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Testimoni del nostro tempo


CIAO GRANDE SILVANO CHE CI HAI VOLUTO BENE …

www.focolareliguria - 15/04/2020

Silvano, grazie di queste parole che hai lasciato su Maria!

 
Il nostro amico Silvano Gianti ci ha lasciato all’improvviso il 14 aprile.  Abbiamo ritrovato un suo intervento di alcuni anni fa in cui parlava di Maria, riportiamo qui alcuni dei passaggi principali che evidenziano in particolare lo speciale rapporto che Silvano aveva con Lei.
 
 
Ho accettato volentieri di raccontare qualcosa della Madre di Dio. Naturalmente non da mariologo, non da teologo o da esperto di cose di Dio, ma vorrei raccontare qualcosa di Maria partendo da quello che è stato ed è attualmente il mio rapporto con Lei. I miei genitori erano credenti e ricordo fin da piccolo, la sera dopo cena – estate e inverno si recitava il rosario.
 
Sono cresciuto così. Ricordo poi quando ormai adulto, magari in giro lontano da casa, telefonando a mia madre dopo avermi interrogato su come stavo, cosa facevo, come stava andando, chiudeva ogni volta dicendomi: ricordati di dire almeno qualche avemaria.
 
Così pian piano Maria è diventata mia sorella, sono figlio unico, avere una sorella ci si sente in buona compagnia. Successivamente Maria mi è diventata madre, è stato quando mia mamma stava morendo io le tenevo la mano così come per accompagnarla di là. Poi quando il respiro è cessato mi è venuto spontaneo, affidare la mia vita a Maria, chiedendole che mi prendesse come figlio suo. Insegnandomi a vivere come era vissuta Lei.
 
Penso che venerare Maria significa sempre imitare Maria, e ciò com­porta imitare anche la responsabilità di cui lei si è fatta carico. Quando Maria a Cana dice a Gesù: «Non hanno più vino» fGv 2, 3), dimostrando una squisita sensibilità per le necessità umane, el­la dimostra che il criterio per l’autenticità della pietà umana è la disponibilità ad imitarla proprio in questa attenzione ai bisogni del nostro prossimo.
 
L’amore a Maria non solo non allontana mai l’uo­mo dall’uomo, ma ci avvicina gli uni agli altri. Venerare ci deve impegnare a dire, come Lei e con lei, il nostro “eccomi”, il proprio “sì” al pia­no e alla via che Dio ha preparato per la vita di ciascuno di noi.
 
Mi piace immaginare Maria profondamente mischiata nella sua storia, tra la sua gente. Con Giuseppe e Gesù nella gestione della famiglia e della casa, oppure basta pensare come detto poc’anzi alle nozze di Cana, tanto per citare un piccolo particolare che ci riporta a Maria donna di casa. Quando manca il vino è lei che s’interessa. Anzi distinguerei è lei che s’accorge. Bello questo accorgersi. Significa che era attenta a quanto stava accadendo. Che viveva pienamente l’avvenimento. Già solo questo accorgersi che manca il vino apre al nostro tema una infinità di richiami per ciascuno di noi.
 
Ricordate questo brano delle nozze di Cana: s’accorge che manca il vino, si rivolge a suo figlio, non soddisfatta però, va dai servi e indicando nuovamente Gesù dice “fate quello che vi dirà”
 
E’ formidabile questa donna, sembra abbia in mano la cerimonia – d’altra parte s’è accorta Lei per prima che manca il vino, ma si ritira subito, quasi scomparendo per mettere il risalto Gesù.  E’ una frase che dice tutta la grandezza di Maria. Tutta la sua vita infatti è stata un fare quello che Gesù ha detto e notate: nient’altro. Maria dunque vediamo che in tutta la sua vita non ha fatto altro che mettere in risalto Cristo.
 
Maria è attenta: E noi? Quanto lo siamo con le persone che ci vivono accanto? Ci siamo accorti che – continuamente manca il vino – si perché ci sono una infinità di disagi, e quasi sempre li evitiamo regolarmente e cerchiamo di demandare ad altri la soluzione oppure ci sforziamo di trovare delle soluzioni ai mille bisogni che la nostra società oggi ci domanda attraverso le persone che percorrono questo tratto di vita. 
 
E penso ai poveri che incontriamo tutti i giorni sulle nostre strade, ma anche ad ogni persona che incontriamo povero o ricco, ognuno ha bisogno dell’altro.
 
Si perché c’è bisogno di silenzio, di ascolto, di attenzione, di capacità di vedere gli autentici desideri delle per­sone senza umiliare nessuno, c’è bisogno anche di sapersi ti­rare indietro. C’è bisogno di affetto, di vicinanza, di ritrovare la fiducia ne­gli altri, di credere, con fati­ca, ma di credere anche quan­do tutto sembra remare con­tro. C’è bisogno di accostar­si in punta di piedi alle ferite profonde degli uomini e delle donne del nostro tempo: sen­za soluzioni altisonanti in ta­sca, ma con la disponibilità a restare.
 
Restare lì dove l’uomo muore, presidiare la posizio­ne perché anche solo un bri­ciolo di dignità si salvi.Perché qualcuno continui a volgere lo sguardo verso l’orizzonte, in attesa speranzosa dell’alba. C’è bisogno di gesti semplici e parole belle che sciolgano gli odi. C’è bisogno di «portare» la vita  e di  «dare» la vita. C’è bisogno, lasciatemelo di­re, di Maria. Maria, mamma di Gesù e mamma nostra.
 
Maria dunque è la donna dei nostri giorni, pienamente intrisa nella nostra vita, modello di santità. Il suo ideale è sempre stato Dio, avrà avuto sicuramente mille dubbi – con un figlio del genere – eppure è andata dritta per la sua strada, dimostrando una fiducia senza confini nel Dio dell’Antico Testamento.
 
A questo Dio si è abbandonata e ripeto ancora senza tanto pietismo, ma amandolo concretamente nel prossimo. Maria sotto la croce dove sta con suo figlio ci dà una nuova comprensione del dolore polarizzando la nostra attenzione sul Cristo morente vuole aiutarci tutti a trovare la forza per superare ogni difficoltà.
 
Così qualsiasi sofferenza vissuta bene ci porterà non alla disperazione ma ad un amore maggiore verso Dio. Maria donna della globalizzazione, della fraternità universale. Non è forse lei che vuole famiglie unite, generazioni unite, popoli uniti. Vuole – mi pare –  che tutti gli uomini anche quelli senza un preciso riferimento religioso, ma che cercano il bene dell’umanità compongano un’unica famiglia?
 
Capite che questa Madre di Gesù è tutt’altro che una bella statua, una immaginetta da tenere nel libretto delle preghiere, Maria è il tipo della donna e anche dell’uomo del nostro tempo! 
 
Edith Stein, come anche poi Simone Weil (è laica anche lei), dicono che quest’aspetto femminile è necessario a tutti averlo, anche l’uomo, per poter essere persone complete, persone compiute.  Quale dunque il messaggio che ci lascia Maria?
 
L’abbiamo visto fin qui: Maria  nella sua vita ha amato. Il suo è un amore che non condanna. Ma che comprende. Maria è una donna che ha fatto della parola di Dio il programma della sua vita. Mi piace qui riportare quanto scrive una mistica del nostro tempo riguardo a Maria:
 
“Lei ha capito suo figlio, perché Gesù più che chiedere di combattere le te­nebre, domanda a noi di splendere in mezzo ad esse (Gv 1,5), di es­sere “luce del mondo” (Mt 5,14), e la luce non combatte, ma splende. La luce che è “splendore della vi­ta” si afferma da sola”.
 
E Gesù ci dice una cosa sola: “amatevi come io vi ho amato” l’insegnamento di Gesù è tutto qui.  
 
E per concludere permettetemi un inciso: si parla ormai da anni di notte di Dio in Europa soprattutto. Ma questo buio, non potrebbe essere l’ombra di Dio che ritorna nella nostra storia, perché attirato dalle tante persone che vivono il “fate quello che vi dirà?”.
 
Silvano Gianti

 

Oggi mercoledì 15 aprile 2020 improvvisamente è partito per il Cielo Silvano Gianti,

Focolarino, giornalista (su questo Sito tanti suoi articoli), generoso e col cuore grande: in attesa di scrivere in modo più ordinato di lui cominciamo con condividere alcuni flash….

 

 

 

E' impossibile in pochi minuti dire chi era, chi è Silvano.... tutti lo conoscete .. e l'espressione più comune arrivata da tanti di voi è: <<... non ho, non abbiamo parole>>.

Vi diciamo solo come ha, ed abbiamo, vissuto questi ultimi giorni.

 

In questo mese di vita in casa, con la sua concretezza ed il suo umorismo che sapeva sdrammatizzare anche le situazioni più pesanti, le giornate passavano nella pienezza. E non bastavano certo 4 mura per chiuderlo al mondo. Ha sempre approfittato di ogni spazio per telefonare ad uno, scrivere ad un altro, mandare due wapp .. quanti di voi ha raggiunto...

 

In questi giorni di Pasqua, sempre forte era il suo desiderio di creare un clima di famiglia, di rapporti caldi, ma soprattutto di vivere una Pasqua veramente di morte e resurrezione, nell'essenziale, nel rapporto con Dio, al di là di ogni cerimoniale o formalismo.

 

Sentiva di costruire il focolare: nei giorni precedenti ha chiamato ciascun focolarino sposato per un momento di comunione personale. Lunedì sera abbiamo fatto l'incontro di focolare in collegamento internet. Alla fine ha sottolineato: << Ricordiamoci che la croce, G.A., sono un passaggio obbligato ma non dobbiamo fermarci lì. Gesù è Risorto. >> ... Sicuramente perchè questa presenza del Risorto l'aveva dentro. E, possiamo dirlo, lo sperimentiamo anche tra di noi...

 

Nella notte di lunedì, alzandosi, ha avuto un capogiro e si è accasciato. Pian piano l'abbiamo accompagnato a letto e ha ripreso una notte tranquilla. Il mattino ancora si è dedicato a scrivere degli articoli e sentire tanti... Ma questa debolezza che aveva dentro, pian piano è aumentata e nel pomeriggio ha avuto nuovamente dei mancamenti. A quel punto ci siamo accorti che la situazione era seria ed insieme abbiamo deciso di chiamare l'autoambulanza per un controllo al pronto soccorso. Nei momenti di attesa, Silvano davvero sembrava trasformato, come un bambino che si abbandona nelle mani dei fratelli e del Padre. Mentre preparavamo la sua borsa non smetteva di ringraziarci e di scusarsi... Vederlo salire sull'autoambulanza da solo è stato per tutti noi uno strazio... una Desolata. Ma fino all'ultimo, il suo sdrammatizzare e sacralizzare nello stesso tempo: <>.

 

Nessuno di noi si poteva immaginare che i piani di Dio erano diversi. Sebbene ai primi controlli clinici non risultasse nulla di preoccupante, ad un certo punto i medici hanno ritenuto di fargli una trasfusione in quanto aveva l'emoglobina molto bassa. Ma dopo alcuni minuti, all'improvviso, è mancato per un arresto cardiaco.

 

Nel suo stile, le sue ultime parole: quando il medico gli ha chiesto il consenso per la trasfusione, Silvano ha risposto: << Dai, facciamo anche questo! >>, porgendo il braccio... come un affidarsi, consegnarsi , arrendersi alla Volontà di Dio.

 

Nell'introduzione al suo libro, Silvano ha scritto di se, del suo porsi di fronte agli ultimi, agli "emarginati delle periferie". Solo alcune righe che lo esprimono pienamente...

 

<<Nella mia vita ho incontrato tante persone ai margini, davvero tantissime.. Sono andato a trovarle, ho ascoltato le loro storie e le ho scritte. La loro vita mi riguarda, perchè, ad un certo punto, ho cominciato a capire che la vera periferia è quella dell'anima e che ogni essere umano in qualche modo la abita.

Quello che ho cercato di raccontare è in fondo la mia esperienza quotidiana... ho cercato di scriverla nel modo più autentico. Ed a me, l'autenticità, piace da matti>>.

 

Il focolare di Genova

 

 

La notizia ci raggiunge mentre facciamo via zoom il nostro giornaliero incontro di redazione. E forse non poteva che essere così, perché Silvano era parte viva della redazione con la sua penna che raccontava la vita in diretta, quella di chi giorno per giorno costruisce un mondo migliore: Silvano ci ha lasciato improvvisamente! Rimaniamo sbigottiti, increduli, senza parole. Ci mettiamo un po’ a riprendere la riunione per accordarci sugli articoli da pubblicare sul sito e sugli altri lavori da portare avanti e ancora non riusciamo a pensarlo senza vita.

 

Ma probabilmente è lui che ci fa il dono di pensarlo ancora più di prima al nostro fianco, a ricordarci di sorridere col suo umorismo, come faceva sempre, con i suoi messaggi WhatsApp quasi quotidiani (dei video e delle vignette di Silvano abbiamo una collezione). Ci mancherà Silvano, ci mancherà la sua profonda umanità, ci mancherà la capacità di ridere di se stesso e di non prendersi troppo sul serio, di prendere la vita con quella “leggerezza” di chi sa che tutto passa e che solo amare conta.

 

Avevamo in serbo un suo articolo, adesso l’ultimo suo dono a tutti noi. Basterebbe questo a dire chi era Silvano. Fa impressione la frase con cui si chiude. Ricorda «il senso di una giornata che si chiude in pienezza».

 

Giovanni e Antonio

di Silvano Gianti

 

Una storia intrisa di umanità, a bordo di un treno diretto a Ventimiglia. Cosa succede quando il nostro sguardo incontra profondamente quello del prossimo.

 

Alla fermata di Genova Brignole il treno in arrivo da Roma diretto a Ventimiglia è stranamente in orario. Poche persone salgono. È metà pomeriggio di una domenica di sole e bel tempo nonostante siamo in pieno inverno. Sono diretto verso casa a San Remo, sono stato a trovare un gruppo di amici e ho in cuore le ore passate insieme, che mi hanno arricchito umanamente e spiritualmente. Guardo dai finestrini le persone che passeggiano sul lungomare, le mimose dall’altro lato che colorano in anticipo di giallo, la collina a volte interrotta dalle numerose gallerie. Tra meno di due ore sarò a casa mentre ancora vivo di gratitudine per questa giornata.

 

La fermata porta nuovi passeggeri e proprio di fronte a me, prende posto un tipo giovane con un fare alterato, sporco da testa a piedi, che mi fissa con fare poco rassicurante. Anche se non mi pare sia ubriaco nè tantomeno “fatto” di droga. Sistematosi comincia subito a imprecare contro tutto e contro tutti specie contro gli italiani, l’Italia, e poi naturalmente il mondo intero. Tutt’attorno tra gli altri passeggeri si crea un silenzio che diventa vuoto totale. Penso alla mia mattinata, alla serenità vissuta e mi domando cosa posso fare per questa persona così provata. Decido di affidarlo alla madre dell’umanità a Maria.

 

Passa il tempo e quando alza lo sguardo diretto verso di me, gli faccio un cenno di saluto con un leggero sorriso. Passa un po’ di tempo e mi pare di capire voglia sapere l’ora, con attenzione gli dico che sono le 17. Non mi risponde e continua a imprecare con meno intensità, ma ora sono deciso, voglio cercare un rapporto con questo mio dirimpettaio così particolare. Inizio col domandargli di dov’è: «Marsiglia» è la sua risposta secca, poi aggiunge di voler andare a Siviglia. Allora lo informo che in Francia è in corso lo sciopero nazionale dei treni. Resta indifferente.

 

Ad un certo momento vedo spuntare dalla manica della giacca a vento un coltellaccio di circa 15-20 centimetri. Gli faccio notare che se la polizia lo vede potrebbe passare guai: poco dopo lo ripone nello zaino.  Per me manca poco meno di un’ora all’arrivo, avrei un libro che m’ero portato da leggere nel viaggio, ma non voglio aprirlo, penso che sia meglio offrire la mia attenzione a questo passeggero particolare che intanto ha iniziato a rollarsi una sigaretta ma che terrà sempre in mano, naturalmente spenta. Ma ormai s’è creata una sorta di azzardata complicità, tanto che ad un certo punto, senza parlare, mi fa vedere che la bocca è priva di gran parte dei denti e poi racconta di essere fuggito dalla mafia che gli ha ucciso il figlio di sette anni. E poi ancora racconta che lui di anni ne ha 34.

 

Gli domando qual è il suo nome: mi colpisce l’improvvisa dolcezza con cui pronuncia Antonio. Questo è il mio nome mi dice. Gli domando se ha da mangiare e risponde che può stare anche cinque giorni senza toccare cibo. Poi mi dice che con sè non ha né denaro nè documenti. Gli porgo dieci euro, li rifiuta con fermezza, mi dice che gli basterebbe un euro che io non ho. Siccome insisto alla fine accetta la banconota da dieci. Mi viene spontaneo avvicinarmi sempre di più ad Antonio anche se manda cattivo odoreGli accarezzo un braccio, più volte ci stringiamo le mani.  Quando il treno è prossimo alla fermata di San Remo, si alza per accompagnarmi all’uscita e con tanta dolcezza fissandomi negli occhi dice: «Giovanni». Poi le porte si richiudono, il fischietto del capotreno da l’ok per ripartire. Ancora uno sguardo dal finestrino per entrambi per un grazie reciproco non pronunciato ma ben più ampio di un labiale.  E per me il senso di una giornata che si chiude in pienezza.  



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 11 Dicembre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.

In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.

Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.

È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.

Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!

Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].

Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.

L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!

[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.

Papa Francesco