho urlato, poi questo nuovo amico è venuto ad aiutarmi. Lui non era ferito gravemente come me. Con l’aiuto di alcune persone, sono stato portato in un ospedale vicino. Quel gesto di amore nei suoi confronti mi ha salvato la vita. Se non fosse stato per lui, sarei morto. Dopo una settimana in ospedale, sono stato trasferito a Kigali, in Ruanda, la città di Egide. Avevo una lesione spinale, non potevo muovermi perché ero paralizzato e pieno di dolori».

 

«Ero stupito del fatto che continuasse a sorridere dopo quello che gli era successo. A tutti quelli che lo visitavano infondeva gioia e speranza, era come se irradiasse una luce. Per il primo mese si è preso cura di lui un suo amico, che però doveva tornare a scuola. Così mi sono offerto di prendere il suo posto. Non era facile, avevo trovato un lavoretto, ma ho deciso di lasciarlo per stare accanto a Jean Paul a tempo pieno. Mia madre non capiva, diceva che quel lavoretto, anche se piccolo, era un buon inizio, ma io ero determinato e lei mi ha lasciato andare. Ho chiesto a Dio di indicarmi come poter aiutare Jean Paul. I nostri amici e famiglie da tutto il Ruanda e il Burundi venivano a visitarci. Grazie al loro amore, abbiamo trovato la forza».

 

«Dopo alcuni mesi sono stato operato. Mi dissero che non avrei più camminato. Dopo un mese, ci siamo trasferiti in un centro di riabilitazione per iniziare la terapia, molto dura. Ma non mi sono arreso. Mi sono esercitato con tutte le mie forze e alla fine sono riuscito a camminare. Un miracolo! Prima con due stampelle, poi, dopo un anno, con una».

 

«Questa nostra amicizia ha attirato l’attenzione della famiglia di Jean Paul, delle infermiere, dei medici e degli altri pazienti, perché io sono ruandese e lui burundese. Durante il tempo trascorso in ospedale e nel centro di riabilitazione, lui soffriva molto, ma continuava a sorridere. Tutti eravamo stupiti del suo atteggiamento, del coraggio e della determinazione. Con l’aiuto dei Giovani per un mondo unito e dei nostri amici, siamo stati in grado di superare le sofferenze e vivere tra noi “oltre ogni confine”. I nostri amici si alternavano per portarci da mangiare. Dopo poco, una ong ha scoperto la nostra situazione e ci ha garantito i pasti ogni giorno. Ma Jean Paul mi chiedeva sempre di portarli a chi ne aveva più bisogno. Lo facevo con gioia, dicendo che erano il regalo di un altro paziente».

 

«Un anno fa ho terminato la riabilitazione. Ringrazio Dio per avermi dato il coraggio di non mollare. Sono stato anche in grado di perdonare coloro che mi avevano picchiato. Perdonarli non solo mi ha dato pace, ma in qualche modo mi ha aiutato a recuperare più velocemente. Voglio ringraziare i Giovani per un mondo unito e i loro familiari che mi hanno aiutato a raccogliere i soldi per pagare le cure».

 

«Dopo questo periodo, ho ricevuto dei fondi per tornare a scuola e, allo stesso tempo, ho trovato un lavoro migliore di quello che avevo lasciato. Ringrazio Dio, nessuno pensava che Jean Paul avrebbe più camminato! Se una persona dà tutto per amore, non rimane sola».

 

 

 

Estelle è la sorella maggiore di otto fratelli di una famiglia ivoriana che, dopo20150629-a aver lavorato 3 anni come segretaria in una clinica medica di Abidjan, si trasferisce a Man nel 2006, dove aiuta nella costruzione del centro medico del Movimento dei Focolari, soprattutto nel rapporto con gli sponsor. Finito il progetto, decide di approfondire le sue competenze gestionali.

 

Nel frattempo, dovendo sostenere la sua famiglia per la morte di suo padre, chiede e accede ad una borsa di studio di Fraternità con l’Africa. Così, mentre lavora, si specializza a distanza in “Gestione delle organizzazioni, ong e associazioni non profit” in una università del Burkina Faso. Dopo aver finito i suoi studi, con il supporto del tutor e dell’AMU, va in Burundi per fare uno stage in amministrazione e finanze presso CASOBU, ong che promuove lo sviluppo umano e comunitario attraverso attività e progetti sulla base di valori di condivisione e sviluppo sostenibile.

 

Fraternita con l'Africa“È stata una bella opportunità concreta per me perché era la prima volta che uscivo dalla Costa d’Avorio e ho potuto conoscere altre culture e imparare molto da CASOBU, ad esempio il loro approccio al microcredito. Quando sono rientrata nel mio paese ho deciso di iniziare anch’io a proporre questo modello di microcredito cominciando con persone che conoscevo. Abbiamo già formato 2 gruppi che fino ad oggi sembrano funzionare bene…”, racconta Estelle.

 

Tutto ciò che ha ricevuto ha spinto Estelle ad impegnarsi per Fraternità con l’Africa: “Finiti gli studi, ho pensato che, pur non potendo dare un contributo materiale, potevo mettere il mio tempo libero a disposizione del progetto”, quindi per una parte, lavora nell’amministrazione, finanze e gestione del magazzino del centro medico e, per un’altra redige i rapporti, cura l’amministrazione ed è all’interno della commissione che valuta le candidature e accompagna gli studenti che ricevono le borse di studio, delle quali lei ha molta esperienza, anche perché ne ha beneficiato a sua volta.

 

Il centro medico di Man è nato nel 2002 durante la guerra civile quando era stato chiuso l’ospedale. Era ospitato in un appartamento di 3 stanze, poi, nel 2008 è stato inaugurato l’attuale CMS (Centro Medico Sociale) con sale di visita, sale per i ricoveri giornalieri, farmacia, laboratorio. Ma oggi l’afflusso di pazienti è tale che si sta costruendo un nuovo Centro, dove saranno aggiunti servizi di diagnostica e con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi sanitari e ridurre la malnutrizione infantile nella zona di Man, così come consolidare l’educazione delle madri nel campo della nutrizione.

 

A Man la situazione sanitaria della popolazione è problematica. Tutto si paga in anticipo e senza possibilità di rimborso. Data la povertà di gran parte della popolazione, le famiglie riescono a sostenere in genere le spese alimentari e quelle scolastiche. Ma se la malattia bussa alla porta, si arriva dal medico solo quando lo stato del paziente è ormai grave.

 

Il nuovo centro medico  potrà curare ogni anno 6 mila pazienti adulti e 3  mila bambini.

Cfr. AMU notizie 2/2015

 

 

 

26 Giugno. Un picco così drammatico non era mai stato raggiunto; i combattimenti sono ripresi ormai da settimane e, con i campi che restano incolti, milioni di persone sono alla fame”: padre Daniele Moschetti, missionario comboniano in Sud Sudan, riferisce alla MISNA di una situazione sempre più difficile.
 

 
Secondo un rapporto diffuso ieri dall’Ufficio dell’Onu per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha), sono circa quattro milioni e 600.000 le persone bisognose di aiuti alimentari. Un dato, sottolinea padre Moschetti, conseguenza del fatto che in molte zone del Sud Sudan a causa del continuo spostarsi della linea del fronte anche i campi più fertili sono lasciati a se stessi.
 
“La situazione – dice il missionario – è particolarmente grave negli Stati petroliferi di Upper Nile e Unity: non solo perché è in queste regioni che i combattimenti sono ripresi più intensi tra marzo e aprile ma anche perché nelle zone paludose, mancando cibo a sufficienza, il rischio di malaria è elevatissimo”.
 
L’emergenza è aggravata dalla partenza delle organizzazioni umanitarie, troppo a rischio con le operazioni militari in corso. Le stesse Nazioni Unite, presenti in Sud Sudan con oltre 12.000 peacekeeper, non si sono dimostrate in grado di garantire il rispetto di corridoi umanitari o aree protette. “I rapporti con il governo del presidente Salva Kiir e con i ribelli di Riek Machar – sottolinea padre Moschetti – restano molto delicati; e non potrebbe essere altrimenti dopo le violenze perpetrate anche di recente contro i civili che avevano cercato riparo nelle basi dell’Onu”.
 
L’ultima conferma è stata l’espulsione di Toby Lanzer, coordinatore delle Nazioni Unite per l’assistenza umanitaria, nient’affatto reticente verso le responsabilità dei belligeranti. Secondo il missionario, mentre i profughi superano ormai i due milioni, “il caso conferma che il governo non vuole si dica la verità e non tollera sfide alle proprie decisioni politiche e militari”.
 
In questo contesto, i colloqui di pace vanno avanti tra mille difficoltà e continui rinvii. Di recente è stato concordato un allargamento dei negoziati con la partecipazione di Unione Africana, Onu, Cina e Stati Uniti. Una decisione, sottolinea padre Moschetti, “che testimonia il desiderio di più soggetti di contare qualcosa quando la guerra sarà finita ma che di per sé non garantisce affatto l’avvicinarsi della pace”.
 
Sulla base di un accordo sottoscritto a inizio anno, entro il 9 luglio dovrebbe in teoria entrare in carica un governo di unità nazionale. Ma questo traguardo appare tutt’altro che a portata di mano: per via dell’indisponibilità al compromesso dimostrata dalle parti in lotta e forse anche perché, sottolinea padre Moschetti, il cammino da percorrere sembra per forza di cose più lungo e tortuoso.
 
“I comboniani e le altre 45 congregazioni religiose presenti in Sud Sudan – sottolinea il missionario – sono convinti della necessità di un cammino di guarigione interiore e di riconciliazione; anche per questo sta sorgendo alle porte di Juba il Centro per la formazione umana e spirituale, un luogo d’incontro tra i giovani e tra le comunità che sarà aperto tutto l’anno per accogliere Dinka, Nuer, Bari o Shilluk senza alcuna distinzione”.
 
 
(articolo tratto da www.misna.org)
 

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 Bangui - 121 anni

 

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Messaggio Cristiano
Angelus, 4 Giugno

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, Solennità della Santissima Trinità, il Vangelo è tratto dal dialogo di Gesù con Nicodemo (cfr Gv 3,16-18). Nicodemo era un membro del Sinedrio, appassionato del mistero di Dio: riconosce in Gesù un maestro divino e di nascosto, di notte, va a parlare con Lui. Gesù lo ascolta, capisce che è un uomo in ricerca e allora prima lo stupisce, rispondendogli che per entrare nel Regno di Dio bisogna rinascere; poi gli svela il cuore del mistero dicendo che Dio ha amato così tanto l’umanità da mandare il suo Figlio nel mondo. Gesù, dunque, il Figlio, ci parla del Padre e del suo amore immenso.

Padre e Figlio. È un’immagine familiare che, se ci pensiamo, scardina il nostro immaginario su Dio. La parola stessa “Dio”, infatti, ci suggerisce una realtà singolare, maestosa e distante, mentre sentir parlare di un Padre e di un Figlio ci riporta a casa. Sì, possiamo pensare Dio così, attraverso l’immagine di una famiglia riunita a tavola, dove si condivide la vita. Del resto, quella della mensa, che allo stesso tempo è un altare, è un simbolo con cui certe icone raffigurano la Trinità. È un’immagine che ci parla di un Dio comunione. Padre, Figlio e Spirito Santo: comunione.

Ma non è solo un’immagine, è realtà! È realtà perché lo Spirito Santo, lo Spirito che il Padre mediante Gesù ha effuso nei nostri cuori (cfr Gal 4,6), ci fa gustare, ci fa assaporare la presenza di Dio: presenza sempre vicina, compassionevole e tenera. Lo Spirito Santo fa con noi come Gesù con Nicodemo: ci introduce nel mistero della nuova nascita – la nascita della fede, della vita cristiana –, ci svela il cuore del Padre e ci rende partecipi della vita stessa di Dio.

L’invito che ci rivolge, potremmo dire, è quello di stare a tavola con Dio per condividere il suo amore. Questa è l’immagine. Questo è ciò che succede in ogni Messa, all’altare della mensa eucaristica, dove Gesù si offre al Padre e si offre per noi. E sì, è così, fratelli e sorelle, il nostro Dio è comunione d’amore: così ce lo ha rivelato Gesù. E sapete come possiamo fare a ricordarlo? Con il gesto più semplice, che abbiamo imparato da bambini: il segno della croce. Tracciando la croce sul nostro corpo ci ricordiamo quanto Dio ci ha amato, fino a dare la vita per noi; e ripetiamo a noi stessi che il suo amore ci avvolge completamente, dall’alto in basso, da sinistra a destra, come un abbraccio che non ci abbandona mai. E al tempo stesso ci impegniamo a testimoniare Dio-amore, creando comunione nel suo nome. Forse adesso, ognuno di noi, e tutti insieme, facciamo il segno della croce su di noi [fa il segno della croce].

Oggi allora possiamo chiederci: noi testimoniamo Dio-amore? Oppure Dio-amore è diventato a sua volta un concetto, qualcosa di già sentito, che non smuove e non provoca più la vita? Se Dio è amore, le nostre comunità lo testimoniano? Sanno amare? Le nostre comunità sanno amare? E la nostra famiglia, sappiamo amare in famiglia? Teniamo la porta sempre aperta, sappiamo accogliere tutti, sottolineo tutti, come fratelli e sorelle? Offriamo a tutti il cibo del perdono di Dio e la gioia evangelica? Si respira aria di casa o assomigliamo più a un ufficio o a un luogo riservato dove entrano solo gli eletti? Dio è amore, Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo e ha dato la vita per noi, per questo facciamo il segno della croce.

E Maria ci aiuti a vivere la Chiesa come quella casa in cui si ama in modo familiare, a gloria di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Assicuro la mia preghiera per le numerose vittime dell’incidente ferroviario avvenuto due giorni fa in India. Sono vicino ai feriti e ai familiari. Il Padre celeste accolga nel suo regno le anime dei defunti.

Saluto voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi, in particolare i fedeli provenienti da Villa Alemana (Cile) e i ragazzi della Cresima di Cork (Irlanda). Saluto i gruppi di Poggiomarino, Roccapriora, Macerata, Recanati, Aragona e Mestrino; come pure i ragazzi della Cresima e della Prima Comunione di Santa Giustina in Colle.

Un saluto speciale ai rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, che ringrazio per la vicinanza quotidiana alla popolazione; la Virgo Fidelis, vostra Patrona, protegga voi e le vostre famiglie. A Lei, Madre premurosa, affido le popolazioni provate dal flagello della guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina.

Saluto tutti, anche i ragazzi dell’Immacolata che sono bravi, e auguro una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Grazie, buon pranzo e arrivederci!

Papa Francesco


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