Martedì 22 Ottobre 2024
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Letture e meditazioni


Doppia appartenenza?

     Ogni carisma evangelico fa parte dell´Arcobaleno, che è espressione del Dio-Amore, del Dio-Trinità.

Ogni carisma cammina con, per, e nell´altro, realizzandosi nell´Amore trinitario in cui l´uno ed il tre sono un tutt´Uno.

Questo è di certezza assoluta: ogni carisma, per essere "vero  Carisma, e cioè manifestazione di Dio-Amore", deve sentire in sé  -  almeno in germe  - ogni altro carisma.

     Il seguente scritto, apparso su TESTIMONI, numero 15 del 15 / 09/ 06, è molto chiaro e quanto mai attuale.

 

 

UNA DOMANDA PROVOCATORIA: "DOPPIA APPARTENENZA"?

NO, GRAZIE … ANZI DI PIU´

 

Attraverso una lunga esperienza di vita, Fabio Ciardi ci conduce a riflettere, un po´ provocatoriamente, su una realtà su cui in passato si erano accumulati troppi "se" e "ma" e ci invita a pensare a una vita consacrata con un respiro più ampio ed ecclesiale.

 

         Sono venticinque anni che ogni estate mi incontro in Svizzera con i religiosi di tutto il mondo aderenti al Movimento dei focolari. Anche quest´anno eravamo 90, dagli Stati Uniti al Giappone, dal Messico al Togo, dal Brasile all´Olanda, dal Portogallo al Congo … dei più diversi istituti, in rappresentanza di diverse migliaia di religiosi.

         Terminato il convegno mi fermo ancora un giorno al Foyer che ci accoglie, e ceno con la comunità locale. Un laico, che si occupa dell´accoglienza, mi domanda cosa abbiamo fatto in tutti quei giorni d´incontro. Gli parlo degli argomenti trattati : la comunione tra i carismi, il nostro impegno per l´unità nella Chiesa, il rapporto tra le generazioni all´interno della vita religiosa. Gli parlo soprattutto della profonda esperienza spirituale che abbiamo vissuto insieme. Mi ascolta interessato, anzi ammirato.

         Non finisco di parlare, che un frate lì accanto taglia corto : "Doppia appartenenza". "Come?", faccio, pensando di non avere ben compreso. "Doppia appartenenza", ripete tranquillo. Mi sembra una parola preistorica, sepolta da tempo, almeno dal tempo dell´esortazione apostolica Vita consecrata che, parlando del rapporto tra vita religiosa e movimenti ecclesiali, non usa più questo stereotipo. E invece mi sento risuonare ancora nelle orecchie la formula "doppia appartenenza", riesumata da chissà quali scavi archeologici. Soprattutto mi colpisce la laconicità dell´affermazione : "Doppia appartenenza". Non ha altro da aggiungere il buon frate. E´ una formula risolutiva, conclusiva, rassicurante, che dispensa dal riflettere. Il problema è etichettato e classificato, risolto ed eliminato.

         Non ribatto perché mi accorgo che sono davanti ad un dato ideologico e le ideologie, si sa, sono una fede cieca, e perciò inscalfibili, refrattarie a qualsivoglia argomentazione.

 

 

NON DOPPIA MA TRIPLA QUADRUPLA …

 

Quasi quasi fa venire il dubbio anche a me. Mi domando se davvero ho una doppia appartenenza. Macché doppia! Mi accorgo di avere una tripla, quadrupla, multipla appartenenza. Che ricchezza mi viene da pensare.

         Al vecchio vescovo di Prato, Mons. Pietro Fiordelli, piaceva presentarmi come il suo "religioso diocesano". Doppia appartenenza? Sì, felice doppia appartenenza. Ho conservato e conservo un grande amore per la mia diocesi d´origine, ne seguo il cammino, e quando mi è possibile partecipo ai suoi eventi … Aveva ragione il vescovo, sono un "diocesano", appartengo alla diocesi, e insieme sono un "religioso", appartengo al mio istituto …

         Da trent´anni lavoro al "Claretianum", l´Istituto di teologia della vita consacrata dell´Università Lateranense. Sono stato il primo studente a conseguire il dottorato e sono professore ordinario. Ai convegni annuali indetti dall´Istituto sono quello che ha dato il maggior numero di relazioni. Tanti pensano che io sia un "claretiano" e, in giro per il mondo, spesso vengo presentato come tale. Ne sono onorato! Doppia appartenenza?

         Dieci anni di insegnamento alla Pontificia Università Salesiana mi hanno lasciato il marchio e alcuni pensano che io sia un "salesiano". La mia   assidua, quotidiana frequentazione, fin da piccolo, dei francescani e più tardi delle clarisse e di una congregazione francescana femminile, mi ha conferito una particolare affinità con l´esperienza di san Francesco : mi sento "francescano".

         Il guaio è che mi sento un po´ di tutti. Infatti, durante l´Ufficio delle letture, da molti anni, leggo per intero i classici della letteratura cristiana e, di volta in volta, mi sono ritrovato agostiniano, cistercense, carmelitano … Non si tratta di letture soltanto. Intrattengo rapporti di amicizia e di comunione con religiosi e religiose di tanti istituti, di tante spiritualità … Altro che doppia appartenenza!

         Che sia, la mia, la mancanza di una  identità propria? O forse l´inizio di un´esperienza di cattolicità? Che sia una risposta all´invito dell´apostolo Paolo : "Fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri" (Fil 4,8)?

         Penso poi a quante altre "appartenenze", di tipo diverso, mi ritrovo sulle spalle : appartengo alla Chiesa  cattolica, alla Nazione italiana, all´Associazione di ricerche e studi oblati… Mia mamma e i miei parenti giurano che appartengo alla loro famiglia, e forse Dio stesso  -  Dio lo voglia   -   rivendica a sé la mia esclusiva appartenenza.

         "Non imbrogliamo le carte  -  sento già obiettare, giustamente  -  non confondiamo i diversi piani di appartenenza".

 

 

UN´APPARTENENZA DIFFERENZIATA

 

         E´ proprio quello a cui voglio arrivare! Ed è quello a cui non ha pensato chi ha coniato la sfortunata espressione "doppia appartenenza".

Quando si parla di doppia o pluri-appartenenza occorre sempre tenere presente l´antico e saggio principio dell´analogia. Appartengo ad un determinato istituto religioso e insieme ad un movimento ecclesiale? Sì, ma si tratta di modalità di appartenenza diverse. Appartengo all´istituto in modo diverso da come appartengo al movimento. Non è lo stesso tipo di appartenenza, ma una appartenenza differenziata e solo analogicamente si può parlare di appartenenza per l´una e l´altra realtà.

         Il legame d´appartenenza all´istituto ha vincolanti aspetti giuridici che non ha l´appartenenza al movimento, di natura puramente spirituale. Ha ragione l´esortazione apostolica Vita Consecrata a dire che l´adesione ai movimenti ecclesiali deve avvenire "nel rispetto del carisma e della disciplina del proprio istituto, col consenso dei superiori e delle superiore e nella piena disponibilità ad accoglierne le decisioni". Siamo infatti su due piani ben distinti, da una parte un tipo di appartenenza giuridico, carismatico, spirituale, apostolico, dall´altra un´appartenenza di carattere meramente spirituale, da cui i religiosi  -  cito sempre Vita consecrata  -  "traggono in genere beneficio, specialmente sul piano del rinnovamento spirituale" (n. 56).

 

 

OGNI CARISMA UN DONO PER LA COMUNITA´

 

         "In ogni caso  -  si potrà ancora obiettare  -  si tratta di una doppia appartenenza d´ordine spirituale, quasi non bastasse il proprio carisma". E infatti non basta! O meglio, non ci si può rinchiudere nel proprio particolare, si diventerebbe settari e il carisma si farebbe asfittico. Ogni carisma, ha insegnato san Paolo, è un dono per tutta la comunità e, nello stesso tempo, ha bisogno del dono degli altri carismi. Siamo cattolici, trasparenti, aperti agli altri, pronti a donare come a ricevere, vivendo la "comunione dei santi", la realtà della Chiesa comunione : "tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa (e attualizzando, potremmo dire : Francesco, Ignazio, Teresa d´Avila, ma anche padre Pio, Madre Teresa, Chiara Lubich …) il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro : tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1Cor 3,22-23). Illuminante questo testo         di Paolo, dove le molte appartenenze confluiscono nell´unica definitiva appartenenza, in Cristo, a Dio. Che respiro grande, che vastità di orizzonti, che liberazione del mio miope particolarismo.

         La Madre Chiesa nella liturgia ci nutre con gli scritti dei  padri e dei santi, di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le correnti spirituali, ci fa celebrare le loro feste, ce li propone come esempi, sicura che se un francescano è attento all´insegnamento di Teresa d´Avila sull´orazione, con ciò non lascia il cammino di san Francesco, se un benedettino legge san Francesco di Sales non devia dalla sua strada. Penso  -   mi si perdoni gli accostamenti … sempre analogici!  -  al canarino e al pappagallo che mangiano lo stesso miglio : il canarino resta il canarino e il pappagallo il pappagallo e più mangiano più diventano se stessi : non cambiano natura perché si nutrono dello stesso cibo. La spiritualità del Movimento dei focolari l´avverto come una luce che ravviva i colori del mio carisma e di altri carismi nella Chiesa: come un´acqua fresca che irrora alle radici i carismi. Mi piace l´immagine della Chiesa come un giardino che sboccia in tanti fiori quanto sono i carismi. Esponendosi alla luce i fiori non perdono i loro colori, bevendo la stessa acqua non diventano uguali tra di loro. Lo stesso vale per i carismi. Un domenicano non si snatura se si nutre della Storia di un´anima di Teresa di Gesù Bambino, dottore della Chiesa, ossia di tutti i membri della Chiesa e non soltanto delle carmelitane …

         La formula stereotipa "doppia appartenenza" non può diventare un alibi per non ascoltare ciò che lo Spirito continua a dire alla Chiesa attraverso i suoi sempre nuovi carismi, per non compromettersi in una comunione esigente con tutte le vocazioni. Il dialogo, i rapporti d´amicizia spirituale, la comunione, l´unità sono un arricchimento, un fattore di crescita, la via sicura per conseguire identità e maturità, così da diventare a propria volta dono per tutti.

Fabio Ciardi, omi

 

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro - Mercoledì, 9 Ottobre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 8. «Tutti furono colmati di Spirito Santo». Lo Spirito Santo negli Atti degli Apostoli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa, oggi facciamo riferimento al Libro degli Atti degli Apostoli.

Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori – il vento fragoroso e le lingue di fuoco –, ma trova la sua conclusione nell’affermazione: «E tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). San Luca – che ha scritto gli Atti degli Apostoli – mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere “colmati di Spirito Santo” è che gli Apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue» e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla (cfr At 2,4ss).

Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa.

Il primo dei due movimenti – l’universalità – lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra “pentecoste”, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani (cfr At 10-11).

A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo – si legge sempre negli Atti degli Apostoli (cfr 16,6-10) – voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, «lo Spirito Santo glielo aveva impedito»; voleva passare in Bitinia «ma lo Spirito di Gesù non lo permise». Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa.

Il secondo movimento dello Spirito Santo – quello che crea l’unità – lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste. Lo fa anche – e nella maggioranza dei casi – con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo. La sua soluzione fu annunciata a tutta la Chiesa con le ben note parole: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...» (At 15,28).

Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: «Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa» [1]. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. È Lui stesso il “vincolo di unità”. È Lui che fa l’unità della Chiesa.

Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere.

Il motivo – per cui è difficile l’unità tra noi – è che ognuno vuole, sì, che si faccia l’unità, ma intorno al proprio punto di vista, senza pensare che l’altro che gli sta davanti pensa esattamente la stessa cosa circa il “suo” punto di vista. Per questa via, l’unità non fa che allontanarsi. L’unità di vita, l’unità di Pentecoste, secondo lo Spirito, si realizza quando ci si sforza di mettere al centro Dio, non sé stessi. Anche l’unità dei cristiani si costruisce così: non aspettando che gli altri ci raggiungano là dove noi siamo, ma muovendoci insieme verso Cristo.

Chiediamo allo Spirito Santo che ci aiuti ad essere strumenti di unità e di pace.

[1] Discorsi, 267, 4

Papa Francesco