Sabato 20 Aprile 2024
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A LOPPIANO al tempo di Renata Borlone

 

All’inizio di questa sequenza di ricordi, mi sembra che ci sia una sola frase capace di esprimere pienamente quello che ho vissuto nella mia permanenza a Loppiano: "TIRAMI SU".

Gli ingredienti sono sempre gli stessi, tenendo conto che è importante mettere una giusta dose di . Posso dire che per tutto il tempo passato sia alla CHARIS di Albano Laziale che alla CLARITAS di Loppiano, mi è stato dato il dono di vivere quotidianamente un TIRAMI SU spirituale. All’inizio mi era difficile capire che innanzi tutto occorre adoperare una giusta dose di <mascarpone>, consistente nel mettere in luce la presenza di Dio in me. Questo l’ho imparato dall’amore vero e sincero che il mio prossimo mi ha regalato continuamente; un <amore> sempre nuovo e fattivo.

Mi sono sentito amato sempre e, poco per volta, sono stato obbligato a contraccambiare anch’io … divenendo, a mia insaputa, un TIRAMI SU per gli altri. Tutto ciò è avvenuto RECIPROCAMENTE. Questo significa vivere da veri cristiani!

"Avere il mal d’Africa" è una realtà da <provare per credere>. Anche per il TIRAMI SU spirituale vale la stessa cosa. Infatti, nonostante sia stato in Africa per tanti anni, a Loppiano ho dimenticato la mia Africa… grazie a Dio e a chi mi stava accanto.

Parola del Koko/Stagionato

 

Con RENATA BORLONE alla "Claritas" di Loppiano dal 1988 al 1991

 

Ho vissuto alla "CHARIS" (centro internazionale dei religiosi) per tre anni, a partire dal settembre 1979, con padre Bonaventura Marinelli, presso il convento dei Cappuccini di Albano Laziale. Ho trascorso poi sei mesi con Padre Novo – responsabile della branca internazionale dei Religiosi - e Frère Marcel Bourcereau, francese di San Gabriele, già missionario nel Gabon, presso il convento disabitato dei Frati Conventuali di Santa Maria in Albano Laziale. Insieme realizzavamo così il primo "focolare" dei religiosi. Dopo questo periodo ho fatto ritorno in Centrafrica.

Nel 1988, presso il Seminario della Yolé (Bouar), ci fu la solenne inaugurazione della cappella, con la partecipazione del card. Tomko e del superiore generale dei Cappuccini, p. Flavio Carraro. In quella occasione p. Flavio mi confidò che P. Bonaventura desiderava che io mi mettessi a disposizione della Claritas (comunità interreligiosa internazionale). Avuto il benestare del mio superiore provinciale di Genova, p. Vittore Ghelardi, in pochi giorni venne fissata la mia partenza …

Arrivai a Loppiano alla metà del 1988. Avrei dovuto rimanervi solo qualche giorno, per poi andare definitivamente a Fonjoumetaw (Cameroun) con p. Celso Corbioli, un religioso dell’OMI che attendeva da tempo un confratello. Ma p. Bonaventura si accordò con Padre Novo ed il Centro dei Religiosi di Roma per trattenermi a Loppiano … In seguito Lucio Dal Soglio mi scrisse  felicitandosi con me … perché invece di andare a Fonjoumetaw ero arrivato a Loppiano!

Ritrovarmi con P. Bonaventura fu per me una grande gioia.

 

Allora "Loppiano consisteva in un centinaio di ettari di terreno collinoso, attorno ad un’antica villa circondata da "loppi" (nome usato localmente per indicare l’acero campestre). Alla metà degli anni ’60 era divenuta la sede della scuola internazionale che l’Opera di Maria aveva trasferito qui da Grottaferrata. L’arrivo di un centinaio di giovani da tutto il mondo, di culture e razze diverse, con abitudini, gusti e mentalità differenti per trascorrere due anni – come aveva detto don Pasquale Foresi, allora Assistente del Movimento - in una profonda esperienza di vita cristiana nel lavoro, nello studio e nella contemplazione, non poteva non cambiare volto a quel luogo, un tempo definito da Papini: "triste e solitario".

Quando Renata Borlone vi giunse erano gli ultimi mesi del ’67; la villa e alcune case coloniche erano state ristrutturate e già erano sorte nuove costruzioni, in parte ad uso abitativo, in parte adibite ai lavori che le ragazze e i giovani svolgevano per guadagnarsi da vivere ed esprimere i loro talenti" (v. Il silenzio che si fa vita, p. 96).

 

A Loppiano le cosiddette Scuole di formazione sorgevano come "funghi": il "collège" per le ragazze e a "Campogiallo" per i ragazzi; i preti ebbero a disposizione, nella vicina Incisa Valdarno, il cosiddetto "Vivaio" dei Frati Minori, mentre i Religiosi si sistemarono nella cadente cascina di "Scaraggi" … I Volontari trovarono a Tracolle la cantina ove abitare e le Volontarie, con le colombaie, ebbero il loro daffare; anche  le due scuole degli adolescenti "Gen" trovarono la loro sistemazione … Nel frattempo le orchestre delle due famose batterie, rosse e verdi, esplosero per attrazione e vitalità.

 

Responsabile della Scuola per le focolarine era Renata Borlone, per i focolarini Gino Bonadimani, per i preti don Giò e per i religiosi p. Bonaventura, per i volontari sia maschili che femminili, non ricordo; so che la scuola delle religiose non era ancora aperta. I responsabili di queste scuole si ritrovavano periodicamente assieme per vedere come mettere in evidenza l’essere Chiesa viva con l’Amore Reciproco" … come una luce sul candelabro, alla vista di tutti i presenti e di quelli che sempre più venivano a osservare.

 

Incontrai Renata Borlone una settimana dopo il mio arrivo. Essa dal vicino Collège era venuta per conferire con p. Michel, che regolarmente dava corsi di Storia Sacra e della Chiesa alle ragazze. Il padre seguiva un testo di studio forse troppo "alla lettera" … Renata molto delicatamente gli fece notare che non bisogna insistere sulla "divisione" … non tanto su quello che ci separa dai protestanti, ma piuttosto su quello che ci unisce ed è di più.

Terminato il loro incontro, mi presentai a Renata: le dissi di essere arrivato dal Centrafrica e che già ero stato con p. Bonaventura alla Charis di Albano Laziale. Le assicurai la mia "unità" nell’Ideale del Carisma di Chiara Lubich. Un incontro di cortesia e di fraternità. In seguito, avremmo avuto altre occasioni per fare conoscenza.

 

Come "secondo", mai nominato (!?), ho partecipato due volte alle riunioni dei responsabili, essendo assente p. Bonaventura. E’ stata un’esperienza quanto mai interessante: tutti e sei ci si sentiva – e ci si metteva in Dio … innanzi tutto! – per essere "nuovi", come "Gesù" in dono reciproco. Ricordo che mi preparavo con un buon esame di coscienza per non portare alcuna traccia di "egoismo" nell’anima … Naturalmente chi manteneva viva l’assemblea era Renata o Gino. Tutti ci sentivamo liberi di esprimerci. Si percepiva la nostra vita "comunitaria" nelle singole scuole e nell’insieme, secondo i sette colori dell’"arcobaleno", … alla maniera di Dio Uno e Trino.

Quella mia presenza di tre anni e mezzo a Loppiano mi ha fatto dimenticare la vita del "tutto fare" africano. O per amore o per forza dovevo vivere il famoso "momento presente", vedendo me stesso e gli altri "nuovi".

 

Renata Borlone aveva una capacità straordinaria di "amare per prima", di "farsi uno adattandosi ad ognuno" … tenendosi in disparte. A questo proposito ricordo che una domenica – un anno dopo il mio arrivo a Loppiano, in occasione dell’Assemblea/Messa nel salone san Benedetto, mi era stato dato l’incarico di presentare il piccolo gruppo dei Religiosi, in assenza di p. Bonaventura. Ringraziando Dio di poter incontrare centinaia di giovani, di fronte alla loro generosità mi sentivo tanto piccolo che il mio essere sacerdote era ben poca cosa e, facendo il paragone, quasi quasi mi sembrava di essere un pezzo da museo, nei confronti del loro amore reciproco… Finito il raduno, una persona che  da vent’anni viveva l’ "avventura" di Loppiano venne a complimentarsi con me.

 

Oggi, dopo tanti anni, nella biografia della Serva di Dio Renata Borlone "Il silenzio che si fa vita"(pag 83), leggo:

"Una notte svegliandomi verso le due – ricorda una focolarina - vidi la luce accesa nella mansarda che Renata aveva scelto per sé, dato che piccola e scomoda, voleva che non l’abitassero altri. La cosa mi sorprese. Salii in punta di piedi e socchiusi l’uscio per vedere se occorreva qualcosa. Era in ginocchio con le mani giunte, assorta in preghiera. La sua concentrazione era tale che prese anche me e restai a lungo immobile, in silenzio. Avevo l’impressione che il cielo fosse sceso in quella mansarda quasi attirato da lei. Quando poi, si volse e mi vide, ebbe un attimo di esitazione, poi disse: "Scusami sai, ma devo proprio ottenere una grazia! Però, per favore, tu non dirlo a nessuno!". Tutta la moltitudine di grazie del Buon Dio non potrebbe essere un segno delle preghiere di Renata e di tante altre persone che pregano per altri, specie sacerdoti?

 

Con Padre Bonaventura Marinelli, cappuccino, il domenicano francese p. Michel Lemonnier ed il sottoscritto, ormai "stabili", una dozzina di Religiosi, di diversa nazionalità e congregazione, cercavano insieme di vivere l’evangelico "Amore Reciproco": di accettarsi e di amarsi così come ciascuno è.

 

La nostra giornata cominciava alle sei e mezzo, con il saluto in Dio, in noi e tra noi. Alle otto e mezzo tutti si recavano al lavoro, assieme ai focolarini, mentre il sottoscritto si dava daffare in casa, tra pentole e tegami, sempre pronto ad andare alla stazione per ricevere i religiosi o a fare le compere presso la "Conad" di Incisa Valdarno … Inoltre cercavo di rafforzare la reciproca conoscenza con i più vicini, specie i coniugi Zaccaria e Rina, e di ricoprire l’incarico di "secondo" di P. Bonaventura Marinelli.

 

Ogni domenica mattina, da varie parti arrivavano i pullman che si sistemavano sul piazzale, di fronte al salone S. Benedetto; era tanta la gente che voleva partecipare ad una forte esperienza spirituale.

Logicamente durante la settimana, alla direzione di Loppiano arrivavano le telefonate e i fax per prenotare l’arrivo dei pellegrini. La responsabile della "cittadella", Renata Borlone, con un gruppo di responsabili dei vari settori, nella serata di sabato sceglieva e preparava coloro – due o tre persone - che avrebbero comunicato la loro esperienza di vita comunitaria, come semplice dono. Venivano scelti pure due focolarini e due focolarine per ogni pullman, che si tenessero pronti all’accoglienza, per eventuali richieste e spiegazioni. All’incontro del sabato partecipava anche il sacerdote che avrebbe celebrato e detto la sua omelia … "in sintonia" con le esperienze dei giovani e in relazione con il video che Chiara Lubich avrebbe presentato, sul dono dell’Amore Reciproco. Per due volte è toccato anche a me di celebrare la S. Messa della domenica nel Salone.

 

Lo scopo dell’Assemblea domenicale a Loppiano era mostrare ai presenti e far gustare che le parole di Chiara Lubich si radicano nell’"esperienza di vita", confermata dal Vangelo. Singolare era anche il comportamento degli abitanti stabili di Loppiano, che si "mescolavano" con la gente … proprio come il "lievito" nella pasta. Si può dire che tutti i presenti si sentivano immersi in un"bagno"di comunione di amore … restando a "bocca aperta"!

 

Per dare inizio all’avventura di Loppiano erano venute da Bergamo varie famiglie di operai: i Piazza, i Bigoni, i Balduzzi ecc. che da tempo erano affascinati dall’Ideale di Chiara Lubich. Tra questi i Bigoni avevano una figlia – Chiaretta – con un male genetico per cui non poteva respirare normalmente: un handicap che aumentava la sofferenza della separazione dal paese natio. Subito presero la residenza proprio nella cascina denominata "Scaraggi" – la stessa che in seguito avremmo abitato noi religiosi.

Ho sentito dire che fin dall’inizio, ogni tanto, il gruppo del Gen Rosso andava a cantare sotto la finestra della stanza dove dimorava Chiaretta ammalata. Poco dopo cambiarono dimora, per sistemarsi sulle alture. Ben presto Chiaretta passò all’altra vita; ma anche Aurelio diede segni della stessa malattia. Varie volte sono andato a portargli la Comunione. Aveva circa vent’anni, ma sembrava un bambino. Aurelio è partito alla nuova vita poco prima che la nostra Renata ci lasciasse.

 

Un giorno presso la sede di Scinti, responsabile del ramo maschile, ho partecipato all’incontro con il card. Poupard. Veniva da Parigi, dove aveva assistito all’inaugurazione di una pagoda di buddisti, due dei quali, poco tempo prima, erano venuti a Loppiano e vi si erano fermati qualche giorno. La sua presenza ci ha manifestato l’importanza di partecipare alla vita "comunitaria cristiana", dove si cerca di vivere il Comandamento Nuovo dell’Amore reciproco.

 

Una volta, andando a Campogiallo, ho incontrato un uomo alto due metri, che si doveva abbassare per ascoltare un altro che gli parlava … poco distante c’era un’altra persona. A pranzo sono venuto a sapere che il re Baldovino da vari giorni si trovava a Loppiano, accompagnato dal suo maggiordomo. In Belgio si sapeva da tempo che la coppia regale era in relazione col Movimento di Chiara Lubich.

 

Nel 1989 la nostra casa colonica di "Scaraggi" è stata ristrutturata. Quindi noi abbiamo dovuto sloggiare e trasferirci nei locali di San Vito, che fungeva da parrocchia, anche se in pratica ogni assemblea liturgica si svolgeva a Campogiallo. E’ stato facile sistemarci. Sono stati fatti dei nuovi servizi igienici. Per la cucina poi me la sono cavata con le marmitte portate da Scaraggi … Mentre i religiosi si sono sistemati in vari locali a loro disposizione, il sottoscritto ha fatto la "trovata" di andare in soffitta, come in una comoda mansarda, dal nome romantico di "Tenda di Gheddafi".

 

La nostra abitazione aveva ad ovest le casette dell’orchestra femminile "Gen Verde" e ad est la casa denominata "Emmaus", che in seguito avrebbe ospitato la Scuola delle religiose. Più a sud c’era il cimitero che, con l’andare del tempo, assicurava la stabilità della vita evangelica a tutti gli abitanti di Loppiano. Un vero luogo di Santi, dove spesso andavo a ristorarmi spiritualmente … specie dopo che il corpo di Renata Borlone vi riposava sotto la scritta di Maria SS.ma, che "meditava e conservava la Parola di Dio nel cuore". 

 

Su richiesta di Valerio Ciprì, alias Lode, direttore del complesso del Gen Rosso, andavo a incontrare i giovani o a celebrare la Messa, specie quando stavano preparando le tournée nei centri italiani o esteri. Tutti hanno sentito parlare di questo complesso – come di quello del Gen Verde, formato dalle ragazze. Il loro scopo è quello di affascinare la gioventù con la voce, il loro modo di esprimersi e specialmente l’amore reciproco.

Alla mia domanda: "Come si realizza tra voi l’Amore Reciproco?" Lode ha risposto: "Innanzi tutto ne siamo convinti". In particolare mi ha assicurato che – e me n’ero accorto in varie occasioni – a metà concerto/esibizione si ritrovavano nel retro, per rinnovare il Patto di Misericordia, che consiste nel rivedersi sempre nuovi e… vedere gli altri sempre nuovi. Durante l’esibizione osservava il comportamento di ogni orchestrale … il ricominciare sempre da capo e rivedersi sempre nuovi in Dio naturalmente è di capitale importanza.

 

Il Primo Maggio a Loppiano c’è il pieno per tutta la giornata e i due Complessi Orchestrali attirano tanta gente. Tutto è preparato con cura e chi è stato scelto per dire la propria esperienza di vita deve farlo con poche parole, ben scelte "nell’Amore Reciproco".

Ricordo che il Primo Maggio del 1990 il cielo era plumbeo e l’acqua sembrava sospesa, pronta a cadere. L’ora di iniziare era imminente e tutti avevamo il cuore in ansia, mentre Renata con il megafono assicurava che non doveva piovere … semplicemente perché eravamo tutti lì per Lui. Così accadde e ben presto venne il sole e iniziarono le manifestazioni con la gioia di tutti.

All’aperto c’erano alcuni box provvisori per le confessioni, con altrettanti sacerdoti in attesa. Io ho visto una persona passarmi davanti, dall’aspetto insicuro, e l’ho chiamata. "Venivo da Bologna con il treno e alla stazione di Incisa Valdarno, vedendo che tutti scendevano, anch’io lo feci, anche se dovevo proseguire. Quella marea di gente mi indicava qualche raduno interessante … Ho seguito quanto è stato detto finora e, specie, mi hanno fatto impressione coloro che parlavano e come si esprimevano. Ho subito capito che Dio mi attendeva qui, erano almeno vent’anni che avevo lasciato la pratica religiosa, ora sono decisa a ricominciare …" Non mi è rimasto che aggiungere: "Hai vicino Dio che ti attendeva, diGli di sì, abbandonati alla Sua Bontà e Misericordia: ascoltaLo bene, perché vuole e sa farti nuova … Io ti assolvo dal tuo male …" Mai mi era successo di ascoltare una confessione così vera e ridotta ai minimi termini!

 

Per dire l’atmosfera di Loppiano, posso affermare, a gloria di Dio, che anche in mezzo ai fornelli, mentre stavo preparando il cibo ai miei compagni … ogni tanto capitava qualcuno che mi chiedeva di dargli l’assoluzione … Veramente si viveva con Dio al lavoro tra noi e … l’Africa la sentivo distante!

 

Non posso dimenticare che alla fine dell’anno 1989, a Campogiallo, Babbo Natale ci ha festeggiati tutti insieme e singolarmente … ricevendo ognuno per sé – adatto a sé - un regalino, con il battimani di tutti! Veramente ci sentivamo "famiglia"… All’inizio del Nuovo anno dalla riviera adriatica ci sono arrivati 3.500 panettoni, che abbiamo diviso tra i 700 abitanti … più di dieci panettoni per ognuno!

 

La "Claritas" - scuola dei religiosi - si trova tra Campogiallo e il Collège e attorno ha un terreno vasto, in parte boschivo, che a volte percorrevo liberamente. Ogni tanto incontravo un pastore con poche decine di pecore; si chiamava Goretti ed era originario di Nettuno. Il recinto con la tettoia non lo si notava facilmente. Varie volte abbiamo chiacchierato assieme e sono andato anche a casa sua, per fare conoscenza della moglie. Erano simpaticissimi! L’incontro con il pastore a Loppiano mi riportava alle parabole di Gesù, il buon Pastore.

Tutta la zona di Loppiano era "riserva di caccia" per la fauna minuta, come fagiani e conigli, che si vedevano ovunque. L’ex convento dei Frati Minori, denominato "Vivaio", si trova in basso in città e non fa parte di Loppiano, ma vi appartiene a pieno titolo dal momento che è diventato la Scuola dei Preti che cercano di vivere la Spiritualità dell’Unità di Chiara Lubich. Nel 1988 era parroco Don Leone, che per il 13 giugno mi ha invitato a fare un Triduo in preparazione alla festa di Sant’Antonio.

Don Mario Strada, che era il parroco degli agglomerati urbani, tutte le frazioni di Loppiano, a volte mi chiedeva di andare a celebrare la Messa domenicale in una chiesa dove nel soffitto c’era scritto: "La mia notte non ha oscurità", riferendosi a Gesù Abbandonato, che Chiara in un CH aveva citato.

 

Da tempo i giornali ne parlavano: e c’era pure chi sussurrava che la nuova e definitiva "Discarica" sarebbe stata fatta nelle vicinanze di Loppiano e non distante dal fiume Arno. In un primo tempo la notizia sembrava una "boutade" (una farsa, al dire dei francesi) perché l’ampio terreno era un ammasso di argilla che facilmente avrebbe inquinato il fiume Arno … Oppure si trattava di voci di persone contrarie alla "cittadella" di Loppiano e specie ai due complessi orchestrali del Gen Rosso e Gen Verde … Chiara Lubich ne venne a conoscenza e, da persona con i piedi ben posati per terra, radunò i responsabili di Loppiano e propose loro di preparare un video, dove si mettesse in evidenza che le case di abitazione erano nella zona prestabilita per la discarica; in più aggiunse di organizzare a Firenze una conferenza stampa, presenti tutte le testate dei quotidiani della regione.

Nello stesso tempo Umberto Giannettoni, il "factotum" della cittadella, faceva attenzione ad osservare se si vedevano degli insoliti veicoli nelle vicinanze. In poco tempo ne vide due fermarsi al di là della collina; e così venne a sapere che in realtà stavano scegliendo il luogo preciso della futura discarica.

Avvisata Chiara Lubich, convocò subito i responsabili della cittadella, organizzando al più presto un’ampia dimostrazione pubblica nel centro del paese, avvisando le autorità civili del comune. Immediatamente i responsabili con le rispettive scuole ci siamo radunati nel grande Salone San Benedetto. Tutti assieme, come gioiosi ragazzi, abbiamo ascoltato Renata che "titubante" ci raccomandava di non mettere troppo l’accento su "discarica no!" detto e ridetto, ma di pronunciare le parole … "con amore!", aggiungendo che non volevamo offendere alcuno …

A pagina 155 del testo "Il silenzio che si fa vita: la "giornata" di Renata Borlone", leggiamo: "E’ il mattino del 4 novembre’89, con un tempo a momenti piovoso già due ore prima dell’inizio. Davanti alla Scuola "Vinea Mea" dei preti c’è un furgone di carabinieri con l’incarico di mantenere l’ordine durante la dimostrazione. I partecipanti - 2.500 – hanno un’espressione serena, anche quelli a tratti emblematica da maschere antigas, e molte persone affacciate alla finestra applaudono gioiosamente. "La si direbbe una festa – dicono molti - , non una manifestazione di protesta". Il principale discorso è stato dell’onorevole Carlo Casini : "La Mariapoli non appartiene al nostro Comune, ma al mondo intero, non possiamo distruggere ciò che non è nostro. E’ una ricchezza per tutti, qualcosa che unisce, una realtà di vita da tutelare. Le migliaia di persone che affluiscono qui settimanalmente vogliono che Loppiano e i suoi abitanti continuino a vivere". Conclusione; la discarica non si farà.

 

Proprio dopo la manifestazione contro la discarica, Renata appare stanca; molti pensano che sia la conseguenza di una simile giornata. Nessuno però sa che da due giorni Renata ha la certezza che la sua esistenza è entrata nella fase finale. La sera prima ha infatti scritto nel suo Diario : "Ieri l’annuncio di una probabile grave malattia. Eterno Padre in nome di Gesù e in unità con Chiara, ti chiedo di condurmi passo passo a compiere bene la tua volontà. Che tutto si compia senza dare la minima preoccupazione. Che questo non rimanga parola vana".

Qui mi fermo e mi porto indietro a quel giorno di trent’anni fa, quando immediatamente la faccenda "discarica" scompare e, quasi improvvisamente, si sussurra ovunque della malattia di Renata. Da Roma, inviata da Chiara Lubich, arriva Natalia, con una lettera per Renata:

Carissima Renata, vero che tu vuoi amare solo Gesù abbandonato?

Anzi che non ti tiri indietro nemmeno se oggi Egli vuole che tu lo ami "come prima e più di prima". Sono sicura di sì. Ed è per questo che ti scrivo serenamente questa lettera. Devo dirti infatti Renatina, … che sta aprendosi per te una nuova tappa del santo viaggio. Infatti c’è una nuova volontà di Dio da abbracciare subito e con gioia. E’ questa: Gesù ti manifesta il suo amore, mandandoti a dire che (come penso sai) c’è una ricaduta nella malattia precedente, ma è una cosa seria. Occorre essere pronti a tutto quello che Egli vorrà e sarà solo amore. Naturalmente si farà ogni cosa – com’è nostro dovere - per estirpare il male, se e come è possibile. Ma tu accetta subito ogni cosa e va al di là del dolore.

E andiamo avanti, Renatina, senza troppo analizzare, con lo sguardo in quello del nostro Sposo, come degne focolarine. Che la nostra Mamma ti dia e ci dia di dare la più bella lezione a Loppiano e soprattutto alle nuove focolarine: la lezione della vita. Inutile dirti che sono con te. Quello che più mi interessa è tenerti sempre Gesù in mezzo, fare ogni passo assieme. Questo per oggi. Domani vedremo. Non andiamo più in là del presente.

Ti abbraccio, Renatina. Mandami a dire qualcosa.

Nel Dio della speranza. Chiara

La RISPOSTA di RENATA fu immediata: " La morte è vita. Non sento la morte, sento la vita. Questo voglio testimoniare: che la morte è vita!".

 

Si seppe subito che un brutto tumore aveva invaso il corpo di Renata. Ogni abitante della Mariapoli, almeno di sfuggita, cercava di visitare il SS. mo per dare all’inferma la forza di vivere e restare in quel SI’ … fino alla fine.

Padre Bonaventura non era presente. La notizia della morte si sparse fulminea. Renata si era addormentata in Dio dopo una miracolosa telefonata, con cui Chiara Lubich l’aveva fatta risorgere dal profondo coma, per dire "SI’" assieme alla Volontà di Dio. Telefonai subito al Centro dei Religiosi ad Albano, per sapere come dovevo comportarmi riguardo alla "corona di fiori". Mi risposero di uniformarmi a quello che avrebbero deciso i Preti.

In attesa del funerale nel Salone S. Benedetto, noi religiosi cercavamo di vivere al massimo l’Amore Reciproco, perché tutto si svolgesse "come in cielo così in terra". Intanto da Roma arrivarono con Chiara Lubich e Don Foresi tutte le prime compagne di Chiara.

Naturalmente cercai di avere a disposizione il necessario per un pranzo che fosse adatto alla circostanza e pensai al risotto. Il funerale è stato una vera festa. Alla celebrazione eucaristica erano presenti tutti i sacerdoti focolarini, i preti della scuola e i religiosi sacerdoti. Il sottoscritto scelse di rimanere nell’assemblea. Ricordo che Chiara Lubich si trovava in prima fila, vicino alla mamma di Renata, confortandola. Poco distanti c’erano i due fratelli, arrivati da Civitavecchia.

I canti erano tutti di gioia cristiana, scelti tra quelli dei due Complessi Gen Verde/Rosso. Terminato il Sacro Rito uscii subito per preparare il pranzo, mentre con calma,  pregando e cantando, tutta la gente accompagnava la Salma al cimitero.

In seguito ho visitato occasionalmente il posto dove le spoglie di Renata riposano, tra tanti fiori sempre freschi. Accanto si legge il programma di vita terrena che Renata ha realizzato in pieno: "Maria … conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore".

 

Nonostante sia passato tanto tempo, non posso dimenticare Loppiano, dove ho trascorso tre anni nella comunità dei religiosi con Padre Bonaventura. Molte volte, finite le pulizie della casa, sentivo il bisogno di andare nel vicino boschetto e di sedere su una pietra, sempre pronta, per respirare a pieni polmoni e godere il canto degli uccelli che svolazzavano tra i rami … Era la "siesta" preferita. L’Africa era tanto distante e nemmeno la sognavo.

Ora ho una voglia matta di sentirmi "vivo" per prepararmi all’INCONTRO FINALE. Sono convinto che il Suo Sguardo – come un lazer penetrante - ci attirerà a Sé definitivamente.

Che fare? Sento il bisogno - e mi fa tanto bene – di ripensare a Loppiano, quando lo slogan era: "Attenzione al fratello che ti sta vicino o che, per caso, ti passa accanto". E’ l’originale e il perenne annunzio di Gesù, l’Uomo/Dio, che ha dato questa "regola di vita" ai suoi seguaci.

Tu che leggi, ti prego, mettiamoci d’accordo: io per te e tu per me. Ricordiamoci al Buon Dio, che fa sempre le cose per bene! Grazie! 

 

Conclusione

IERI, trent’anni fa, a Berberati in Centrafrica avevo scritto un fascicolo intitolato BUCO NERO, dedicato al demonio che scimmiotta Dio col suo fare sornione e tenebroso.

OGGI, in data 30 luglio 2019, ANSA ha pubblicato questa notizia: "Il grande fisico Albert Einstein ha superato un altro esame sulla sua Teoria della Relatività su una stella che ruota intorno all’enorme Buco Nero, che si trova al centro della Via Lattea. Il Buco Nero si chiama , mentre la Stella si chiama, e si trova a circa 26.000 anni luce dalla Terra."

Gli astrologi affermano che il Buco Nero ha una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole. Sempre gli astrologi affermano che i Buchi Neri sono un banco di prova per testare il comportamento della gravità, che secondo l’insegnamento di Albert Einstein si deve alle convergenze nel tempo e nello spazio sul movimento delle masse. Questi Buchi Neri sono giganteschi aspirapolvere cosmici, con un’attrazione gravitazionale talmente elevata che nulla riesce a sfuggire al loro abbraccio, neanche la luce.

 

GESU’ presentando il suo "Messaggio Evangelico" usava parabole semplici, come il lievito, il seme di senapa, il chicco di grano … usando il <microscopio>. Oggi, il macroscopio dell’astrologia con le galassie piene di stelle e di pianeti, sarebbe molto più comprensibile per presentare il Regno di Dio! Personalmente, l’equivoco nome di BUCO NERO lo trasformerei in ESPLOSIONE DI LUCE, tanto più che al dire di Einstein questo Buco Nero da aspirapolvere attira anche la Luce!

Allora sì che l’oscuro personaggio è assolutamente annientato, per mettere in evidenza il CROCIFISSO, MORTO E RISORTO, garanzia di VITA ETERNA!

Allora sì che la nostra Renata Borlone in punto di morte aveva ragione ad affermare : "La morte è Vita. Non sento la morte, sento la Vita! Questo voglio testimoniare, che la morte è Vita".



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco