Venerdì 19 Aprile 2024
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Cronaca Bianca


La conversione missionaria della comunità parrocchiale

"Vietato lamentarsi"

Ai laici nella Chiesa è consentito presiedere la celebrazione della liturgia della Parola nelle domeniche e nelle feste di precetto, quando «per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica», l’amministrazione del battesimo, la celebrazione del rito delle esequie.

 

È quanto la stampa ha subito messo in rilievo del Documento della Congregazione per il Clero “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, che porta la data del 29 giugno 2020.
Ma questo è soltanto un numero (esattamente il n. 98) di un Documento costituito da ben 124 numeri. Inoltre la disposizione circa le competenze del laico non costituisce una novità, perché già presente nel Codice di Diretto Canonico, nonché in successivi documenti della Santa Sede.
Tale disposizione, semplicemente ricordata dal Documento, costituisce un elemento particolare che si incastona in un contesto molto più ampio: una riflessione a tutto campo sul senso e sul valore della parrocchia oggi.
 
 
Il termine “parrocchia”, nella sua etimologia, richiama la “casa” del popolo di Dio, il “vicinato”, e quindi rimanda alle “chiese domestiche” dell’inizio del cristianesimo, poi sviluppate in chiese di un determinato territorio. Oggi il contesto è completamente cambiato: l’accresciuta mobilità fa sì che «la vita delle persone si identifica sempre meno con un contesto definito e immutabile, svolgendosi piuttosto in “un villaggio globale e plurale”; dall’altra, la cultura digitale ha modificato in maniera irreversibile la comprensione dello spazio, nonché il linguaggio e i comportamenti delle persone, specialmente quelle delle giovani generazioni». Di qui l’invito di papa Francesco, fin dall’inizio del suo ministero, a «cercare strade nuove», ossia a «cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato».
Il Documento della Congregazione del clero vuole aiutare a riflettere sulle sfide che la parrocchia è chiamata ad affrontare. La proposta è quella di una “conversione pastorale in senso missionario”: la parrocchia è invitata a uscire da sé stessa verso «uno stile di comunione e di collaborazione, di incontro e di vicinanza, di misericordia e di sollecitudine per l’annuncio del Vangelo».
 
 
Si tratta di un Documento (tecnicamente “Istruzione”) organico, che analizza le diverse componenti della singola parrocchia, le possibilità e modalità di raggruppamento delle parrocchie, la costituzione di unità pastorali, le forme ordinarie e straordinarie di affidamento della cura pastorale. Si sofferma in particolare sulla figura del parroco, del vicario parrocchiale, dei diaconi, delle persone consacrate, dei laici, analizzando i molteplici possibili incarichi e ministeri, gli organismi di corresponsabilità ecclesiale, come il Consiglio parrocchiale per gli Affari Economici e il Consiglio pastorale parrocchiale. In ultimo parla delle offerte per la celebrazione dei Sacramenti, altro aspetto che ha attirato l’attenzione della stampa («dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio», tenuto conto che «è vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta» = due norme riprese letteralmente dal Diritto Canonico in vigore dal 1983).
 
 
Il Documento invita a «esplorare con creatività vie e strumenti nuovi, che consentano alla parrocchia di essere all’altezza del suo compito primario, cioè essere il centro propulsore dell’evangelizzazione». Di qui i suggerimenti ad andare oltre la delimitazione territoriale, a mettere a frutto i molti ministeri e i diversi carismi presenti tra il popolo di Dio, a nuova strutturazione che consenta una autentica “pastorale d’insieme”.
Ciò esige, riconosce il Documento, che «la storica istituzione parrocchiale non rimanga prigioniera dell’immobilismo o di una preoccupante ripetitività pastorale ma, invece, metta in atto quel “dinamismo in uscita” che, attraverso la collaborazione tra comunità parrocchiali diverse e una rinsaldata comunione tra chierici e laici, la renda effettivamente orientata alla missione evangelizzatrice, compito dell’intero Popolo di Dio, che cammina nella storia come “famiglia di Dio” e che, nella sinergia dei diversi membri, lavora per la crescita di tutto il corpo ecclesiale».
 
 
La speranza è che la parrocchia, secondo il desiderio già espresso da papa Francesco il 27 luglio 2016, diventi «un posto di creatività, di riferimento, di maternità. E lì attuare quella capacità inventiva; e quando una parrocchia va avanti così si realizza quello che io chiamo “parrocchia in uscita”».
Il Documento offre dunque proposte e le puntualizzazioni che possono costituire un importante punto di riferimento per il rinnovamento missionario della parrocchia. Ma soprattutto è un pressante e accorato invito perché si sperimentino vie nuove che il Documento non può individuale pienamente perché esse sono frutto della vita e della creatività delle comunità cristiane.

 

 

Lo dice un cartellone appeso alla porta dell’appartamento del Papa a Santa Marta

"Vietato lamentarsi.” Lo dice un cartello appeso alla porta dell’appartamento di papa Francesco nella Casa Santa Marta in Vaticano. La notizia, resa nota dal sito “Vatican Insider”, è stata confermata oggi, venerdì 14 luglio 2017, a ZENIT dal direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke.

 

Il cartello, con la consueta scritta rossa su campo bianco, che si presenta come la “legge n° 1 sulla tutela della salute e del benessere”, spiega ai visitatori che “i trasgressori sono soggetti da una sindrome da vittimismo con conseguente abbassamento del tono dell’umore e della capacità di risolvere i problemi”. Se poi l’infrazione viene commessa in presenza di bambini, allora “la sanzione è raddoppiata”, avverte il cartello.

 

“Per diventare il meglio di sé — continua il testo — bisogna concentrarsi sulle proprie potenzialità e non sui propri limiti quindi: smettila di lamentarti e agisci per cambiare in meglio la tua vita.”

 

Il cartello — così rivela il “Vatican Insider” — è stato realizzato dallo psicologo e psicoterapeuta italiano Salvo Noè, il quale ha incontrato il Pontefice al termine dell’Udienza generale di mercoledì 14 giugno.

 

Durante il breve incontro, Noè ha regalato al Papa oltre al libro “Smettila di lamentarti” — appunto — anche il cartello. (pdm)

 


Documenti allegati

 Perché tante religioni?
 Religioni amiche o nemiche?
 Ricuperare l'identità cristiana
 Come si svolge il dialogo interreligioso?

 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco