Giovedì 19 Dicembre 2024

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A tu per tu


Racconti

A tu per tu con i serpenti

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Il “fuoco nella brousse” assomiglia ad una vera e propria “nettezza urbana”, poiché ogni anno, in poco tempo, brucia e purifica estensioni enormi di boscaglia. Basti pensare che, tra una strada e l’altra, vi sono circa 50 -100 km di terra di nessuno. In questa enorme boscaglia, specie nella stagione delle piogge, si moltiplica il bestiame grande e piccolo … buono e cattivo, tra cui i serpenti di tutte le specie, taglie e … veleni! Proprio dei serpenti vorrei parlare, e in particolare di quelli che, volente o nolente, ho incontrato. 

 

In genere nel nord-ovest del Centrafrica i serpenti sono velenosi, anzi, alcuni conducono alla morte in poche ore. La gente ne subisce le morsicature specialmente all’inizio dei lavori nella campagna.

 

Ricordo vari incontri casuali con i serpenti.

A Bossangoa, nel 1953, di ritorno dalla celebrazione eucaristica al mattino presto, entrando nel mio tukul, ho trovato sopra il letto, sulle lenzuola, una serpe lunga una quarantina di cm., che … tranquilla mi attendeva.

 

Sempre a Bossangoa, nel pozzo dell’acqua piovana, poco distante dalla nostra abitazione, un serpente di due metri e mezzo invano ha cercato di risalire in superficie. Frère Régis, che assisteva gli scolari della nostra scuola cattolica, afferma che nello spazio di un anno i ragazzi hanno portato un centinaio di rettili … tra i quali uno rossiccio, lungo circa 20 cm.

 

A Ngaoundaye i serpenti erano particolarmente numerosi, forse per le molteplici “tane” di scorpioni, che vi si trovano ovunque (il nome di NGAOUNDAYE, in lingua panà, significa “ricettacolo di scorpioni”). Si dice infatti: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Proprio nella mia nuova casa, coperta con lamiere zincate, un serpente “cracheur” (di quelli che sputano) si era nascosto tra due lenzuola piegate, al primo piano di uno scaffale. Bruscamente con un bastone l’ho gettato a terra, ma lui si è alzato di mezzo metro e stava “sputandomi” in faccia quando l’ho abbattuto … Il giorno successivo nella camera accanto, un serpente più piccolo, di circa 40 cm., cercava di scappare, ma sul cemento scivolava e … non riusciva a muoversi in fretta.

 

 Ancora a Ngaoundaye, nel 1965, alcune persone, molto agitate, hanno accompagnato alla missione una donna che era stata morsicata da un serpente mentre lavorava nei campi. La donna non aveva dato importanza al fatto; solamente teneva in mano il serpente ucciso, per indicare all’infermiere il tipo di vaccino che doveva iniettarle. Dissi loro di andare immediatamente a 25 km. al dispensario dei protestanti, che avevano i vaccini adatti. In serata ho saputo che quella persona è deceduta prima di arrivare al dispensario.

 

Sempre a Ngaoundaye, i nostri ragazzi che vivevano nella missione, scavando in una buca nel vicino prato, quando le erbe erano state appena bruciate, in meno di mezz’ora hanno raccolto vari serpenti, con cui hanno preparato gustosi pranzetti.

 

Ero solito fare la siesta in un vicino tukul, coperto di paglia, che mi dava un po’ di fresco; ma un giorno con mia grande meraviglia ho visto qualcosa che pendeva dal tetto e si muoveva … Sono balzato a terra … e l’inquilino inaspettato ha avuto la sua parte.

 

A Kounang (a 40 km da Ngaoundaye) un giovane, desideroso di cibarsi di qualche topo di campagna, credendo di trovarlo in una buca, vi ha messo dentro la mano e il braccio. Sentendo morsicare le dita, vi ha messo dentro di nuovo la mano, sicuro di aver trovato il topo, ma la seconda volta è uscito un serpente appeso alle sue dita. La bestia è stata subito uccisa, ma la mano si è gonfiata enormemente. Solo tre giorni dopo, hanno portato il giovane al nostro dispensario, dove la Suora infermiera ha iniettato nel gonfiore la fiala del vaccino. Il giovane si è salvato, ma la mano è rimasta “rattrappita”. 

   

A Ndim di serpenti ce n’erano a volontà, anche perché le pietre non mancano. Presso il laghetto artificiale, vi erano alcune casette per i giovani desiderosi di scegliere la vita religiosa. Mentre studiavano, cercavano di procurarsi il cibo, coltivando l’orto e allevando il pollame. Le galline ovaiole non mancavano, ma da un po’ di tempo non c’erano più le uova. Data la lontananza dal centro del villaggio, si era pensato che qualche animale di nascosto volesse fare man bassa del pollame e delle uova. Ma no, le galline c’erano tutte! Finalmente qualcuno, durante la notte, sentì del rumore nel pollaio. Tutti d’accordo, si misero a fare la guardia al ladro. Solo dopo qualche tempo, gli 007 scoprirono un “cracheur” (serpente di un metro e mezzo) che si serviva delle uova e le inghiottiva intere.

 

Sempre a Ndim mi è capitato di toccare quasi con mano una vipera “cornuta”, mentre stavo cogliendo un piantina di fiori … ma lei trangugiava un rospo e mi ha degnato solo di uno sguardo languido.

 

Era già quasi buio, quando, entrando nella chiesina costruita tra due enormi macigni, un novizio mi ha spinto lontano, indicandomi un serpente. Questi, arrotolato su se stesso, stava mimetizzandosi oppure preparava il suo attacco … Ho ringraziato quel giovane, aggiungendo: “Le ti mo akpengba = i tuoi occhi sono vivaci”!

 

Molti mi hanno chiesto perché non sono mai stato morsicato dai serpenti. La mia risposta è questa: camminando nella campagna, portavo sempre con me un bastone che muovevo in continuità, col proposito di far capire ai serpenti: “Fatti largo perché ci sono io e questo bastone è per te, se non te ne vai!”. Quando li incontravo, dicevo loro: “Non ti faccio del male, ma tu non farne neppure a me. Siamo tutti e due creature di Dio, che fa sempre le cose per bene”.

 

Penso sia interessante finire questa cronaca con un fatto avvenuto a mio fratello minore. A lui piaceva veramente fermarsi a contemplare i serpenti. Finché tutto si limita a questo, niente di male. Ma all’improvviso è comparso un grosso serpente e, invece di andare a cercare un bastone … lui ha preso il mio fucile che era a portata di mano, e con l’impugnatura ha fatto fuori il serpente. E’ vero che ho perso l’appetito quel giorno … ma l’ho perdonato.


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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 11 Dicembre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.

In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.

Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.

È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.

Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!

Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].

Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.

L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!

[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.

Papa Francesco