Le parole del Papa


ESAME di COSCIENZA

I consigli di Papa Francesco

 
È "Custodisci il cuore" il titolo del libretto che Papa Francesco ha fatto distribuire in piazza San Pietro dopo l'Angelus di domenica 22 febbraio 2015. Un breve compendio con i contenuti del messaggio e gli insegnamenti di Gesù, gli elementi essenziali della fede e le pratiche spirituali tradizionali: la lettura della Parola di Dio, l'esame di coscienza della sera.
 
 
"La Quaresima è un cammino di conversione che ha come centro il cuore", ha detto domenica Francesco, e allora [...] bisogna "custodire il cuore, perché non diventi una piazza dove vanno e vengono tutti tranne il Signore". Pubblichiamo qui le indicazioni per l'esame di coscienza contenute nel libretto, che consistono nell’interrogarsi sul male commesso e il bene omesso verso Dio, il prossimo e sé stessi.

Nei confronti di Dio
Mi rivolgo a Dio solo nel bisogno?
Partecipo alla Messa la domenica e le feste di precetto?
Comincio e chiudo la giornata con la preghiera?
Ho nominato invano Dio, la Vergine, i Santi?
Mi sono vergognato di dimostrarmi cristiano?
Cosa faccio per crescere spiritualmente? Come? Quando?
Mi ribello davanti ai disegni di Dio?
Pretendo che egli compia la mia volontà?
 
Nei confronti del prossimo
So perdonare, compatire, aiutare il prossimo?
Ho calunniato, rubato, disprezzato i piccoli e gli indifesi?
Sono invidioso, collerico, parziale?
Ho cura dei poveri e dei malati?
Mi vergogno della carne di mio fratello, della mia sorella?
Sono onesto e giusto con tutti o alimento la “cultura dello scarto”?
Ho istigato altri a fare il male?
Osservo la morale coniugale e familiare insegnata dal Vangelo?
Come vivo le responsabilità educative verso i figli?
Onoro e rispetto i miei genitori?
Ho rifiutato la vita appena concepita?
Ho spento il dono della vita?
Ho aiutato a farlo?
Rispetto l’ambiente?
 
Nei confronti di sé
Sono un po’ mondano e un po’ credente?
Esagero nel mangiare, bere, fumare, divertirmi?
Mi preoccupo troppo della salute fisica, dei miei beni?
Come uso il mio tempo?
Sono pigro?
Voglio essere servito?
Amo e coltivo la purezza di cuore, di pensieri e di azioni?
Medito vendette, nutro rancori?
Sono mite, umile, costruttore di pace?
 
 
(tratto da www.avvenire.it)

 

“Dio non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade. Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, facilmente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza… Questo atteggiamento egoista, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare”.

Papa Francesco

Messaggio per la Quaresima 2015

 

 
 
MERCOLEDI' delle CENERI
 
 
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

[Multimedia]


 

Come popolo di Dio incominciamo il cammino della Quaresima, tempo in cui cerchiamo di unirci più strettamente al Signore, per condividere il mistero della sua passione e della sua risurrezione.

 

La liturgia di oggi ci propone anzitutto il passo del profeta Gioele, inviato da Dio a chiamare il popolo alla penitenza e alla conversione, a causa di una calamità (un’invasione di cavallette) che devasta la Giudea. Solo il Signore può salvare dal flagello e bisogna quindi supplicarlo con preghiere e digiuni, confessando il proprio peccato.

 

Il profeta insiste sulla conversione interiore: «Ritornate a me con tutto il cuore» (2,12).

 

Ritornare al Signore “con tutto il cuore” significa intraprendere il cammino di una conversione non superficiale e transitoria, bensì un itinerario spirituale che riguarda il luogo più intimo della nostra persona. Il cuore, infatti, è la sede dei nostri sentimenti, il centro in cui maturano le nostre scelte, i nostri atteggiamenti. Quel “ritornate a me con tutto il cuore” non coinvolge solamente i singoli, ma si estende all’intera comunità, è una convocazione rivolta a tutti: «Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo» (v. 16).

 

Il profeta si sofferma in particolare sulla preghiera dei sacerdoti, facendo osservare che va accompagnata dalle lacrime. Ci farà bene, a tutti, ma specialmente a noi sacerdoti, all’inizio di questa Quaresima, chiedere il dono delle lacrime, così da rendere la nostra preghiera e il nostro cammino di conversione sempre più autentici e senza ipocrisia. Ci farà bene farci la domanda: “Io piango? Il Papa piange? I cardinali piangono? I vescovi piangono? I consacrati piangono? I sacerdoti piangono? Il pianto è nelle nostre preghiere?”. E proprio questo è il messaggio del Vangelo odierno. Nel brano di Matteo, Gesù rilegge le tre opere di pietà previste nella legge mosaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. E distingue, il fatto esterno dal fatto interno, da quel piangere dal cuore. Nel corso del tempo, queste prescrizioni erano state intaccate dalla ruggine del formalismo esteriore, o addirittura si erano mutate in un segno di superiorità sociale. Gesù mette in evidenza una tentazione comune in queste tre opere, che si può riassumere proprio nell’ipocrisia (la nomina per ben tre volte): «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro…Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti…Quando pregate, non siate simili agli ipocriti, che…amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. … E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti» (Mt 6,1.2.5.16). Sapete, fratelli, che gli ipocriti non sanno piangere, hanno dimenticato come si piange, non chiedono il dono delle lacrime.

 

Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce in noi il desiderio di essere stimati e ammirati per questa buona azione, per ricavarne una soddisfazione. Gesù ci invita a compiere queste opere senza alcuna ostentazione, e a confidare unicamente nella ricompensa del Padre «che vede nel segreto» (Mt 6,4.6.18).

 

Cari fratelli e sorelle, il Signore non si stanca mai di avere misericordia di noi, e vuole offrirci ancora una volta il suo perdono - tutti ne abbiamo bisogno - , invitandoci a tornare a Lui con un cuore nuovo, purificato dal male, purificato dalle lacrime, per prendere parte alla sua gioia. Come accogliere questo invito? Ce lo suggerisce san Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor5,20). Questo sforzo di conversione non è soltanto un’opera umana, è lasciarsi riconciliare. La riconciliazione tra noi e Dio è possibile grazie alla misericordia del Padre che, per amore verso di noi, non ha esitato a sacrificare il suo Figlio unigenito. Infatti il Cristo, che era giusto e senza peccato, per noi fu fatto peccato (v. 21) quando sulla croce fu caricato dei nostri peccati, e così ci ha riscattati e giustificati davanti a Dio. «In Lui» noi possiamo diventare giusti, in Lui possiamo cambiare, se accogliamo la grazia di Dio e non lasciamo passare invano questo «momento favorevole» (6,2). Per favore, fermiamoci, fermiamoci un po’ e lasciamoci riconciliare con Dio.

 

Con questa consapevolezza, iniziamo fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresimale. Maria Madre Immacolata, senza peccato, sostenga il nostro combattimento spirituale contro il peccato, ci accompagni in questo momento favorevole, perché possiamo giungere a cantare insieme l’esultanza della vittoria nel giorno della Pasqua. E come segno della volontà di lasciarci riconciliare con Dio, oltre alle lacrime che saranno “nel segreto”, in pubblico compiremo il gesto dell’imposizione delle ceneri sul capo. Il celebrante pronuncia queste parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» (cfr Gen 3,19), oppure ripete l’esortazione di Gesù: «Convertitevi e credete al Vangelo» (cfr Mc 1,15). Entrambe le formule costituiscono un richiamo alla verità dell’esistenza umana: siamo creature limitate, peccatori sempre bisognosi di penitenza e di conversione. Quanto è importante ascoltare ed accogliere tale richiamo in questo nostro tempo! L’invito alla conversione è allora una spinta a tornare, come fece il figlio della parabola, tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a piangere in quell’abbraccio, a fidarsi di Lui e ad affidarsi a Lui.

 

 

 



 

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Messaggio Cristiano
CATECHESI DEL SANTO PADRE PREPARATA PER L'UDIENZA GENERALE DEL 16 APRILE 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Le parabole. 5. Il Padre misericordioso. Era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,32)

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver meditato sugli incontri di Gesù con alcuni personaggi del Vangelo, vorrei fermarmi, a cominciare da questa catechesi, su alcune parabole. Come sappiamo, sono racconti che riprendono immagini e situazioni della realtà quotidiana. Per questo toccano anche la nostra vita. Ci provocano. E ci chiedono di prendere posizione: dove sono io in questo racconto?

Partiamo dalla parabola più famosa, quella che tutti noi ricordiamo forse da quando eravamo piccoli: la parabola del padre e dei due figli (Lc 15,1-3.11-32). In essa troviamo il cuore del Vangelo di Gesù, cioè la misericordia di Dio.

L’evangelista Luca dice che Gesù racconta questa parabola per i farisei e gli scribi, i quali mormoravano per il fatto che Lui mangiava con i peccatori. Per questo si potrebbe dire che è una parabola rivolta a coloro che si sono persi, ma non lo sanno e giudicano gli altri.

Il Vangelo vuole consegnarci un messaggio di speranza, perché ci dice che dovunque ci siamo persi, in qualunque modo ci siamo persi, Dio viene sempre a cercarci! Ci siamo persi forse come una pecora, uscita dal sentiero per brucare l’erba, o rimasta indietro per la stanchezza (cfr Lc 15,4-7). O forse ci siamo persi come una moneta, che magari è caduta per terra e non si trova più, oppure qualcuno l’ha messa da qualche parte e non ricorda dove. Oppure ci siamo persi come i due figli di questo padre: il più giovane perché si è stancato di stare dentro una relazione che sentiva come troppo esigente; ma anche il maggiore si è perso, perché non basta rimanere a casa se nel cuore ci sono orgoglio e rancore.

L’amore è sempre un impegno, c’è sempre qualcosa che dobbiamo perdere per andare incontro all’altro. Ma il figlio minore della parabola pensa solo a sé stesso, come accade in certe fasi dell’infanzia e dell’adolescenza. In realtà, intorno a noi vediamo anche tanti adulti così, che non riescono a portare avanti una relazione perché sono egoisti. Si illudono di ritrovare sé stessi e invece si perdono, perché solo quando viviamo per qualcuno viviamo veramente.

Questo figlio più giovane, come tutti noi, ha fame di affetto, vuole essere voluto bene. Ma l’amore è un dono prezioso, va trattato con cura. Egli invece lo sperpera, si svende, non si rispetta. Se ne accorge nei tempi di carestia, quando nessuno si cura di lui. Il rischio è che in quei momenti ci mettiamo a elemosinare l’affetto e ci attacchiamo al primo padrone che capita.

Sono queste esperienze che fanno nascere dentro di noi la convinzione distorta di poter stare in una relazione solo da servi, come se dovessimo espiare una colpa o come se non potesse esistere l’amore vero. Il figlio minore, infatti, quando ha toccato il fondo, pensa di tornare a casa del padre per raccogliere da terra qualche briciola d’affetto.

Solo chi ci vuole veramente bene può liberarci da questa visione falsa dell’amore. Nella relazione con Dio facciamo proprio questa esperienza. Il grande pittore Rembrandt, in un famoso dipinto, ha rappresentato in maniera meravigliosa il ritorno del figlio prodigo. Mi colpiscono soprattutto due particolari: la testa del giovane è rasata, come quella di un penitente, ma sembra anche la testa di un bambino, perché questo figlio sta nascendo di nuovo. E poi le mani del padre: una maschile e l’altra femminile, per descrivere la forza e la tenerezza nell’abbraccio del perdono.

Ma è il figlio maggiore che rappresenta coloro per i quali la parabola viene raccontata: è il figlio che è sempre rimasto a casa con il padre, eppure era distante da lui, distante nel cuore. Questo figlio forse avrebbe voluto andarsene anche lui, ma per timore o per dovere è rimasto lì, in quella relazione. Quando però ti adatti contro voglia, cominci a covare rabbia dentro di te, e prima o poi questa rabbia esplode. Paradossalmente, è proprio il figlio maggiore che alla fine rischia di rimanere fuori di casa, perché non condivide la gioia del padre.

Il padre esce anche incontro a lui. Non lo rimprovera e non lo richiama al dovere. Vuole solo che senta il suo amore. Lo invita a entrare e lascia la porta aperta. Quella porta rimane aperta anche per noi. È questo, infatti, il motivo della speranza: possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta.

Cari fratelli e sorelle, chiediamoci allora dove siamo noi in questo meraviglioso racconto. E chiediamo a Dio Padre la grazia di poter ritrovare anche noi la strada per tornare verso casa.