Giovedì 25 Aprile 2024
Contempliamo qui le meraviglie del creato
Amore al fratello!ContattiLa Parola di DioBlog
A tu per tu


Pensieri

Ogni azione cristiana è vera se è vissuta nell’Amore Reciproco; e questo diventa realtà se entrambi ci accettiamo così come siamo e come Dio ci ha sempre accettati. Personalmente sono pienamente d’accordo con te; spero che anche tu lo sia con me!

 

Mi spiego con una similitudine, per capire meglio l’importanza di questa realtà. Nell’OUBANGUI CHARI, all’inizio della mia attività missionaria 65 anni fa, il lavoro del fabbro era frenetico e lo rendeva il più ricco banchiere del paese. Si chiamava “Zo ti ndao”, in lingua sango. Ti spiego perché e insieme capiremo come il suo lavoro possa essere di esempio anche per la nostra Vita Spirituale, la sola realtà che porteremo con noi all’Incontro Finale!

 

Da sempre le pietre “ferrose” si trovavano in luoghi appartati, che solo gli anziani conoscevano e si tramandavano da generazioni. Gli adolescenti, con le informazioni date dai loro padri, andavano in alcuni ripostigli “ferrosi”, per preparare la dote alle loro spose. 

Trasformare quelle pietre era un lavoro difficile, ma necessario … Al tempo fissato, l’adolescente andava dall’addetto a fondere il pietrame ferroso in “liquido” e quindi in “lari”, che diventavano la moneta corrente di allora.

In genere, in ogni mercato paesano ogni merce era “barattata” con un'altra oppure, all’occasione, si scambiava con i cosiddetti “lari”, che avevano acquistato il valore di denaro – sotto forma di piastre di ferro, di 1 cm di larghezza e 4 di altezza, lunghi circa il palmo di una mano …

 

Per fondere le pietre ferrose era necessaria una tecnica che pochi conoscevano. Occorreva anzitutto un cono alto un metro o poco più, fatto di buona argilla, con lo spessore di cinque cm e il diametro di settanta/ottanta cm. In fondo al cono si trovavano tre aperture con altrettanti “soffietti”, che si mettevano in funzione quando il cono era pieno di carbone e di pietre ferrose.

Quando tutto era pronto, il responsabile di questa specie di “altoforno” dava fuoco ad uno strato di legna minuta, sotto il primo strato di carbone, sul quale, a intervalli, erano posti altri strati di pietre e carbone. All’inizio i soffietti si mettevano in moto lentamente, ma poi, per il forte calore, le pietre si fondevano e dai piccoli fori usciva il liquido da utilizzare per i “lari”. L’adolescente, per pagare il lavoro dell’ ”altoforno”, lavorava nei campi del proprietario per una stagione.

 

Caro mio amico e fratello, quello che ho detto sopra mi sembra sia sufficiente per fare un bel salto di qualità e aiutarci a risolvere la situazione in cui si trova la nostra Vita Spirituale e Soprannaturale.

Infatti, di pietrame ferroso ne abbiamo a volontà, essendo frutto dei nostri egoismi che, sempre pronti a scatenarsi, ne producono a bizzeffe! La loro presenza toglie pace e serenità all’anima, che per riaverla deve fare un viavai verso l’Altoforno del Buon Dio … “ricco in misericordia”. Lui soltanto sa cambiare tutto in preziosi “lari”, soldi nuovi di zecca, utilissimi a pagare il Dazio per entrare nella Casa Paterna!

Però è necessario riconoscere il proprio torto, chiedere perdono a Dio, che sa bene il male che abbiamo fatto, e proseguire con il fermo proposito di non farlo più … riconciliandosi tramite l’incaricato di Dio, il sacerdote.

 

Dio è “ricco in misericordia” verso chi riconosce il suo male e promette di non peccare più. Al sacerdote interessa che il penitente dia segno di contrizione. Nessuno può “barare” con Dio che sa tutto di noi … . In caso di ricaduta, dobbiamo rifare il cammino di riconciliazione e … ricominciare sempre sulla buona strada!

A Dio piace che noi facciamo gesti di umiltà, per diventare veri “bambini del Regno” e renderci “credibili” ovunque, davanti a tutti.

 

Con il fuoco le molteplici “scorie” sono bruciate e scompaiono, mentre il vero metallo salta fuori, pronto per essere utilizzato … specie per il cemento armato, che dà solidità ad ogni costruzione.

 

Riconosco di non avere tempo da perdere. Devo meditare sul FUOCO - il Buon Dio - che da sempre mi ama ed è a mia disposizione, per togliere tutte le scorie con cui quotidianamente il mio egoismo mi investe e mi contamina.

 


Documenti allegati

 Pensieri.doc

 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco