Letture e meditazioni


Doppia appartenenza?

     Ogni carisma evangelico fa parte dell´Arcobaleno, che è espressione del Dio-Amore, del Dio-Trinità.

Ogni carisma cammina con, per, e nell´altro, realizzandosi nell´Amore trinitario in cui l´uno ed il tre sono un tutt´Uno.

Questo è di certezza assoluta: ogni carisma, per essere "vero  Carisma, e cioè manifestazione di Dio-Amore", deve sentire in sé  -  almeno in germe  - ogni altro carisma.

     Il seguente scritto, apparso su TESTIMONI, numero 15 del 15 / 09/ 06, è molto chiaro e quanto mai attuale.

 

 

UNA DOMANDA PROVOCATORIA: "DOPPIA APPARTENENZA"?

NO, GRAZIE … ANZI DI PIU´

 

Attraverso una lunga esperienza di vita, Fabio Ciardi ci conduce a riflettere, un po´ provocatoriamente, su una realtà su cui in passato si erano accumulati troppi "se" e "ma" e ci invita a pensare a una vita consacrata con un respiro più ampio ed ecclesiale.

 

         Sono venticinque anni che ogni estate mi incontro in Svizzera con i religiosi di tutto il mondo aderenti al Movimento dei focolari. Anche quest´anno eravamo 90, dagli Stati Uniti al Giappone, dal Messico al Togo, dal Brasile all´Olanda, dal Portogallo al Congo … dei più diversi istituti, in rappresentanza di diverse migliaia di religiosi.

         Terminato il convegno mi fermo ancora un giorno al Foyer che ci accoglie, e ceno con la comunità locale. Un laico, che si occupa dell´accoglienza, mi domanda cosa abbiamo fatto in tutti quei giorni d´incontro. Gli parlo degli argomenti trattati : la comunione tra i carismi, il nostro impegno per l´unità nella Chiesa, il rapporto tra le generazioni all´interno della vita religiosa. Gli parlo soprattutto della profonda esperienza spirituale che abbiamo vissuto insieme. Mi ascolta interessato, anzi ammirato.

         Non finisco di parlare, che un frate lì accanto taglia corto : "Doppia appartenenza". "Come?", faccio, pensando di non avere ben compreso. "Doppia appartenenza", ripete tranquillo. Mi sembra una parola preistorica, sepolta da tempo, almeno dal tempo dell´esortazione apostolica Vita consecrata che, parlando del rapporto tra vita religiosa e movimenti ecclesiali, non usa più questo stereotipo. E invece mi sento risuonare ancora nelle orecchie la formula "doppia appartenenza", riesumata da chissà quali scavi archeologici. Soprattutto mi colpisce la laconicità dell´affermazione : "Doppia appartenenza". Non ha altro da aggiungere il buon frate. E´ una formula risolutiva, conclusiva, rassicurante, che dispensa dal riflettere. Il problema è etichettato e classificato, risolto ed eliminato.

         Non ribatto perché mi accorgo che sono davanti ad un dato ideologico e le ideologie, si sa, sono una fede cieca, e perciò inscalfibili, refrattarie a qualsivoglia argomentazione.

 

 

NON DOPPIA MA TRIPLA QUADRUPLA …

 

Quasi quasi fa venire il dubbio anche a me. Mi domando se davvero ho una doppia appartenenza. Macché doppia! Mi accorgo di avere una tripla, quadrupla, multipla appartenenza. Che ricchezza mi viene da pensare.

         Al vecchio vescovo di Prato, Mons. Pietro Fiordelli, piaceva presentarmi come il suo "religioso diocesano". Doppia appartenenza? Sì, felice doppia appartenenza. Ho conservato e conservo un grande amore per la mia diocesi d´origine, ne seguo il cammino, e quando mi è possibile partecipo ai suoi eventi … Aveva ragione il vescovo, sono un "diocesano", appartengo alla diocesi, e insieme sono un "religioso", appartengo al mio istituto …

         Da trent´anni lavoro al "Claretianum", l´Istituto di teologia della vita consacrata dell´Università Lateranense. Sono stato il primo studente a conseguire il dottorato e sono professore ordinario. Ai convegni annuali indetti dall´Istituto sono quello che ha dato il maggior numero di relazioni. Tanti pensano che io sia un "claretiano" e, in giro per il mondo, spesso vengo presentato come tale. Ne sono onorato! Doppia appartenenza?

         Dieci anni di insegnamento alla Pontificia Università Salesiana mi hanno lasciato il marchio e alcuni pensano che io sia un "salesiano". La mia   assidua, quotidiana frequentazione, fin da piccolo, dei francescani e più tardi delle clarisse e di una congregazione francescana femminile, mi ha conferito una particolare affinità con l´esperienza di san Francesco : mi sento "francescano".

         Il guaio è che mi sento un po´ di tutti. Infatti, durante l´Ufficio delle letture, da molti anni, leggo per intero i classici della letteratura cristiana e, di volta in volta, mi sono ritrovato agostiniano, cistercense, carmelitano … Non si tratta di letture soltanto. Intrattengo rapporti di amicizia e di comunione con religiosi e religiose di tanti istituti, di tante spiritualità … Altro che doppia appartenenza!

         Che sia, la mia, la mancanza di una  identità propria? O forse l´inizio di un´esperienza di cattolicità? Che sia una risposta all´invito dell´apostolo Paolo : "Fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri" (Fil 4,8)?

         Penso poi a quante altre "appartenenze", di tipo diverso, mi ritrovo sulle spalle : appartengo alla Chiesa  cattolica, alla Nazione italiana, all´Associazione di ricerche e studi oblati… Mia mamma e i miei parenti giurano che appartengo alla loro famiglia, e forse Dio stesso  -  Dio lo voglia   -   rivendica a sé la mia esclusiva appartenenza.

         "Non imbrogliamo le carte  -  sento già obiettare, giustamente  -  non confondiamo i diversi piani di appartenenza".

 

 

UN´APPARTENENZA DIFFERENZIATA

 

         E´ proprio quello a cui voglio arrivare! Ed è quello a cui non ha pensato chi ha coniato la sfortunata espressione "doppia appartenenza".

Quando si parla di doppia o pluri-appartenenza occorre sempre tenere presente l´antico e saggio principio dell´analogia. Appartengo ad un determinato istituto religioso e insieme ad un movimento ecclesiale? Sì, ma si tratta di modalità di appartenenza diverse. Appartengo all´istituto in modo diverso da come appartengo al movimento. Non è lo stesso tipo di appartenenza, ma una appartenenza differenziata e solo analogicamente si può parlare di appartenenza per l´una e l´altra realtà.

         Il legame d´appartenenza all´istituto ha vincolanti aspetti giuridici che non ha l´appartenenza al movimento, di natura puramente spirituale. Ha ragione l´esortazione apostolica Vita Consecrata a dire che l´adesione ai movimenti ecclesiali deve avvenire "nel rispetto del carisma e della disciplina del proprio istituto, col consenso dei superiori e delle superiore e nella piena disponibilità ad accoglierne le decisioni". Siamo infatti su due piani ben distinti, da una parte un tipo di appartenenza giuridico, carismatico, spirituale, apostolico, dall´altra un´appartenenza di carattere meramente spirituale, da cui i religiosi  -  cito sempre Vita consecrata  -  "traggono in genere beneficio, specialmente sul piano del rinnovamento spirituale" (n. 56).

 

 

OGNI CARISMA UN DONO PER LA COMUNITA´

 

         "In ogni caso  -  si potrà ancora obiettare  -  si tratta di una doppia appartenenza d´ordine spirituale, quasi non bastasse il proprio carisma". E infatti non basta! O meglio, non ci si può rinchiudere nel proprio particolare, si diventerebbe settari e il carisma si farebbe asfittico. Ogni carisma, ha insegnato san Paolo, è un dono per tutta la comunità e, nello stesso tempo, ha bisogno del dono degli altri carismi. Siamo cattolici, trasparenti, aperti agli altri, pronti a donare come a ricevere, vivendo la "comunione dei santi", la realtà della Chiesa comunione : "tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa (e attualizzando, potremmo dire : Francesco, Ignazio, Teresa d´Avila, ma anche padre Pio, Madre Teresa, Chiara Lubich …) il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro : tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1Cor 3,22-23). Illuminante questo testo         di Paolo, dove le molte appartenenze confluiscono nell´unica definitiva appartenenza, in Cristo, a Dio. Che respiro grande, che vastità di orizzonti, che liberazione del mio miope particolarismo.

         La Madre Chiesa nella liturgia ci nutre con gli scritti dei  padri e dei santi, di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le correnti spirituali, ci fa celebrare le loro feste, ce li propone come esempi, sicura che se un francescano è attento all´insegnamento di Teresa d´Avila sull´orazione, con ciò non lascia il cammino di san Francesco, se un benedettino legge san Francesco di Sales non devia dalla sua strada. Penso  -   mi si perdoni gli accostamenti … sempre analogici!  -  al canarino e al pappagallo che mangiano lo stesso miglio : il canarino resta il canarino e il pappagallo il pappagallo e più mangiano più diventano se stessi : non cambiano natura perché si nutrono dello stesso cibo. La spiritualità del Movimento dei focolari l´avverto come una luce che ravviva i colori del mio carisma e di altri carismi nella Chiesa: come un´acqua fresca che irrora alle radici i carismi. Mi piace l´immagine della Chiesa come un giardino che sboccia in tanti fiori quanto sono i carismi. Esponendosi alla luce i fiori non perdono i loro colori, bevendo la stessa acqua non diventano uguali tra di loro. Lo stesso vale per i carismi. Un domenicano non si snatura se si nutre della Storia di un´anima di Teresa di Gesù Bambino, dottore della Chiesa, ossia di tutti i membri della Chiesa e non soltanto delle carmelitane …

         La formula stereotipa "doppia appartenenza" non può diventare un alibi per non ascoltare ciò che lo Spirito continua a dire alla Chiesa attraverso i suoi sempre nuovi carismi, per non compromettersi in una comunione esigente con tutte le vocazioni. Il dialogo, i rapporti d´amicizia spirituale, la comunione, l´unità sono un arricchimento, un fattore di crescita, la via sicura per conseguire identità e maturità, così da diventare a propria volta dono per tutti.

Fabio Ciardi, omi

 

 



 

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Messaggio Cristiano
GIUBILEO DEI MOVIMENTI, DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE NUOVE COMUNITÀ

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Piazza San Pietro
Domenica, 8 giugno 2025

Fratelli e sorelle,

«È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo» (S. Agostino, Discorso 271, 1). E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,1-11).

Come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura, lo Spirito opera qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Essi, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un’intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare l’intima esperienza della presenza del Risorto: lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le catene interiori, lenisce le ferite, li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio.

Il brano degli Atti degli Apostoli ci dice che a Gerusalemme, in quel momento, c’era una moltitudine di svariate provenienze, eppure, «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6). Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere. Come afferma Benedetto XVI: «Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele – la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri – e apre le frontiere. […] La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo» (Omelia a Pentecoste, 15 maggio 2005).

Ecco un’immagine eloquente della Pentecoste sulla quale vorrei soffermarmi con voi a meditare.

Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari.

E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale.

Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi. Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio.

Lo Spirito Santo, invece, fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni vere e buone: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti.

Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità.

Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché “ci insegna ogni cosa” e ci “ricorda le parole di Gesù” (cfr Gv 14,26); e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici.

Proprio celebrando la Pentecoste, Papa Francesco osservava che «oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine» (Omelia, 28 maggio 2023). E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta. Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli.

Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace.

Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi.

LEONE XIV