A tu per tu


Racconti

A tu per tu con i serpenti

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Il “fuoco nella brousse” assomiglia ad una vera e propria “nettezza urbana”, poiché ogni anno, in poco tempo, brucia e purifica estensioni enormi di boscaglia. Basti pensare che, tra una strada e l’altra, vi sono circa 50 -100 km di terra di nessuno. In questa enorme boscaglia, specie nella stagione delle piogge, si moltiplica il bestiame grande e piccolo … buono e cattivo, tra cui i serpenti di tutte le specie, taglie e … veleni! Proprio dei serpenti vorrei parlare, e in particolare di quelli che, volente o nolente, ho incontrato. 

 

In genere nel nord-ovest del Centrafrica i serpenti sono velenosi, anzi, alcuni conducono alla morte in poche ore. La gente ne subisce le morsicature specialmente all’inizio dei lavori nella campagna.

 

Ricordo vari incontri casuali con i serpenti.

A Bossangoa, nel 1953, di ritorno dalla celebrazione eucaristica al mattino presto, entrando nel mio tukul, ho trovato sopra il letto, sulle lenzuola, una serpe lunga una quarantina di cm., che … tranquilla mi attendeva.

 

Sempre a Bossangoa, nel pozzo dell’acqua piovana, poco distante dalla nostra abitazione, un serpente di due metri e mezzo invano ha cercato di risalire in superficie. Frère Régis, che assisteva gli scolari della nostra scuola cattolica, afferma che nello spazio di un anno i ragazzi hanno portato un centinaio di rettili … tra i quali uno rossiccio, lungo circa 20 cm.

 

A Ngaoundaye i serpenti erano particolarmente numerosi, forse per le molteplici “tane” di scorpioni, che vi si trovano ovunque (il nome di NGAOUNDAYE, in lingua panà, significa “ricettacolo di scorpioni”). Si dice infatti: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Proprio nella mia nuova casa, coperta con lamiere zincate, un serpente “cracheur” (di quelli che sputano) si era nascosto tra due lenzuola piegate, al primo piano di uno scaffale. Bruscamente con un bastone l’ho gettato a terra, ma lui si è alzato di mezzo metro e stava “sputandomi” in faccia quando l’ho abbattuto … Il giorno successivo nella camera accanto, un serpente più piccolo, di circa 40 cm., cercava di scappare, ma sul cemento scivolava e … non riusciva a muoversi in fretta.

 

 Ancora a Ngaoundaye, nel 1965, alcune persone, molto agitate, hanno accompagnato alla missione una donna che era stata morsicata da un serpente mentre lavorava nei campi. La donna non aveva dato importanza al fatto; solamente teneva in mano il serpente ucciso, per indicare all’infermiere il tipo di vaccino che doveva iniettarle. Dissi loro di andare immediatamente a 25 km. al dispensario dei protestanti, che avevano i vaccini adatti. In serata ho saputo che quella persona è deceduta prima di arrivare al dispensario.

 

Sempre a Ngaoundaye, i nostri ragazzi che vivevano nella missione, scavando in una buca nel vicino prato, quando le erbe erano state appena bruciate, in meno di mezz’ora hanno raccolto vari serpenti, con cui hanno preparato gustosi pranzetti.

 

Ero solito fare la siesta in un vicino tukul, coperto di paglia, che mi dava un po’ di fresco; ma un giorno con mia grande meraviglia ho visto qualcosa che pendeva dal tetto e si muoveva … Sono balzato a terra … e l’inquilino inaspettato ha avuto la sua parte.

 

A Kounang (a 40 km da Ngaoundaye) un giovane, desideroso di cibarsi di qualche topo di campagna, credendo di trovarlo in una buca, vi ha messo dentro la mano e il braccio. Sentendo morsicare le dita, vi ha messo dentro di nuovo la mano, sicuro di aver trovato il topo, ma la seconda volta è uscito un serpente appeso alle sue dita. La bestia è stata subito uccisa, ma la mano si è gonfiata enormemente. Solo tre giorni dopo, hanno portato il giovane al nostro dispensario, dove la Suora infermiera ha iniettato nel gonfiore la fiala del vaccino. Il giovane si è salvato, ma la mano è rimasta “rattrappita”. 

   

A Ndim di serpenti ce n’erano a volontà, anche perché le pietre non mancano. Presso il laghetto artificiale, vi erano alcune casette per i giovani desiderosi di scegliere la vita religiosa. Mentre studiavano, cercavano di procurarsi il cibo, coltivando l’orto e allevando il pollame. Le galline ovaiole non mancavano, ma da un po’ di tempo non c’erano più le uova. Data la lontananza dal centro del villaggio, si era pensato che qualche animale di nascosto volesse fare man bassa del pollame e delle uova. Ma no, le galline c’erano tutte! Finalmente qualcuno, durante la notte, sentì del rumore nel pollaio. Tutti d’accordo, si misero a fare la guardia al ladro. Solo dopo qualche tempo, gli 007 scoprirono un “cracheur” (serpente di un metro e mezzo) che si serviva delle uova e le inghiottiva intere.

 

Sempre a Ndim mi è capitato di toccare quasi con mano una vipera “cornuta”, mentre stavo cogliendo un piantina di fiori … ma lei trangugiava un rospo e mi ha degnato solo di uno sguardo languido.

 

Era già quasi buio, quando, entrando nella chiesina costruita tra due enormi macigni, un novizio mi ha spinto lontano, indicandomi un serpente. Questi, arrotolato su se stesso, stava mimetizzandosi oppure preparava il suo attacco … Ho ringraziato quel giovane, aggiungendo: “Le ti mo akpengba = i tuoi occhi sono vivaci”!

 

Molti mi hanno chiesto perché non sono mai stato morsicato dai serpenti. La mia risposta è questa: camminando nella campagna, portavo sempre con me un bastone che muovevo in continuità, col proposito di far capire ai serpenti: “Fatti largo perché ci sono io e questo bastone è per te, se non te ne vai!”. Quando li incontravo, dicevo loro: “Non ti faccio del male, ma tu non farne neppure a me. Siamo tutti e due creature di Dio, che fa sempre le cose per bene”.

 

Penso sia interessante finire questa cronaca con un fatto avvenuto a mio fratello minore. A lui piaceva veramente fermarsi a contemplare i serpenti. Finché tutto si limita a questo, niente di male. Ma all’improvviso è comparso un grosso serpente e, invece di andare a cercare un bastone … lui ha preso il mio fucile che era a portata di mano, e con l’impugnatura ha fatto fuori il serpente. E’ vero che ho perso l’appetito quel giorno … ma l’ho perdonato.


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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV