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Letture e meditazioni


Gesù (racconto)

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Se Dio esiste, di che religione è?  

 

Cammilleri: Gran bella domanda. A farci caso, l´epoca dell´ateismo è alle nostre spalle. Oggi non c´è quasi più nessuno che non affermi di credere in Dio. Solo che, a quel punto, bisognerebbe chiedere a ciascuno: quale? Già, perché a trionfare è la religione fai-da-te, il Dio che ognuno si crea a propria immagine e somiglianza.

 

E questa immagine-e-somiglianza, guarda caso, è modellata dall´orizzonte culturale. Cioè, oggi come oggi, è politicamente corretta. Ma, se Dio esiste, logica vuole che siamo noi a Sua immagine e somiglianza, non Lui a nostra. Insomma, bisogna sapere cosa vuole Lui da noi, perché, se esiste, cosa noi vogliamo da Lui già lo sa. Bisogna sapere, per prima cosa, Chi è. E non c´è modo migliore che chiederGlielo.

 

Lei sostiene che l´unico Dio è cattolico. Perché?

 

Cammilleri: Nel mio pamphlet un certo Teofilo, un uomo «in ricerca» (come si direbbe oggi) chiede a me chi è Dio. Perché a me? Perché sa che sono un credente. Io (cioè, l´Autore) rispondo per come so farlo. E gli snocciolo i motivi che hanno portato me a ritenere molto probabile che Dio, se esiste, sia cattolico. Cioè, sia esattamente Quello che da duemila anni predica la Chiesa di Roma.

 

Perché non potrebbe essere musulmano, ebreo, o di qualche altra religione?

 

Cammilleri: Oggi, per quanto riguarda la religione, quel che manca è la domanda, non certo l´offerta. Teofilo è uno che a un certo punto, come Pascal, si è detto: se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo. In effetti, uno che si accorge della necessità di un Dio ha già compiuto gran parte del percorso. Ma, quando si guarda intorno, si trova all´interno del supermarket del Sacro, con gli scaffali che presentano una grande varietà. Per definizione, solo una può essere quella giusta, perché Dio, se esiste, non ha alcun interesse a indurci in confusione. Tutto il mio libro è teso a far sì che Teofilo si rivolga direttamente alla Fonte per conoscere la verità.

 

E perché non buddista, spiritista, darwinista, adoratore di Gaia o di Carlo Marx?

 

Cammilleri: Con gran rispetto per tutti i credenti in Qualcosa o Qualcuno, ho ripercorso davanti a Teofilo tutti i ragionamenti che hanno indotto me (sì, perché c´è stato un tempo in cui anch´io ero «in ricerca») a scegliere un prodotto tra gli scaffali dopo avere considerato, soppesato e attentamente osservato tutti gli altri. Teofilo mi ha chiesto: tu in cosa credi e perché? E io gliel´ho detto.

Il libro presuppone che uno creda nell´esistenza di Dio, ma potrebbe essere consigliato anche per gli atei. Vero?

 

Cammilleri: Naturalmente, nel deserto che ho personalmente attraversato prima di giungere alla Terra Promessa c´è stata la fase atea, subito seguita da quella agnostica. Conosco bene l´ateismo e i suoi argomenti. Per me l´ateismo, di argomenti, non ne ha. Peggiore è l´agnosticismo. L´ateo è uno che sa per certo che un Dio non esiste né può esistere. L´agnostico è uno che non si pone nemmeno il problema. E, di conseguenza, vive una vita puramente (mi si perdoni l´espressione) vegetale. Senza senso. Nasce, cresce e muore, mangia, beve e si diverte (nella misura del possibile) senza sapere perché. Peggio: non gli interessa. Se io fossi Dio (ma per fortuna di tutti non lo sono) mi offenderei: almeno l´odio è un sentimento, l´indifferenza invece…

 

Che cosa ha il cattolicesimo che le altre religioni non hanno?

 

Cammilleri: A mio avviso il cattolicesimo ha dalla sua la logica. Un Dio esistente, giusto, sensato, razionale e amorevole si sarebbe comportato esattamente come dice da sempre la Chiesa Romana. Un Dio diverso da così non mi interessa. Questo è quanto ho cercato di spiegare a Teofilo nel mio lavoro. Ovviamente, Teofilo non è tenuto a darmi retta. Tuttavia, se davvero è «in ricerca», si rivolga direttamente all´Interessato. Il quale, se esiste, non avrebbe alcun motivo per non rispondergli. Se non risponde, non esiste. E il caso è chiuso.

 

 

 

 

12 ragioni per cui il crocifisso non viola la libertà

E l'illusione di uno Stato neutro nei confronti dei valori

 

VIENNA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- La vera libertà religiosa non è la libertà dalla religione, ha affermato uno storico in risposta alla decisione della Corte europea per i Diritti Umani di eliminare i crocifissi dalle aule delle scuole italiane.

 

Martin Kugler, curatore del network per i diritti umani Christianophobia.eu, con sede a Vienna (Austria), ha offerto 12 tesi che svelano il pensiero errato della Corte, che ha deciso a favore di una madre atea che ha protestato per i crocifissi appesi nella scuola frequentata dai figli.

 

Kugler ha spiegato che "il diritto alla libertà religiosa può significare solo il suo esercizio – non la libertà dal confronto. Il significato di 'libertà di religione' non ha niente a che vedere con la creazione di una società 'libera dalla religione'".

 

"Rimuovere a forza il simbolo della croce è una violazione, come lo sarebbe costringere gli atei a appendere quel simbolo".

 

"Il muro bianco è anche una dichiarazione ideologica – in particolare se nei secoli prima non poteva essere vuoto. Uno Stato 'neutro rispetto ai valori' è una finzione, spesso usata a scopo di propaganda".

 

Per Kugler le decisioni come quella della Corte europea attaccano realmente la religione, anziché lottare contro l'intolleranza religiosa.

 

"Non si possono combattere i problemi politici combattendo la religione", ha aggiunto. "Il fondamentalismo antireligioso diventa complice del fondamentalismo religioso quando provoca con l'intolleranza".

 

"La maggior parte della popolazione interessata vorrebbe mantenere la croce – ha dichiarato –. E' anche un problema di politica democratica, dando spudoratamente priorità agli interessi individuali".

 

Riprendendo le argomentazioni proposte dal Governo italiano in difesa dei crocifissi nelle aule, Kugler ha detto che "la croce è il logo dell'Europa. E' un simbolo religioso, ma anche molto pià di questo".

Un'illusione

In un dibattito con Die Presse, Kugler ha sottolineato altri due elementi del dibattito Chiesa-Stato.

 

Parlare di uno "Stato neutro nei confronti dei valori" è "semplicemente ingenuo, e il risultato di un'illusione. [...] E' più che altro uno scherzo".

 

"Uno Stato neutro verso i valori? Contro la frode e la corruzione? Contro la xenofobia e la discrminazione? I peccati contro l'ambiente e le avances sessuali sul posto di lavoro? Uno Stato che bandisce i neonazisti, permette la pornografia, favorisce certe forme di assistenza allo sviluppo, ma non altre... tutto per valori neutrali? Qualcuno sta cercando di prenderci in giro!", ha osservato.

 

L'esperto ha quindi sottolineato un secondo punto che merita più attenzione: l'idea per cui una sfera pubblica senza alcuna presenza della vita religiosa o dei simboli religiosi sarebbe più "tollerante" o più appropriata per la libertà di coscienza rispetto a una che permette o perfino incoraggia dichiarazioni di credo religioso.

 

"Ovviamente il genitore ateo potrebbe sentire che suo/a figlio/a viene molestato/a dalla croce in classe, ma è inevitabile. Posso anche essere seccato quando entro in un ufficio postale e vedo una fotografia del Presidente federale per il quale non ho votato. [...] L'influenza, i segnali ideologici, le presenze visive – anche sessiste – esisteranno sempre e ovunque".

 

"L'unica domanda è come e cosa contengono".

A questo riguardo, Kugler ha affermato che lo Stato "dovrebbe intervenire solo in modo molto moderato. E se lo fa, non dovrebbe essere solo con divieti che imprigionano la religione in un ghetto".

 

 

ESPULSO IL FONDATORE

 

La sentenza della Corte di Strasburgo sul crocifisso nelle scuole è stata applaudita, sui giornali che si dicono "laici", in tutti i toni e modi possibili : vignette e testi irridenti, riferimenti alle leggi della "laicità" (intesa come laicismo) e della democrazia, in questo caso messa fuori causa o usata alla rovescia.  

 

Esempio: su Il fatto quotidiano (venerdì 6), il commento del procuratore aggiunto presso la Procura di Torino, Bruno Tinti presentava un sondaggio di Tg24 (su Sky) che dava questo risultato: 72% contrari alle decisioni della Corte, 28 % favorevoli. E si chiedeva : "Così tanti i cattolici integralisti?". Un magistrato che giudica sulla base dei soliti pregiudizi?. E poi: "Dunque questo 72% voleva imporre all´altro 28 per cento il suo modo di pensare". Può darsi, ma così il 28 ha imposto il suo al 72. Così ingiusti i laici fondamentalisti? Speriamo che non si usino questi criteri in camera di consiglio.  

 

Sul Riformista (giovedì 5) Rina Gagliardi, già senatrice di Rifondazione, afferma che "in Italia si può (forse) toccare tutto, ma non il potere del Vaticano". Vorrei ricordarle che l´esposizione del Crocifisso fu prevista da due Regi Decreti del 1924 e del 1928, dunque in epoca di piena rottura tra Italia e Santa Sede.  

 

Sull´Unità, Lidia Ravera, l´autrice dei "Porci con le ali", scrive: "Abbiamo ben altro per la testa". Non lo metto in dubbio.  

 

Su Repubblica (mercoledì 4) il giurista Stefano Rodotà scrive: "La sentenza della Corte suprema europea vuole sottrarre il crocifisso a ogni contesa. In questo è la sua superiore laicità".  

 

Su Liberazione (giovedì 5) Raniero La Valle, pur deplorando il "più generale interesse ideologico del ricorso", promosso da "una socia dell´Unione Atei Agnostici e Razionalisti (Uaar)", parla di "sentenza ineccepibile". Sono dispiaciuto di dover dissentire da un amico che fu mio Direttore, ma proprio a proposito di interessi ideologici, mi sembra opportuno ricordare che la Corte di Strasburgo, in nome della laicità, ha mandato in esilio dalle scuole Colui che inventò la laicità, fondandola su un principio razionale ("Date a Cesare … date a Dio …") e che, anche per questo, subì una condanna a morte pronunciata dalle autorità clericali del suo tempo (il Sinedrio) ed eseguita dal potere "laico" e pagano dei Romani (Pilato).   Si dà l´ostracismo ("Et sui eum non receperunt") a Colui che aveva annunciato la liberazione dei poveri e degli oppressi e insegnato l´uguaglianza e la fraternità di tutti gli uomini. E dunque non ha torto chi, oltre a riconoscerne il primario valore religioso, fa dell´Uomo crocifisso una singolare combutta di credenti, anche un simbolo della (vera) laicità valido per tutti gli uomini, atei compresi.    

 

Pier Giorgio Liverani, "Controstampa",

in Avvenire dell´8 Novembre 2009

            


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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco