Giovedì 19 Dicembre 2024

Buon Natale!
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Letture e meditazioni


INVERNO DELL´ANIMA

(nei giorni della pandemia)

Sai, forse è questo l’inverno,

non i capricci del vento

o il silenzio antico della neve,

ma quell’ombra fredda posata sul cuore,

inverno dell’anima.

E ci scopriamo fragili e affranti,

a cercare lontano

un luogo ignoto dove il dolore svanisca

e il cielo non pianga più le sue stelle.

Siamo nella stessa onda

a implorare la pietà del mare

e ci sgomenta il nulla oltre l’orizzonte,

i nostri passi che non lasciano più impronta.

Litanie di giorni immobili

nel tempo infinito del dolore.

E pesa la solitudine del viaggio,

l’affanno di mani a cercare altre mani

e occhi a implorare la carezza di uno sguardo.

Inquieta il tocco invisibile della morte,

un inganno di stelle al tramonto

e l’oblio della notte sulla terra desolata.

Un pianto di foglie arrese all’autunno

e raccontarsi gli abbracci che non puoi

mentre il cuore affonda in un mare di silenzio.

Forse anche le pietre gridano il dolore

all’ombra della croce

e, nelle strade deserte di passi,

il vento solleva foglie nascoste

dietro angoli di solitudine.

Siamo diventati isole lontane senza approdi,

pallido il mare e le sue bianche schiume

tristi corone di lacrime

al gelido abbraccio della morte.

Eppure oltre le case mute,

il cielo s’illumina di sereno

mentre la terra incerta attende

che l’onda scura in esilio si ritiri.

I GIORNI DI IERI 

Aspro sciabordio di onde,

nella gelida oscurità piange anche il mare

e i suoi gemiti amari schiaffeggiano il cuore.

Forse rammenta i giorni di ieri,

le chiare stelle sopra l’orizzonte

e i gabbiani ebbri di vento

a disegnare parole ai confini della notte.

Sfilano mesti i cortei per la città deserta

e strazia il dolore che resta

dentro lacrime di silenzio.

Grave questa cupola di cielo triste e nera

e la terra pare un grembo freddo senza più vita.

Illusione che l’arida morte

riscatti l’oltraggio ai vinti

con tenerezza di affetti e pietà di sguardi.

Le spente stagioni, la quiete immobile del silenzio

e le infinite litanie di onde

nel mare dell’eterno.

Desolata attende la terra quel che resta

di stremate, esauste membra.

Gente fiera e antica

piegata da oscuro morbo,

ombre alle ombre bagnate di pioggia

nella  grigia nebbia della sera.

Breve il tempo dell’aurora,

notte gravida di dolore incombe

e solo devota promessa di memoria

asciuga le lacrime

sul pallido volto degli assenti.

RITA

 

 

Ci sono tre silenzi da intendere e interpretare,

a cui dare un significato :

il silenzio di Gesù, quello di Dio e il mio.

 

IL SILENZIO DI GESU’

 

         Quando si accenna al silenzio di Gesù, subito il pensiero corre al silenzio della passione. E infatti è qui che il silenzio ha raggiunto il punto più alto della sua forza espressiva.

 

         Ma i Vangeli non parlano soltanto del silenzio della passione. C’è anche il silenzio dell’uomo che resta ammutolito di fronte a Gesù, o perché la sua parola lo riempie di meraviglia o perché la sua verità lo infastidisce. C’è il silenzio di Gesù di fronte alle domande pretestuose o inutili di chi finge di interrogarlo. E c’è il silenzio che Gesù impone a chi vorrebbe parlare di lui prima di aver intravisto la novità, che è la croce. Non basta il coraggio dell’annuncio a fare un vero discepolo. Occorre anche lo spazio del silenzio necessario per cogliere la novità di Gesù. Stupisce il silenzio di Gesù di fronte alla morte di Lazzaro (Gv 11). In verità è lo specchio del silenzio di Dio, un silenzio che lo stesso Gesù incontra nel Getsemani e nella sua domanda sulla croce.

 

         Il racconto del Getsemani è apparentemente un dialogo. Gesù parla cinque volte, sempre rivolgendosi a qualcuno: ai discepoli e al Padre. Ma nessuno gli risponde, quasi fosse un monologo.

 

         L’esperienza del silenzio di Dio non dice la debolezza della fede, ma la profondità e l’umanità della fede e porta al centro dell’uomo e della storia, là dove Dio e l’uomo sembrano contraddirsi, dove Dio sembra assente o distratto, dove la morte sembra avere l’ultima parola sulla vita e la menzogna sulla  verità. Ma se compreso nel mistero di Cristo, allora il silenzio di Dio appare nella sua realtà, cioè come un diverso modo di parlare. Infatti nel Getsemani il Padre ha parlato: non con il miracolo che libera dalla morte, ma con il coraggio di affrontare la morte attraversandola. Se all’inizio Gesù è angosciato e impietrito, alla fine  -  dopo aver pregato  -   egli è tornato sereno e pronto: “Alzatevi, andiamo! Colui che mi tradisce è vicino” (Mc 14,42).

 

         Il momento più espressivo del silenzio di Gesù è la passione. Qui il silenzio è veramente più denso delle parole. Nella passione Gesù parla poche volte, mai per difendersi, ma soltanto per spiegare la sua identità. Sollecitato dal sommo sacerdote a rispondere alle molte accuse, Gesù tace. E’ il silenzio di chi, nell’umiliazione, conserva intatta la sua dignità. La verità tace di fronte alla violenza, non perché non abbia nulla da dire, ma perché ha già detto tutto.

 

         Nei racconti della passione è sempre presente la figura del giusto sofferente, che Gesù rivive e ingigantisce. E’ la figura senza tempo, presente in ogni momento della storia e in ogni luogo. Gesù ne è la gigantografia. E’ la figura dell’uomo che annuncia la verità e proprio per questo è colpito.

 

         Nel racconto del processo di Gesù davanti a Pilato sono in molti a parlare: i sacerdoti, Pilato, la folla, i soldati. Ma Gesù non parla.

 

         Nei racconti di Marco (15,24-39) e Matteo (27,32-50) attorno al crocifisso sono molti a parlare: i passanti, i sacerdoti, le guardie, i due ladroni. Tutti parlano o di Gesù o contro Gesù, ma lui tace.

 

         Rivolge una domanda al suo Dio, che cade nel silenzio. Muore con un grido senza parole: “Gesù, dato un forte grido, spirò”.

 

         Il Padre parlerà, ma dopo, con la resurrezione. La croce è il momento in cui tocca al Figlio manifestare tutta la sua fiducia nel Padre. Tocca al Crocifisso rivelare fino a che punto giunge l’amore di Dio.

 

         Ma c’è anche il silenzio di Maria che dovrebbe essere lo specchio del silenzio della Chiesa.  Fra i molti silenzi di Maria il più significativo è quello ai piedi della Croce. Gesù le rivolge la parola: “Donna, ecco tuo figlio” (Gv19,26). Ma la madre non risponde. La sua risposta è il silenzio che acconsente, il silenzio che esprime un “sì” detto con la vita.

Bruno Maggioni

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 11 Dicembre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.

In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.

Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.

È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.

Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!

Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].

Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.

L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!

[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.

Papa Francesco