Cronaca Bianca


Il bosco dei Cappuccini di Savona

 

Ormai a Savona tutti sanno che il convento dei Cappuccini è pronto per accogliere nuove iniziative. Anche e proprio per questo, i frati si sono dati da fare per rendere attraente il loro boschetto di faggi, che con il tempo è stato circondato da un complesso urbano sempre più sviluppato.

 

Lo attraversa un sentiero ben definito tra cespugli rigogliosi che, partendo dall’alto (dove è situato il campo da football), discende fino alla radura in fondo alla valle. Lungo il cammino l’acqua zampillante è a disposizione di tutti gli ospiti, secondo il detto di san Francesco: “Acqua, acqua, chi vuole acqua fresca?”

 

Nell’oggi  del 2010 questo boschetto, messo a nuovo, è un incanto per qualsiasi persona che soffra per lo stress della vita e sia desiderosa di un po’ di silenzio e di solitudine, per respirare a pieni polmoni quella serenità che non si può trovare altrove… nemmeno al Gabbiano!

 

Il boschetto dei Cappuccini è anche una risposta all’articolo che Pasquale Di Pierro propone ai lettori di Città Nuova (N.19 del 10 Ottobre 2008).

 

                                                                        L'Ex

 

 

 

Ritrovare se stessi

 

         “Vivere oggi, in questo caotico 2008, ci dà la possibilità di guardare meglio a ciò che non è smog, non è caos e non è inquinamento acustico. Ciò a cui mi riferisco è per me una parte della natura che possiamo ammirare e vivere su questa terra. La natura è ritrovare se stessi nel silenzio di un bosco, di un parco, o mentre si corre cercando di scaricare i pensieri pesanti di lavoro, che ci hanno tenuto sotto pressione per l’intera giornata. Oggi, siamo quasi tutti trascinati dal problema del come ritrovare la serenità e la pace interiore, spesso ricorrendo a psichiatri o neurologi, non sapendo che è proprio nella banalità apparente della natura, come nel profondo di ognuno di noi che possiamo trovarla, concedendoci tempi di riflessione, di ricerca interiore, di riposo tra il verde degli alberi, per poter affrontare meglio e con più pazienza la vita caotica.

 

La soluzione ai nostri problemi è la più facile e intuibile, solo seguendo la nostra coscienza e quindi vivendo la natura per essere anche noi natura di Dio!

 

Grazie della possibilità che date a tutti di scrivervi e di mettere in moto questo scambio di  opinioni”.

 

Pasquale Di Pierro  -  Savona

 

 


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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV