Mercoledì 25 Dicembre 2024

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Nazarena, l'ultima reclusa

Dal blog di Fabio Ciardi

 

L'ultima finestra a destra è quella della cella di sr. Nazarena
Il roseto e il Circo Massimo dalla finestra di sr. Nazarena
 
 
Dalla finestra di sr. Nazarena lo sguardo spazia sugli antichi ruderi del palazzo imperiale, la basilica di san Gregorio al Celio e quella di sant’Anastasia ai piedi del Palatino. In primo pieno il roseto di Roma e più sotto il Circo Massimo. Prima di scendere in mezzo ai giovani che attendono l’incontro con Papa Francesco, li abbraccio dall’alto, radunati nel Circo, con lo sguardo di sr. Nazarena che da quella finestra poteva contemplare tanta bellezza.
Tutto il mondo era in quella finestra e solo in quella. 
 
 
Quanto originale la storia di sr. Nazarena, l’ultima reclusa. Morta nel 1990 ha vissuto segregata nella cella per 45 anni, in completa solitudine.
Nata negli Stati Uniti, nel Connecticut, nel 1907, Julia Crotta ha avuto una vita da romanzo: studia musica, suona, compone, fino a diventare un’eccellente musicista; gioca nella squadra di pallacanestro favorita anche dall’altezza notevole; si laura in letteratura, scrive racconti… Custodisce un segreto, nella notte del venerdì santo del 1934, sente una “voce” che la chiama per nome: “Giulia!”, poi ancora “Giulia!”, fino a quando le appare Gesù che le dice: “Vieni con Me nel deserto. Sono troppo solo – vieni con Me! Non ti lascerò mai!”. Prova a confidarsi con qualche sacerdote ma nessuno le crede, la prendono per una esaltata.
 

 

L'abito di sr. Nazarena
La cella di sr. Nazarena
 
 
 
Comincia un cammino che, attraverso mille esperienze, nel 1937 la porta finalmente a Roma. Ma anche a Roma il suo cammino è irto di difficoltà, tra la mendicità e un impiego prestigioso presso l’Agenzia finanziaria alleata (gli Americani sono da poco entrati in Roma). Infine l’udienza con Pio XII al quale presenta il progetto di vita che vuole abbracciare. “Non le pare un po’ rigido?”, osserva il Papa (intanto Julia, rendendosi conto che è più alta del papa si è subito gettata in ginocchio!). “Non lo è tanto quanto io l’avrei voluto!” esclama Giulia, Allora i Santo Padre, con un sorriso: “Se lo vuole così, lo prenda pure così”.
 
 
Giulia entra nel monastero delle Camaldolesi all’Aventino, l’unica istituzione che le consente si chiudersi nella reclusione di una cella per tutta la vita, e prende il nome di Nazarena.
Visito la sua cella, con una cassapanca per letto, senza un tavolo, senza una sedia: solo uno sgabello. La sedia di vimini che adesso è lì, le fu portata soltanto poco prima che morisse. L’abito, ancora appeso nell’armadio, è di sacco. In un cassetto gli strumenti di penitenza. Una finestrina si apre sulla chiesa e una porticina dà su un terrazzino stretto stretto. Lavoro, fino a dodici ore al giorno, di intreccio delle palme, a pane e acqua… Una vita impossibile. È l’ultima reclusa.
45 anni! Ho letto la sua biografia, con le lettere che scriveva al confessore, alla badessa… Vita esteriore ridotta a zero, vita interiore tutta un mistero d’amore di Dio e di vita per la Chiesa, l’umanità: “Più mi ritiro in Dio, nel silenzio più profondo in Lui e con Lui, più mi sento… vicina a tutti; più trovo tutti; più desidero di fare i miei piccoli sforzi per aiutare tutti secondo la mia vocazione, senza che si veda qualsiasi frutto… Anche se quel dare tutto non è che un centesimo,,, Dio lo ricambia col suo tutto”.
Una vita impossibile, inimitabile. Eppure una risposta a una chiamata: “Vieni con Me nel deserto”. Una vita resa possibile per un dono carismatico: “Lo Spirito Santo è il Superiore della reclusione, e la Madonna ne è la Madre Superiora e Maestra… essere ben docile ed obbediente a Essi”.
 

 

La porta esterna della cella
 
 
 
Nel Circo Massimo Papa Francesco, rivolgendosi a 70.000 giovani, sta dicendo loro: «Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte». Sr. Nazarena nella sua cella sembra aver fugato tutto, a cominciare dalla famiglia, che non ha più rivisto da quanto partì dagli Stati Uniti nel 1937. Eppure di immola per redimere i luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte.
Nel Circo Massimo Papa Francesco spiega ai giovani: «Sì, il segreto è tutto lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Sono amato. Sono amata. Sentire la tenerezza di Gesù che mi ama».
Nella sua cella sr. Nazarena ha sperimentato questo amore.
 
 
 
 


 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 18 Dicembre 2024

Ciclo – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 1. Genealogia di Gesù (Mt 1,1-17). L’ingresso del Figlio di Dio nella storia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi iniziamo il ciclo di catechesi che si svolgerà lungo tutto l’Anno giubilare. Il tema è “Gesù Cristo nostra speranza”: è Lui, infatti, la meta del nostro pellegrinaggio, e Lui stesso è la via, il cammino da percorrere.

La prima parte tratterà l’infanzia di Gesù, che ci viene narrata dagli Evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 1–2; Lc 1–2). I Vangeli dell’infanzia raccontano il concepimento verginale di Gesù e la sua nascita dal grembo di Maria; richiamano le profezie messianiche che in Lui si compiono e parlano della paternità legale di Giuseppe, che innesta il Figlio di Dio sul “tronco” della dinastia davidica. Ci è presentato Gesù neonato, bambino e adolescente, sottomesso ai suoi genitori e, nello stesso tempo, consapevole di essere tutto dedito al Padre e al suo Regno. La differenza tra i due Evangelisti è che mentre Luca racconta gli eventi con gli occhi di Maria, Matteo lo fa con quelli di Giuseppe, insistendo su una paternità così inedita.

Matteo apre il suo Vangelo e l’intero canone neotestamentario con la «genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). Si tratta di una lista di nomi già presente nelle Scritture ebraiche, per mostrare la verità della storia e la verità della vita umana. In effetti, «la genealogia del Signore è costituita dalla storia vera, dove sono presenti alcuni nomi a dir poco problematici e si sottolinea il peccato del re Davide (cfr Mt 1,6). Tutto, comunque, finisce e fiorisce in Maria e in Cristo (cfr Mt 1,16)» (Lettera sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa, 21 novembre 2024). Appare poi la verità della vita umana che passa da una generazione all’altra consegnando tre cose: un nome che racchiude un’identità e una missione uniche; l’appartenenza a una famiglia e a un popolo; e infine l’adesione di fede al Dio d’Israele.

La genealogia è un genere letterario, cioè una forma adatta a veicolare un messaggio molto importante: nessuno si dà la vita da sé stesso, ma la riceve in dono da altri; in questo caso, si tratta del popolo eletto e chi eredita il deposito della fede dei padri, nel trasmettere la vita ai figli, consegna loro anche la fede in Dio.

Diversamente però dalle genealogie dell’Antico Testamento, dove appaiono solo nomi maschili, perché in Israele è il padre a imporre il nome al figlio, nella lista di Matteo tra gli antenati di Gesù compaiono anche le donne. Ne troviamo cinque: Tamar, la nuora di Giuda che, rimasta vedova, si finge prostituta per assicurare una discendenza a suo marito (cfr Gen 38); Racab, la prostituta di Gerico che permette agli esploratori ebrei di entrare nella terra promessa e conquistarla (cfr Gs 2); Rut, la moabita che, nel libro omonimo, resta fedele alla suocera, se ne prende cura e diventerà la bisnonna del re Davide; Betsabea, con cui Davide commette adulterio e, dopo aver fatto uccidere il marito, genera Salomone (cfr 2Sam 11); e infine Maria di Nazaret, sposa di Giuseppe, della casa di Davide: da lei nasce il Messia, Gesù.

Le prime quattro donne sono accomunate non dal fatto di essere peccatrici, come a volte si dice, ma di essere straniere rispetto al popolo d’Israele. Ciò che Matteo fa emergere è che, come ha scritto Benedetto XVI, «per il loro tramite entra … nella genealogia di Gesù il mondo delle genti – si rende visibile la sua missione verso ebrei e pagani» (L’infanzia di Gesù, Milano-Città del Vaticano 2012, 15).

Mentre le quattro donne precedenti sono menzionate accanto all’uomo che è nato da loro o a colui che l’ha generato, Maria, invece, acquista particolare risalto: segna un nuovo inizio, è lei stessa un nuovo inizio, perché nella sua vicenda non è più la creatura umana protagonista della generazione, ma Dio stesso. Lo si vede bene dal verbo «è nato»: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Gesù è figlio di Davide, innestato da Giuseppe in quella dinastia e destinato ad essere il Messia d’Israele, ma è anche figlio di Abramo e di donne straniere, destinato quindi ad essere la «Luce delle genti» (cfr Lc 2,32) e il «Salvatore del mondo» (Gv 4,42).

Il Figlio di Dio, consacrato al Padre con la missione di rivelare il suo volto (cfr Gv 1,18; Gv 14,9), entra nel mondo come tutti i figli dell’uomo, tanto che a Nazaret sarà chiamato «figlio di Giuseppe» (Gv 6,42) o «figlio del falegname» (Mt 13,55). Vero Dio e vero uomo.

Fratelli e sorelle, risvegliamo in noi la memoria grata nei confronti dei nostri antenati. E soprattutto rendiamo grazie a Dio, che, mediante la madre Chiesa, ci ha generati alla vita eterna, la vita di Gesù, nostra speranza.

Papa Francesco