Venerdì 19 Aprile 2024
Contempliamo qui le meraviglie del creato
Amore al fratello!ContattiLa Parola di DioBlog
Letture e meditazioni


Festa di Santa Chiara

Loppiano, venerdì 11 agosto 2017

Chiara nel 1977 confidava:

 

 Naturalmente io ero innamorata di san Francesco per via dell’amore al Crocefisso che lui aveva,
e anche di santa Chiara per via che Chiara mi appariva come la luce.
E se mi appassionava il fuoco, tanto più vorrei dire la luce,
la luce di Dio, la Sapienza di Dio…”.

 

Ecco uno stralcio di un breve discorso
che Chiara fece a Crans, in Svizzera, il giorno di santa Chiara del 1988:


 


L'UNICA IDEA: L'UNITÀ

 

Tutti gli anni sempre ricordiamo qualcosa di santa Chiara d'Assisi….   
Ricordo che qualche anno fa abbiamo ricordato come rispondendo a san Francesco: «Figliola, che cosa desideri?» lei ha detto quella parola: «Dio», che a noi ci ha sempre sorpreso fin da quando eravamo piccoline nel Movimento, perché è anche la risposta che daremmo noi. «Figliola, figliolo, che cosa desideri?»  «Dio» ! Dio è l'ideale.

 

Un'altra volta invece abbiamo ricordato come santa Chiara ha lasciato con la sua vita una scia di luce e questo ci è sempre piaciuto sin dall'inizio. E noi attribuiamo questa scia di luce, che lei ha lasciato, al Risorto che viveva dentro di lei, perché amava il crocifisso in quella maniera.

 

Altre volte ancora abbiamo ricordato come S.Chiara con le sue prime compagne, viveva un'unità così intensa…che avevano tra loro non solo l'unità nella carità, ma anche l'unità di pensiero. E questo per noi è un fascino, perché è quello a cui ci porta il nostro Ideale quando si vive integralmente, radicalmente, c'è anche l'unità di pensiero.

 

Anche oggi dobbiamo pensare qualche cosa. Proprio in questi giorni mi sono letta un libro edito, mi pare, da Città Nuova sulla vita di santa Chiara: è bellissimo. È bellissima la sua vita.
E io ho visto come lei ha un chiodo, ha un'idea fissa che ripete sempre: la ripete nel suo testamento,  nelle sue lettere… ma poi è ripetuta in tutta la sua vita: quest'idea che lei ha è il suo carisma, quello che le ha trasmesso san Francesco, è la povertà. E lei, andando per questa strada, si è fatta santa, una santa di dimensioni enormi, con uno sviluppo del suo movimento, con san Francesco, enorme a quei tempi, che io neanche immaginavo pur avendo lette tante volte vite di santa Chiara.

 

Ecco, io ho sempre sentito dire che i santi si fanno santi quando hanno una sola idea, molto decisa.

Da santa Chiara noi quest'anno vogliamo imparare quest' unica cosetta: aver un'idea: l'idea del nostro carisma. E qual è? È l'unità.….

 

Ecco, l'unica parola che portiamo via: tener fissa in testa quest'idea: l'unità. Ci sono tra noi, naturalmente, anche religiosi che devono combinare le due spiritualità, magari se sono francescani, la spiritualità della povertà con quella dell'unità. Ma in Gesù abbandonato è tutto combinato, perché non c'è nessun povero più povero di Lui che ha perso il sentimento stesso di essere unito a Dio.

Perciò rimaniamo con quest’idea… tener fissa in testa quest'idea: l'unità

 

 

https://vimeo.com/177205537


Documenti allegati

 Strumento

 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco