Mercoledì 24 Aprile 2024
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Africa di ieri e di oggi


Padre Valentino Vallarino, ofmcapp.

Sulla stregoneria (v. allegati su youtube)

 

 

 

Padre Valentino Vallarino - Stregoneria - Parte I - sezione 1:

http://www.youtube.com/watch?v=cfrog5cIuMY


e  Parte I - sezione 2:

http://www.youtube.com/watch?v=UkkN7pEF_Bc

 

 

 

Parte II - sezione 1:

http://www.youtube.com/watch?v=vJFjfVScsfI

 

e Parte II - sezione 2:

http://www.youtube.com/watch?v=ccnPWauO6uc




Parte III:
http://www.youtube.com/watch?v=rJmnofkZMEo



 

Intervista

 

1) Innanzi tutto, complimenti! Lascia che ti dia del "tu", dato che è nel "a tu per tu" che possiamo intenderci meglio. Con quel tuo "barbone" da venerando incuti rispetto, ma, sai, siamo nel 2010 e  facciamo  finta di essere anche noi sull´onda dell´attualità.

Che ne dici dei tuoi 50 anni di  sacerdozio e 48 di vita missionaria?

 

                Non nascondo che venire interrogato sul mio " essere  o operare"  mi preoccupa non poco:  "nemo iudex in causa propria".  Ma la carità deve farci uscire da noi stessi.  Eccomi pronto.

Innanzi tutto, anche se è la cosa meno importante, avere o non avere la barba, non ha valore.  Quante volte avrei preferito apparire come la maggioranza dei frati!  Ma ogni volta mi son detto: la barba incolta mi sembra più confacente al nostro semplice abito cappuccino. Chiuso.

Guardando indietro,  lungo i miei cinquant´anni  di ministro dell´ amore e della misericordia di Gesù, mi risuonano le parole di Giovanni a Pietro, durante la pesca che divenne miracolosa: "E´ il Signore!". Erano affaticati e stanchi, avevano lavorato invano, ma con Lui le cose cambiarono!  Mi rendo conto che anch´io, tantissime volte, nella vita ordinaria del mio ministero, ma anche in certi momenti di difficoltà, non sono stato all´altezza di riconoscere Gesù nel quotidiano. E ho agito come se tutto dipendesse da me!  Ma ho perduto del tempo di grazia.

Non faccio distinzione, davanti a Dio, tra la mia vita di sacerdozio e di missionario. Si compenetrano.  Anche se l´una è la fonte, e l´altra è l´acqua che scorre.

Ne ringrazio Dio e mi abbandono alla sua misericordia. E voglio fare meglio in avvenire, anche se sono passati già 75 anni.

 

 

2)   So che gli autoctoni, tra cui vivi, ti avevano soprannominato: "Waka – waka!"  = presto-presto…  Perché questo tuo " molto fare" e invitare gli altri   a … fare?

 

           Negli anni 1970,  durante la visita del nostro Padre Bonaventura Marinelli da Trento, gli espressi il desiderio di farmi fare un piccolo studio sul mio carattere, inviando  a "Selezione" di Parigi  un test scritto di mia mano.

Dopo circa un mese, arrivò un  lungo dossier sul test.  " Il suo temperamento aspira  al movimento – azione che potrà essere efficace in "ambiente"  di intesa e simpatia". Niente di straordinario, ma alla lettura di quel dossier mi riconobbi  "nella mia pelle!".

Mi sembra di avere risposto alla domanda solo in parte.

Padre nostro, che il tuo regno venga! Dacci il nostro pane quotidiano, bontà e mezzi da condividere e possibilità di agire per  portare il tuo amore e affetto a tanta gente di buona volontà. E questa è la seconda parte.

 

 

3) Come mai oggi, appena arrivato nel tuo Paese, hai tanta voglia di ritornare in Africa? Chi te lo fa  fare ?

 

         E´ la voglia di ritornare a casa!

La casa? E´ il luogo della tua vita, delle tue gioie e delle tue sofferenze. Ove ti senti a tuo agio.

Qui, in Italia, sono spaesato. Sì, c´è ancora buona parte della mia famiglia di sangue e dei miei confratelli: è un posto ove ci si ama. Insieme abbiamo gioito e sofferto.

Ma in Africa ho il mio lavoro e tanti  volti cari  con i quali  ho sofferto molto, e lavorato molto.

In particolare sono vive le difficoltà di questi ultimi sette anni: a causa del lavoro nei campi sempre più difficile, della globalizzazione, dello smog che ha cambiato il clima e le piogge  stagionali; a  causa della situazione politica che genera incomprensioni e gelosie, tra  militari regolari, patrioti ribelli al governo, predoni della strada, con conseguente  insoddisfazione dei giovani che vorrebbero uscire da una vita ordinaria di stenti, per andare incontro alle  chimere dei  mas media. Vita dura, vissuta vicino alle famiglie, abituate ad una vita rude. Il Missionario resta là, perché si amalgama, si integra come Gesù.

Ma in tutto questo c´è anche una serenità profonda, che l´occidente nella sua opulenza non conosce più: gesti  ordinari che ti restano nel cuore indelebilmente.

 

-      L´altro giorno, alla maternità, la moglie  di Theodore ha avuto due gemelli: imprevisti.

Il primissimo vestitino preparato per coprirne uno,  é insufficiente per due.

Theodore guarda le due larghe maniche del suo "boubou"     le taglia con decisione  e amore, e vi infila i due corpicini dei gemelli. Theodore e Amina, la moglie, ne prendono uno ciascuno, si guardano sorridenti.

 

- Robert ha perduto sua figlia  Monique  di  quattordici anni.  Molti  vogliono che Robert cerchi, con l´aiuto dello stregone,  colui che l´ha fatta morire: solo i vecchi muoiono di morte naturale!

In chiesa, davanti ad una fiumana di gente, Robert, stanco di due giorni senza sonno, si alza in piedi  davanti al corpo della figlia che giace su una stuoia, e dice: "Può darsi che  qualcuno abbia fatto questo male: ma io lo metto nelle Mani di Dio. Non giudico".

 

-  Qualche settimana fa ho invitato Gilbert, un consigliere della mia parrocchia di Fatima, a pranzo da noi.  Abbiamo mangiato alcuni piccoli pesci dei nostri bacini di acqua dolce.

Ad un certo momento vedo che allunga la mano nel mio piatto, per asportare le lische di pesci che avevo messo da parte e metterle in un fazzoletto. "Che fai ,Gilbert?".  "Le prendo  per i miei figli!".

Rimasi pietrificato! Io, figlio di Francesco il Poverello, umiliato da questo gesto di un padre, preoccupato di portare ai suoi figli qualche cosa della mia mensa di ricco epulone.

 

-    Dal quartiere  Tukoul di Ngaoundaye per andare ai campi c´è da attraversare un torrente.

Ogni anno, durante la stagione delle piogge, vi é qualche morto annegato: o bimbi o vecchi che scivolano sui tronchi messi a modo di ponte.

Vi andai con alcuni del quartiere. (Tempi addietro mi ero fatto regalare da un´impresa europea delle putrelle " per il bene pubblico").

Ci incontrammo vicino al torrente, quasi tutti protestanti, e  pregammo Gesù di aiutarci. Promisero di mettere insieme un po´ dei loro spiccioli  per comprare  il cemento, e mi portarono 78.000 cfa (circa 125 euro). Cercarono molta sabbia, scavarono profonde fosse per costruire i piedi del ponte, portarono pietre grosse e in grande quantità. Lavorarono dal mattino alla sera, biascicando solamente qualche arachide, in una gioia comune che emozionava, liberi di darsi per il bene del quartiere.  Tutta la gente che arrivava dai campi si fermava a vedere questi giovani uomini lavorare gioiosamente… Ho gustato anch´io la loro gioia.

 

- Poco tempo fa scendevo a Bangui da Bouar.  Il superiore Raffaele mi aveva prestato un veicolo toyota. Arrivato a Bossentele, un gruppo di gendarmi mi ferma; mi hanno visto senza cintura di sicurezza. (Qui puoi fare anche cinquanta o cento kilometri a volte, senza incontrare un veicolo!).

" Riconosci  di non avere  la cintura di sicurezza?". " Si !".

" Allora devi pagare 25.000 di tassa…"." Non sono d´accordo".

" Perché?". "Innanzi tutto andavo a piccola velocità; poi questo veicolo mi è stato prestato, e, dato che viaggia sempre sulle sterrate  piste della savana… guarda, non ha neppure la cinghia da questa parte. E poi lascia che ti dica la verità; vedi  queste sei persone che conduco con me alla capitale? Ebbene non ho chiesto nulla a loro e le conduco gratuitamente per amore di Dio. E tu non puoi fare lo stesso con me e amarmi come amo loro? Non siamo forse tutti una sola famiglia in Centroafrica?".

Mi guardò sorridente:  "Vada, Padre!".

 

4)  Vivendo  spesso da solo nella savana avrai incontrato difficoltà. Dove e come hai trovato la forza per ricominciare? Per tirarti su?

 

Cerco di vivere il momento presente. Non esiste il caso o la fortuna. Nei momenti difficili è la riflessione in Dio che mi aiuta o la preghiera con qualche vicino, missionario o semplice compagno di strada.     

         Quante volte sono andato in  missione di pace  tra ribelli o militari regolari in lotta tra di loro! E vi andavo con  questo espediente:  caricavo della povera gente, che camminava sulla mia strada. Proprio gli ultimi, come dice Gesù: "Quello che fate all´ultimo, lo avete fatto a me". Ed ero sicuro di avere Gesù con me, adempiendo il suo comando di amore vicendevole.  Mentre viaggiavo con Lui, che era nella cabina con me, dicevamo il rosario. Ti assicuro: è un tocca-sana!

 

 

5) Che differenza trovi nel tuo lavoro missionario di oggi rispetto a quello di ieri, dopo 48 anni?

 

          Dopo il Concilio Vaticano II le cose, piano piano, hanno incominciato a cambiare. Prima  eravamo noi missionari a fare  quasi tutto… anche a guidare i grossi Mercedes.  Dopo il grande lavoro fatto dai primi missionari per le scuole dei catechisti, l´azione di evangelizzazione si è propagata e stabilizzata nello stesso tempo, con questi primissimi agenti pastorali  ai nostri fianchi: la Coppia catechista.  Pure nei villaggi più distanti della savana ci sono loro. Insieme ai consiglieri  della comunità cristiana,  organizzano la vita di ogni giorno sotto lo sguardo di Dio: preghiera, lettura della bibbia, testimonianza cristiana, aiuto vicendevole nella quotidianità.

Il nostro ruolo attuale è di " confermare nella fede" i cristiani, vivendo la nostra fede personale, e di preparare il domani: scuole dei catechisti, seminari per le vocazioni presbiterali e religiose.

Da parte nostra verso i nostri fratelli africani c´è molto rispetto. Prima si pensava  di venire ad apportare dell´aria nuova. Parlavamo noi per primi, adesso parliamo dopo averli ascoltati.

Vedendo - con amarezza! - la nostra civiltà occidentale, ci si rende conto come la genuinità della fede e del comportamento civile conseguente, è retaggio di chi vive nella povertà e nell´abbandono in Dio, dove la relazione interpersonale ha la priorità su tutti gli interessi: BE NA BE, come dice il nostro Ex.

 

 

      

 

Lettore, hai letto l´intervista che avevo fatto a padre Valentino Vallarino, in occasione del suo 50° anno di sacerdozio e 48° di vita missionaria in Centrafrica.

 

Quando, due anni e mezzo fa, avevo progettato l´attuale Sito BENABE, l´organizzatore aveva scritto in bella vista: banca o Conto Corrente a cui inviare le offerte… Subito risposi che non era quello il nostro scopo. 

 

Ti ringrazio perché ogni tanto clicchi su questo Sito; un centinaio di persone quotidianamente lo fanno. Sai pure che sempre mi firmo L´Ex. Non sono mancati i lettori che qua e là in Info mi hanno domandato di … venire allo scoperto. Mai l´ho fatto. Lo faccio adesso, presentando le risposte di Valentino, che è … mio fratello minore. In Centrafrica in lingua sango direbbero: "ala nion me oko" = essi hanno succhiato allo stesso seno".

 

Non aggiungo altro. Dopo aver letto le sue risposte, Valentino ti sarà diventato"simpatico" e, forse, un piccolo pensiero di dargli una mano ti sarà venuto alla mente… Per te, lettore, e per chi desidera dare un aiuto a Valentino, affinché sia completamente a disposizione della sua gente, ecco come fare per fargli giungere qualche "palanca": inviare al Centro Missioni Estere Cappuccini   -  Via Mura di San Bernardino, 15  -   C.C.P. 336164  con la causale: "per le opere di P. Valentino Vallarino".

 

L´Ex

 

  

Fautore di pace

 

 

            Noi Missionari Cappuccini del Nord-ovest della Repubblica Centroafricana, in questi ultimi anni, ci siamo schierati "per scelta" a difensori della gente della nostra zona, senza distinzione di fedi o etnie. Siamo nella cosiddetta "Zona Rossa", perché distante dalla Capitale e piena di ribelli al governo, vagabondi, ricercati, predoni che bloccano le macchine per rubare, gente "fuori legge" che fugge dal vicino Tchad e Cameroun, militari regolari, che, distanti dalla capitale e dai controlli, diventano promotori di ingiustizie e violenze.

            La sofferenza delle nostre popolazioni, angariate dagli uni e dagli altri, ci ha spinti come pastori di Dio a essere "Sentinelle" per la nostra gente e ad "essere intermediari", al loro posto: ad essere "voce" di coloro che non possono parlare perché terrorizzati dalla morte e dalle torture. Normalmente gli abitanti di questa zona, i panà, sono assidui nelle loro piantagioni, e con un solo desiderio: la pace e la libertà; preoccupati per il lavoro dei campi, per il loro piccolo commercio, per poter accedere ai dispensari, se ammalati, per far sì che le mamme incinte possano partorire nei dispensari, perché i numerosissimi figli possano accedere alle scuole e crescere come Dio comanda! Queste sono le motivazioni di principio che mi hanno spinto a diventare per le vittime un "fratello che paga e rischia per loro" e per i persecutori un frate "scomodo" ed un "rosso", "ribelle", "irriducibile".

 

            Le cose sono cominciate così. Mi trovavo a Mann, a 25 km da Ngaoundaye, nel 2005.  Terminati i miei incontri di apostolato e salutato il catechista, mi sono ritirato  nella mia casetta, un po´ isolata dagli altri tukuls. Era già buio da un po´: erano le 19 e trenta. Ero solo. All´improvviso bussano con forza alla porta. "Chi sei?". "Sono il Capo dei Ribelli di Boko! Voglio parlarti!". Una voce di uomo deciso!

            Apro, lo accolgo. Mi presenta pure il suo luogotenente (non dirà una sola parola durante il lungo incontro). Tutti e due sono ben armati. Ci sediamo su di un muricciolo e spegniamo le lampade, per non attirare l´attenzione. "Volevo conoscerti, ma non osavo – afferma -; è stato Daniele, il tuo catechista, che mi ha detto di venire a vederti, perché non sei complicato, e posso parlarti chiaro". Abbiamo parlato per due ore e mezzo.

            Mi spiega il motivo per cui era un Ribelle e le difficoltà che loro avevano con Bozize (Generale dell´esercito che ha fatto il colpo di stato, ha preso il Potere e commesso delle ingiustizie, secondo loro, lui e i suoi commilitoni). Così si sono costituiti ribelli per farlo cadere.

            Mi parla della vita dura dei ribelli in piena savana. Vuole convincermi che il fatto della ribellione sia buono e per il bene della gente. Un idealista.

 Gli rispondo che anche un mio fratello maggiore è stato ribelle contro i tedeschi ad Arenzano. Ma la ribellione è un fatto sporadico, che non ha avvenire sicuro e può causare tante morti, sia da una parte che dall´altra. Può divenire un incubo per la povera gente.

            Da parte sua mi chiede di fare il possibile per aiutarlo ad incontrare il Comandante dei Regolari, sotto la mia responsabilità e disarmati, in luogo fissato da me. Da parte mia sono d´accordo in tutto questo, per il bene della nostra popolazione, ma all´incontro voglio portare due o tre persone, unite a noi, per il bene del popolo.

            Ci lasciamo a notte fonda, promettendoci di incontraci presto.

 

            Poi le cose precipitano.

            C´è l´uccisione del Sottoprefetto di Ngaoundaye. La reazione di Bangui non si fa attendere. Pochi giorni dopo arrivano i militari (guardie presidenziali) che mettono Ngaoundaye e altri villaggi al fuoco, perché convinti che gli abitanti di Ngaoundaye abbiano cooperato all´assassinio del Sottoprefetto.

            Solamente a Ngaoundaye bruciano 540 tukuls e lo stesso fanno in altri villaggi, dati alle fiamme: circa 1300 abitazioni. Spari, minacce, percosse. A Ngaoundaye tutti fuggono al Tchad e alcuni al Cameroun.

            Per alcuni giorni restiamo solamente una decina di persone su 6.000 abitanti: noi missionari con alcuni del posto, riuniti per vedere il da farsi.

            Con Padre Armel, mio curato, e le poche persone rimaste a Ngaoundaye, ci costituiamo in "Comitato di Ripresa" poi "Comitato dei Saggi" e, insieme, decidiamo che i Padri vadano a consigliare i Rifugiati in Tchad perché ritornino a Ngaoundaye. Gli altri incominciano subito l´elenco delle case bruciate.

Intanto gli scalmanati militari Presidenziali erano ripartiti per la Capitale.

 

            La gente rifugiata, vedendoci venire per consigliarla di rientrare, piange dalla gioia e dalla riconoscenza. Quella sera stessa rientriamo con due Toyota piene delle povere masserizie che avevano portato su di loro, fuggendo. Una settimana veramente movimentata. Quelli che avevano ancora la casa, dividono, contenti e generosi, i locali con i sinistrati.

Inviamo messaggi alla Capitale per essere aiutati dall´organizzazione mondiale per l´alimentazione. La Chiesa di Ngaoundaye, con l´aiuto del Centro Missioni, compra coperte, riso, olio, sapone e altro per vari milioni. Le organizzazioni umanitarie inviano tendoni da mettere sui muri bruciati, come tetto. E questo per circa due settimane.

 

            Intanto la notizia del male fatto dalle guardie presidenziali arriva alle orecchie del Presidente, che si infuria contro la Missione cattolica, credendo che i Missionari abbiano detto menzogne sui militari…, che negavano di aver bruciato Ngaoundaye.

            Preso un elicottero, arriva fino a noi (600 km da Bangui)!

            Ma, volando sopra Ngaoundaye, ha un colpo al cuore: i Missionari avevano detto la verità! Uno spettacolo doloroso, tutte quelle case bruciate!

            Viene subito da noi missionari. Ci fa delle domande, ma ormai lo spettacolo della desolazione aveva parlato al suo cuore. Tutti in coro confermiamo il malfatto dei militari.

            Ci ringrazia, si felicita per l´organizzazione che avevano subito messo in piedi per il bene della gente. "Il vostro Comitato dei Saggi deve continuare " – ci dice -, "tenetemi informato".

 

            Nel Comitato siamo una diecina: i due sindaci di Ma e di Ngaoundaye, il medico dell´ospedale, una ostetrica dell´ospedale, un responsabile del nostro centro giovani, il presidente comunale della gioventù, due persone del municipio, un responsabile dell´agricoltura, un pastore protestante e il sottoscritto. Non essendoci né polizia né gendarmeria, noi con i capi villaggio per varie settimane decidiamo il da farsi. E la gente si sente al sicuro.

Il Presidente invia nuovi militari con l´ordine stretto di favorire la gente: noi del Comitato dobbiamo facilitare gli incontri tra Militari e Ribelli!

Dopo circa un mese e mezzo dall´incendio delle case e con la venuta dei nuovi militari che si installano a Bang, comunico ai membri del Comitato che il mio lavoro di urgenza era terminato e che i due Sindaci avrebbero dovuto prendere le loro responsabilità per dirigere le assemblee.

I Capi delle terre, sono loro, i Sindaci, voluti da Dio e dalla volontà del popolo. Pur restando membro, era affidata al sottoscritto, con l´accordo dell´assemblea, l´organizzazione di possibili incontri tra militari e ribelli, insieme al pastore e ai sindaci.

Sono questi gli inizi del lavoro per il dialogo e la pace, che francescanamente ci sentiamo impegnati a portare avanti, quale testimonianza autentica del nostro servizio cristiano e come segno di una fraternità universale, che è alla base di ogni sviluppo della persona umana.

L´impegno per le scuole, la sanità, l´agricoltura, l´acqua … non sono altro che le concretizzazioni di queste idee forza, che Dio ha messo nel nostro cuore di figli ed imitatori di Francesco d´Assisi.

 

            Fr. Valentino Vallarino    

       

 

 

 

         

 

  



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco