A tutto campo


Papa GIOVANNI XXIII a Sotto il Monte

3 Giugno 2018

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INTERVISTA ESCLUSIVA CON LA NIPOTE DIRETTA DI PAPA GIOVANNI XXIII

 

ENRICA RONCALLI NIPOTE DIRETTA DI PAPA GIOVANNI XXIIIPapa Giovanni XXIII era suo zio. Era il fratello di mamma o papà?


Enrica: Era il fratello di mio papà. Il mio nome è Enrica Roncalli come il papa Roncalli.

 

Quanti anni ha ora?
Enrica: Adesso ho 82 anni.

 

Si dice che papa Giovanni era molto amante della sua famiglia e specialmente di sua madre, cioè sua nonna. Che cosa ci può dire dei suoi nonni?


Enrica: I nonni Battista e Marianna erano molto bravi. Ogni mattina andavano a Messa. Appena il nonno Battista e la nonna Marianna si alzavano recitavano le loro preghiere, l'Angelus Domini. Entrambi andavano a Messa ogni mattina alle 5,00. Quando il mio zio ancora vescovo veniva in vacanza qui a Sotto il monte sua mamma, mia nonna, andava alla casa dove stava per trovarlo e mentre si faceva la barba gli parlava prima di dire la messa.

 

Si ricorda qualche fatto particolare di lui?
Enrica: Mi ricordo di quando ancora vescovo sempre in vacanza qui a Sotto il Monte incontrò il vescovo Montini ( il futuro papa Paolo VI). Montini venne qui a trovarlo. Stette qui all'incirca un quarto d'ora e poi se ne andò. Dopo che se ne fu andato mio zio mi disse queste testuali parole: " Potrebbe benissimo fare il papa". Per me è una delle profezie di papa Giovanni.

 

Quanti anni aveva quando divenne papa?
Quali sono stati i suoi sentimenti riguardo a
questo fatto?
Enrica: Avevo 38 anni quando mio zio divenne papa. Piansi molto perché non ero contenta. Ho visto tutto il mondo addosso a lui e tutte le preoccupazioni del mondo addosso a lui. Per l'incoronazione a Roma mi cercò. Ogni due o tre mesi andavo a trovarlo in Vaticano. Ogni mattina ascoltavo la Messa con lui in Vaticano. Con i parenti parlava sempre in dialetto bergamasco. Io stavo con le suore e mangiavo con loro e poi ne approfittavo per vedere Roma. Stavo lì in Vaticano 4 o 5 giorni. Qualche volta ho mangiato con lui ma raramente. Mi chiedeva sempre notizie di Sotto il Monte. Quando era ancora vescovo e veniva qui a Sotto il Monte faceva passeggiate per il paese. Sapeva il francese e aveva imparato anche un po'di turco perché quando era in Turchia diceva le giaculatorie in turco per farsi comprendere dalla gente. Fu il primo ad indossare gli abiti borghesi quando il governo proibì ai religiosi di indossare gli abiti clericali. Diceva se il governo ha deciso così dobbiamo adeguarci nonostante alcuni frati con lui non lo accettarono molto volentieri.

 

Come si rapportava con Lui?
Enrica: Non l'ho mai chiamato zio ma monsignore e quando divenne papa lo chiamavo santità. Avevo molto rispetto per lui perché quando fu fatto vescovo nel 1925 avevo solo 5 anni e l'ho sempre visto così, con una certa aura mistica.

 

L'ha visitato in Vaticano?
Fu impressionata dall'ambiente?
L'aveva visitato prima a Venezia? A Parigi?


Enrica: Come ho già detto prima lo visitavo in Vaticano ma non fui impressionata dall'ambiente perché me l'ero immaginato così grande. Prima però l'avevo visitato a Parigi e vi rimasi per tre mesi e poi a Venezia. Ero lì quando partì per il conclave. Lui è partito con un treno per Roma ed io con un treno per Bergamo. Ci siamo lasciati con la speranza di rivederci poi alla fine del conclave lì a Venezia. Tutte le personalità erano venute a trovarlo prima di partire per Roma. Tutti gli davano la mano. Allora corsì anch'io per salutarlo di nuovo al finestrino del treno e gli diedi l'ultimo saluto da vescovo di Venezia. Poi come sa fu eletto papa.

 

Quali furono i sentimenti degli abitanti di Sotto il Monte quando fu eletto papa, quando seppero che fu eletto papa?
Enrica: C'è stata una festa gigantesca. Tutta la gente era per strada quando è stato eletto. C'è stata un'invasione di giornalisti e la gente era molto contenta. Io non avevo la televisione per cui andammo al bar del paese per vederlo. Era proprio lui. Papa.

 

Se dovesse scegliere un aggettivo per descrivere suo zio quale userebbe? Perché?
Enrica: Santo. Non è diventato santo perché divenne papa. Lo era già. Ogni tanto lo osservavo quando pregava e mi sembrava in estasi. Aveva un gran rispetto per la liturgia. Io gli dicevo come facesse a pregare così devotamente perché a me quando pregavo mi venivano in mente tante altre cose che non c'entravano niente con la preghiere.

 

Pensa che fu compreso dai suoi colleghi quando propose il Concilio?
Enrica: No, al primo momento no. Quando chiese ad un cardinale di cui non ricordo il nome il suo parere perché voleva fare il Concilio gli fu risposto che non si sarebbe dovuto fare. Anche se poi il giorno dopo quel Cardinale gli chiese scusa per aver espresso arditamente il suo parere contrario.

 

Qualcosa sul Concilio?
Enrica: Ha sempre seguito il concilio anche quando non partecipava alle sessioni ed era nel suo studio. Lo seguiva con la preghiera.

 

E' andata in Vaticano per la beatificazione? Cosa ha provato?
Enrica: Sì sono stata in Vaticano ma non ci sono parole per esprimere la gioia che ho provato. E' stata un'esperienza bellissima, emozionante. Ho pianto per la gioia. 

 

INTERVISTA CON ENRICA RONCALLI NIPOTE DIRETTA DI PAPA GIOVANNI XXIII Cosa prova quando sente che così tante persone attorno al mondo lo ammirano e lo amano così tanto pur senza averlo conosciuto?
Enrica: Sono contentissima, perché anche mia cugina suora Anna che è missionaria in Etiopia mi ha detto che anche in Africa c'è una forte devozione a Papa Giovanni e ci sono sue immagini esposte nelle case o capanne.

 

Quale messaggio darebbe a tutte queste persone?
Enrica: Di imitarlo. Imitare la sua bontà, la sua umiltà e il suo spirito di preghiera che mi ha sempre colpito molto.

 

Che carattere aveva Papa Giovanni?
Enrica: Nella sua semplicità e umiltà aveva un carattere forte. Quello che voleva lo faceva e lo otteneva. Comunque sempre nella preghiera.

 



 

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Udienza Generale - Piazza San Pietro Mercoledì, 10 Settembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 6. La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e grazie per la vostra presenza, una bella testimonianza!

Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce. I Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna.

Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia (cfr Mc 15,33.38). È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore.

Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità.

Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza.

Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto.

Gridare diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.

Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema. Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto.

LEONE XIV