Africa di ieri e di oggi


Da IONE

AGGIORNAMENTO SUL CENTRAFRICA

Ottobre 2020 - Jone è stata a Genova per alcune settimane: occasione preziosa per avere da lei notizie fresche sul Centrafrica. Ecco quanto ci ha raccontato.

 

La situazione politica

 

C’è stato l’accordo di Kartoum (febbraio 2019) che il Presidente aveva cercato in tutti i modi di ottenere con i gruppi di ribelli. Ci sono tre grandi gruppi: uno è verso la nostra zona di Ngaoundaye, nella zona dei musulmani; un altro verso nord est; e poi ancora un altro un po’ più su. In origine erano 14 gruppi, ma in tre erano i più forti. Il Presidente si è dato da fare, voleva un processo di pace e ha cercato la via del dialogo, per far rientrare i ribelli nella vita normale. Con l’accordo di Kartoum tutti i gruppi avrebbero deposto le armi e avrebbero potuto scegliere un certo tipo di inserimento nella società civile, un lavoro… Addirittura i capi ribelli sono stati nominati "consiglieri della sicurezza nazionale", col rango di ministro. All’inizio sembrava che andasse. Un grande successo per il Presidente…

 

Persino il capo ribelle che era nella nostra zona lo hanno fatto arrivare a Bouar: gli hanno dato una casa, un ufficio, una macchina, una segretaria e sicuramente anche uno stipendio. È stato lì un po’ di mesi, poi se n’è andato per ritornare nella sua zona. Tutti dicono perché il "business di guerra" è molto redditizio, sicuramente molto più di avere un ufficio a Bouar…

 

E nel business di guerra secondo gli africani ci sono tutti: anche i capi, i dirigenti, (si dice che il Presidente della Repubblica sia diventato il primo miliardario della Repubblica Centrafricana). Permessi qui, autorizzazioni là, in cambio di soldi… corruzione. Secondo la gente tutti i dirigenti sono coinvolti, perché i dirigenti si occupano dei diamanti, dell’oro, trafficano in queste cose. I traffici vanno avanti a gonfie vele e quindi ne usufruiscono tutti, tranne la povera gente. La povera gente, che dovrebbe avere il beneficio dei diamanti, dell’oro, dell’uranio, del petrolio … non riceve niente. La povera gente continua a piantare e mangiare manioca.

 

Tutti i ribelli si sono ritirati dall’accordo di Kartoum, quindi non hanno più deposto le armi, al contrario, le hanno ricevute. Un esempio: una notte sono venuti a Wantiguera (a 7 km. da Bouar) e hanno attaccato la caserma. È stata una provocazione chiara verso l’esercito regolare, perché nella caserma c’erano i soldati centrafricani (FACA, Forze Armate Centrafricane).

 

Oltre all’esercito centrafricano ricostituito, nel paese ci sono i Minusca, (i militari dell’ONU), poi ci sono i russi, che non si sa bene dove sono ma che da qualche parte ci sono… Episodi come quello di Wantiguera si ripetono in varie zone.

 

Un paese diviso

 

Molti ribelli non sono neanche centrafricani. Han fatto dei certificati falsi per dichiararsi centrafricani ma sono mercenari stranieri del Ciad, del Sudan, del Mali, del Camerun, della Nigeria.

 

Qualche esempio della situazione. I ribelli hanno preso una cittadina, Niem, dove lavora il dottor Tiziano, e lì comandano loro. Tiziano dice che lo lasciano lavorare come medico, vanno a farsi curare in ospedale, pagano… Ma sono loro che comandano. Quando io finalmente sono riuscita ad andare a Ngaoundaye con un frate che doveva recarsi da quelle parti, appena siamo arrivati alla gendarmeria, ho visto che c’erano i gendarmi centrafricani, in divisa, e poi altre persone con abiti civili: questi sono i ribelli e sono loro che comandano. I nostri sono là come comparse. Siamo andati alla polizia perché volevamo andare a vedere un villaggio: stessa cosa, i poliziotti centrafricani in divisa e i ribelli in abiti civili, e sono loro che comandano.

 

Per sopravvivere devono avere dei soldi. Hanno messo una barriera verso Nzoro, quindi chi passa deve pagare il pedaggio: chi è in moto paga poco, chi è in macchina paga di più, il commerciante paga di più. Sono nella zona dei musulmani, dove vivono i Bororo, che hanno le mandrie di buoi. Loro assicurano la difesa dei Bororo e delle loro mandrie, e i Bororo in cambio della protezione pagano con il loro bestiame.

 

Questa è la situazione: tutto il nord è in mano ai ribelli. Se si calcola bene dove resta lo "Stato", è solo la città di Bangui e qualche zona, come Bouar, Bossangoa, piccole città, all’incirca un terzo del paese. I due terzi sono nelle mani dei ribelli che continuano a fare il loro business di guerra.

 

Nuove ricchezze, nuove occasioni di sfruttamento

 

Da poco sono stati scoperti dei giacimenti d’oro nella diocesi di Bossangoa, a Markunda, un povero miserabile villaggio. E chi sfrutta l’oro? Un’agenzia del Ciad: l’oro estratto va in Ciad (la zona è vicina alla frontiera). Il Ciad continua nella sua strategia di volersi impadronire di tutta la parte nord, perché nel nord c’è il petrolio: il bacino petrolifero del sud del Ciad arriva nella parte nord della Repubblica Centrafricana. Qui il petrolio non è mai stato sfruttato ed è quello che vogliono, perché così viene succhiato dal territorio del Ciad. È stato scoperto anche un altro giacimento di petrolio, un po’ più a sud, ma sempre nel nord del paese. L’allora Presidente Bozizé aveva affidato lo sfruttamento ai cinesi per il paese centrafricano, e questa è stata la sua rovina. Tre settimane dopo i ribelli della coalizione Seleka sono arrivati e hanno preso Bangui. Dove sono ora questi cinesi? Non si sa bene. Sono andati via o ci sono ancora?

 

Le forze militari dell’ONU (Minusca) si sono installate a 15 km. da Niem. Stanno lì e non fanno niente. Se si mettessero d’accordo, i militari dell’ONU, l’esercito regolare centrafricano, i gendarmi, i poliziotti, i russi … potrebbero entrare in Niem e sbattere fuori i ribelli. Invece stanno a 15 km. e che cosa fanno? Osservano. Si mangiano il loro salario, che deve essere piuttosto elevato, e non fanno niente. E la povera gente continua a piantare e a mangiare la manioca, perché è quello che possono fare.

 

Come reagisce la gente?

 

Quando parli con le persone che comunque hanno fatto un po’ di studio, che sono arrivati a un certo livello, sono fatalisti, non c’è nessuna idea di rivoltarsi, di ribellarsi, di fare qualcosa. Eppure, anche loro, se si mettessero tutti insieme… Anche i più giovani, almeno quelli che conosco (diversi studenti universitari, compresa la ragazza di Ngaoundaye che studia medicina e che ha già completato il 4° anno) pensano: la situazione è quella e bisogna barcamenarsi, cercare di sopravvivere e andare avanti.

 

Ognuno si è rifugiato nel suo piccolo cercando di sopravvivere, sopravvivere e andare avanti. Anche questa è una forza, perché altrimenti sarebbero già morti tutti. Ma è una forza passiva.

 

L’unica forza vitale che non si ferma è quella dei bambini che nascono. Il numero dei figli aumenta. E questo li porta ad andare avanti. Vanno avanti… nonostante tutto vanno avanti. È una resistenza passiva. Dove andrà a finire è difficile dirlo. Forse con noi bianchi non si esprimono tanto. Per esempio a Bouar ci sono due medici (ne era arrivato anche un terzo). Sono intellettuali, gente che ha studiato, però se accenni a qualcosa, a voler sapere che cosa ne pensano della situazione politica, non parlano.

 

Potrà venire una reazione di riscatto da questa parte colta della popolazione?

 

Si sente quello che è successo in Algeria, ultimamente nel Mali, in Sudan, si sono rivoltati, si sono organizzati, hanno dimostrato che non vogliono più continuare così, che vogliono un cambiamento. Ma da noi per il momento no. Sopravvivere, questa è la parola d’ordine: sopravvivere. Come andrà, come si potrà uscire? Qui è molto, molto difficile.

 

La crisi più grave

 

C’è una crisi economica, c’è una crisi politica, ma c’è anche una crisi della società, una crisi spirituale, una crisi morale che è più grave. Il Centrafrica che io avevo conosciuto era povero, molto più povero di adesso, ma c’era entusiasmo perché il paese era diventato indipendente, c’era la fiducia che si sarebbe sviluppato, che sarebbero andati avanti tutti. Tutto questo entusiasmo è sparito, non c’è più niente. Secondo me questa è la crisi morale più grave di quella politica ed economica.

 

31/12/2019

Sono molto preoccupata perché é ritornato Bozizé [il Presidente della Repubblica Centrafricana destituito dal colpo di stato del marzo 2013], accolto da una folle enorme, dicono; domenica scorsa era alla Messa in cattedrale per mostrarsi a tutti; si presenterà alle elezioni; come ha fatto a passare tutte le frontiere visto che ha un mandato di arresto internazionale?...

La vigilia di Natale ci sono stati degli scontri al Km 5, il quartiere dei mussulmani: mussulmani commercianti contro mussulmani che si autoproclamano difensori e protettori e esigono tangenti; si sono ammazzati fra di loro, una trentina di morti, nessuno é intervenuto, né polizia, né gendarmi, né militari, né forze dell'ONU; probabilmente vogliono che si ammazzino fra di loro.... é molto triste ma é così…

 

7/2/2020

Mi rifaccio viva dopo tanto tempo ma anche qui, a Bangui, internet è una sofferenza: stasera sembra che funzioni e ne approfitto.

Sono venuta a Bangui per l'assemblea generale annuale dell'ASSOMESCA: tanti tanti problemi …  [amministrativi, di rapporto con tutte le parti in causa…].

Bisogna ingoiare amaro…

 

20/3/2020

Le notizie che arrivano dall'Italia non sono molto allegre…

Il virus è arrivato a Bangui con un missionario comboniano che era andato in congedo ed è tornato da Milano col virus: I giornali dicevano che era morto ma poi abbiamo visto alla televisione che il Presidente era andato a fargli visita... quindi è ancora vivo.

Speriamo che la temperatura dell'Africa impedisca al virus di circolare, altrimenti sarà un disastro; impossibile obbligare la gente a stare a casa perché non hanno l'acqua in casa, quindi ogni giorno devono andare alla pompa... non hanno il frigo per conservare i cibi, quindi ogni giorno devono andare a comprare al mercato... e le loro case non sono certo confortevoli...

Domani ci sarà una riunione nell'ospedale di Bouar, per cercare di fare una azione comune. Speriamo bene. Tanti auguri e tanta pazienza a tutti voi.

 

27/3/2020

Il Presidente ha parlato oggi: scuole chiuse, chiese quasi chiuse, aeroporti chiusi. Vogliono fare come in Europa ma non è possibile perché i bambini non hanno un posto dove stare in casa, andranno in giro e saranno più esposti che in una classe a scuola. La gente non ha frigo né acqua in casa, devono provvedere ogni giorno, non possono stare a casa. Vedremo cosa succederà. Speriamo che il virus non arrivi qui, a Bouar, perché sarebbe un disastro. Vi farò sapere.



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale - Piazza San Pietro Mercoledì, 10 Settembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 6. La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e grazie per la vostra presenza, una bella testimonianza!

Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce. I Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna.

Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia (cfr Mc 15,33.38). È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore.

Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità.

Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza.

Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto.

Gridare diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.

Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema. Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto.

LEONE XIV