A tu per tu


Pensieri

Ogni azione cristiana è vera se è vissuta nell’Amore Reciproco; e questo diventa realtà se entrambi ci accettiamo così come siamo e come Dio ci ha sempre accettati. Personalmente sono pienamente d’accordo con te; spero che anche tu lo sia con me!

 

Mi spiego con una similitudine, per capire meglio l’importanza di questa realtà. Nell’OUBANGUI CHARI, all’inizio della mia attività missionaria 65 anni fa, il lavoro del fabbro era frenetico e lo rendeva il più ricco banchiere del paese. Si chiamava “Zo ti ndao”, in lingua sango. Ti spiego perché e insieme capiremo come il suo lavoro possa essere di esempio anche per la nostra Vita Spirituale, la sola realtà che porteremo con noi all’Incontro Finale!

 

Da sempre le pietre “ferrose” si trovavano in luoghi appartati, che solo gli anziani conoscevano e si tramandavano da generazioni. Gli adolescenti, con le informazioni date dai loro padri, andavano in alcuni ripostigli “ferrosi”, per preparare la dote alle loro spose. 

Trasformare quelle pietre era un lavoro difficile, ma necessario … Al tempo fissato, l’adolescente andava dall’addetto a fondere il pietrame ferroso in “liquido” e quindi in “lari”, che diventavano la moneta corrente di allora.

In genere, in ogni mercato paesano ogni merce era “barattata” con un'altra oppure, all’occasione, si scambiava con i cosiddetti “lari”, che avevano acquistato il valore di denaro – sotto forma di piastre di ferro, di 1 cm di larghezza e 4 di altezza, lunghi circa il palmo di una mano …

 

Per fondere le pietre ferrose era necessaria una tecnica che pochi conoscevano. Occorreva anzitutto un cono alto un metro o poco più, fatto di buona argilla, con lo spessore di cinque cm e il diametro di settanta/ottanta cm. In fondo al cono si trovavano tre aperture con altrettanti “soffietti”, che si mettevano in funzione quando il cono era pieno di carbone e di pietre ferrose.

Quando tutto era pronto, il responsabile di questa specie di “altoforno” dava fuoco ad uno strato di legna minuta, sotto il primo strato di carbone, sul quale, a intervalli, erano posti altri strati di pietre e carbone. All’inizio i soffietti si mettevano in moto lentamente, ma poi, per il forte calore, le pietre si fondevano e dai piccoli fori usciva il liquido da utilizzare per i “lari”. L’adolescente, per pagare il lavoro dell’ ”altoforno”, lavorava nei campi del proprietario per una stagione.

 

Caro mio amico e fratello, quello che ho detto sopra mi sembra sia sufficiente per fare un bel salto di qualità e aiutarci a risolvere la situazione in cui si trova la nostra Vita Spirituale e Soprannaturale.

Infatti, di pietrame ferroso ne abbiamo a volontà, essendo frutto dei nostri egoismi che, sempre pronti a scatenarsi, ne producono a bizzeffe! La loro presenza toglie pace e serenità all’anima, che per riaverla deve fare un viavai verso l’Altoforno del Buon Dio … “ricco in misericordia”. Lui soltanto sa cambiare tutto in preziosi “lari”, soldi nuovi di zecca, utilissimi a pagare il Dazio per entrare nella Casa Paterna!

Però è necessario riconoscere il proprio torto, chiedere perdono a Dio, che sa bene il male che abbiamo fatto, e proseguire con il fermo proposito di non farlo più … riconciliandosi tramite l’incaricato di Dio, il sacerdote.

 

Dio è “ricco in misericordia” verso chi riconosce il suo male e promette di non peccare più. Al sacerdote interessa che il penitente dia segno di contrizione. Nessuno può “barare” con Dio che sa tutto di noi … . In caso di ricaduta, dobbiamo rifare il cammino di riconciliazione e … ricominciare sempre sulla buona strada!

A Dio piace che noi facciamo gesti di umiltà, per diventare veri “bambini del Regno” e renderci “credibili” ovunque, davanti a tutti.

 

Con il fuoco le molteplici “scorie” sono bruciate e scompaiono, mentre il vero metallo salta fuori, pronto per essere utilizzato … specie per il cemento armato, che dà solidità ad ogni costruzione.

 

Riconosco di non avere tempo da perdere. Devo meditare sul FUOCO - il Buon Dio - che da sempre mi ama ed è a mia disposizione, per togliere tutte le scorie con cui quotidianamente il mio egoismo mi investe e mi contamina.

 


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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV