Domenica 7 Dicembre 2025


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Letture e meditazioni


L´ultima lettera del papa: un appello al coinvolgimento ecclesiale

Breve commento alla lettera di Papa Francesco sulla pedofilia.

 

Papa Francesco affacciato a Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana per la benedizione

 

Papa Francesco affacciato a Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana per la benedizione "Urbi et Orbi" (Foto Vaticanmedia)

 

3 Settembre 2018

 

Una lettera forte, senza eufemismi, che dice pane al pane chiamando le cose per nome. Papa Francesco non nasconde i casi di pedofilia, dando un volto all’accorato grido, espressamente citato nella lettera, che il cardinal Ratzinger lanciò in mondovisione durante la via Crucis al Colosseo nel 2005: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!».

 

Il papa non può più tacere. È dovere di tutta la Chiesa «riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili».

 

Nel corpo della lettera confessa apertamente le colpe commesse: «Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli». Soltanto riconoscendo gli errori, i delitti e le ferite del passato si può sperare di aprirsi e impegnarsi di più «in un cammino di rinnovata conversione».

 

Fin qui niente di nuovo. È ormai da tempo che papa Francesco si batte per la verità e per i cambiamenti di metodi, anche se questa volta lo fa in maniera tanto aperta e organica. Nuovo è forse il coinvolgimento ecclesiale nel prendere coscienza del fenomeno e delle soluzioni da affrontare per debellarlo. La pedofilia non è un problema che riguarda esclusivamente chi la pratica o chi ne è vittima; esso riguarda tutti perché «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26). La frase dell’apostolo Paolo scandisce il documento e ne diventa la chiave di lettura.

 

Papa Francesco non punta il dito accusatore verso nessuno. Invita piuttosto ognuno a «farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria». Invoca solidarietà verso le vittime, che si esprime nel «denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona» e nel lottare contro ogni tipo di corruzione. Nessuno può nascondersi dietro le parole di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). «È necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno». Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore.

 

Il papa immagina «una conversione dell’agire ecclesiale» nel quale siano coinvolte tutte le componenti del Popolo di Dio. Denuncia quindi la riduzione del popolo di Dio a piccole élites, la costruzione di «programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita».

 

È il clericalismo sempre in agguato, una stortura che non riguarda soltanto i “chierici”, ma gli stessi laici, che delegano le cose di Dio agli “addetto ai lavori”, senza sentirsi coinvolti in prima persona: soltanto la «consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro».

 

Questa lettera è degna di stare accanto al documento sulla Sinodalità pubblicato il 2 marzo di quest’anno dalla Commissione teologica internazionale, che si concludeva proprio con una citazione di papa Francesco: «Camminare insieme è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito».

 

In una visione “clericale” la Sinodalità farebbe pensare ai vescovi, che devono “camminare insieme”. Papa Francesco sfata definitivamente questa percezione riduttiva della Chiesa e coinvolge ogni suo membro in maniera responsabile e attiva.

 

 Fabio Ciardi

 

 

Esortazione apostolica «Gaudete et exsultate» sulla santità oggi

 

Viene presentata lunedì 9 aprile la nuova esortazione apostolica di papa Francesco «sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo». La Sala Stampa vaticana ha reso noto oggi che il documento si intitolerà Gaudete et exsultate («Gioite ed esultate»). È la terza esortazione apostolica firmata da papa Bergoglio dopo Amoris laetitia (clicca qui) sull’amore nella famiglia datata 19 marzo 2016 e dopo Evangelii gaudium (e qui) sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale del 24 novembre 2013. A questi documenti si aggiungono le due encicliche Laudato si’ (leggi qui) del 24 maggio 2015 e Lumen fidei (e qui) del 29 giugno 2013.

 

La nuova esortazione apostolica verrà illustrata alla stampa lunedì alle 12.15 dall’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, dal giornalista Gianni Valente e da Paola Bignardi, esponente dell’Azione cattolica.



Già lo scorso febbraio, a margine della presentazione del libro di Fabio Marchese Ragona Tutti gli uomini di Francesco, aveva fatto cenno al nuovo documento il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del C9, il consiglio dei nove cardinali che collaborano con il Papa per la riforma della Curia Romano e il governo della Chiesa. «Ho sentito appena appena una voce lontana – aveva detto il porporato – che dice che il Papa sta preparando un bel documento sulla santità. Siamo tutti chiamati alla santità, se non ascoltiamo questa chiamata la riforma non va». 



Fin dai primi passi dopo l’elezione al soglio pontificio nel 2013 – sottolinea il sito vaticannews – Francesco si è soffermato sulla santità nella Chiesa e in più occasioni ha tracciato non solo un profilo di ciò che contraddistingue l’essere santi – la gioia, l’umiltà, il servizio e non di rado il nascosto –, ma ha anche indicato che cosa un santo non è: un superbo, un vanitoso, un «cristiano di apparenza», un «supereroe».

 

Il 2 ottobre 2013, in una delle udienze generali del suo primo anno di pontificato, sottolineava che la Chiesa «a tutti offre la possibilità di percorrere la strada della santità, che è la strada del cristiano» verso l’incontro con Gesù. La Chiesa, osservava, «non rifiuta i peccatori», li accoglie e invita loro a lasciarsi «contagiare dalla santità di Dio». Nella prima solennità di Tutti i Santi da Papa, il 1 novembre 2013, Francesco aveva aggiunto che i santi «non sono superuomini, né sono nati perfetti», ma «sono come noi, come ognuno di noi», che hanno vissuto «una vita normale» ma hanno «conosciuto l’amore di Dio» e lo hanno «seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie». La gioia è il tratto distintivo dei santi, in contrapposizione a quella «faccia da funerale» che hanno alcuni cristiani che non vivono bene la loro fede. 



Altro tema che sta particolarmente a cuore a Bergoglio è «l’universale vocazione alla santità». A questo argomento ha dedicato l’udienza generale del 19 novembre 2014. «Tutti i cristiani, in quanto battezzati – sottolineava – hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione che è quella alla santità». Questa, affermava il Papa, «è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano». Del resto questo tema è contenuto nel capitolo V della Costituzione conciliare Lumen gentium da cui Francesco ha già più volte tratto spunto per le sue catechesi e anche per il suo magistero sul «popolo santo e fedele di Dio» così centrale nei suoi interventi



Il Pontefice ha messo anche in guardia da un’idea dei santi con «la faccia da immaginetta». «Ogni stato di vita – ha evidenziato – porta alla santità, sempre!». Nella Messa mattutina a Casa Santa Marta del 19 gennaio 2016 puntualizzava che «non c’è alcun santo senza passato, neppure alcun peccatore senza futuro». E nell’udienza generale del 21 giugno 2017 affermava che i santi sono anche «testimoni e compagni di speranza». Inoltre il Papa ha parlato di santità anche attraverso le reti sociali. Lo ha fatto su Twitter il 1° novembre dell’anno scorso quando ha sottolineato che «il mondo ha bisogno di santi e tutti noi, senza eccezioni, siamo chiamati alla santità».

 



 

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CATECHESI DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Catechesi. 10. Sperare è partecipare – Alberto Marvelli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Siamo da poco entrati nel periodo liturgico dell’Avvento, che ci educa all’attenzione ai segni dei tempi. Noi infatti ricordiamo la prima venuta di Gesù, il Dio con noi, per imparare a riconoscerlo ogni volta che viene e per prepararci a quando tornerà. Allora saremo per sempre insieme. Insieme con Lui, con tutti i nostri fratelli sorelle, con ogni altra creatura, in questo mondo finalmente redento: la nuova creazione.

Questa attesa non è passiva. Infatti, il Natale di Gesù ci rivela un Dio coinvolgente: Maria, Giuseppe, i pastori, Simeone, Anna, e più avanti Giovanni Battista, i discepoli e tutti coloro che incontrano il Signore sono coinvolti, sono chiamati a partecipare. È un onore grande, e che vertigine! Dio ci coinvolge nella sua storia, nei suoi sogni. Sperare, allora, è partecipare. Il motto del Giubileo, “Pellegrini di speranza”, non è uno slogan che tra un mese passerà! È un programma di vita: “pellegrini di speranza” vuol dire gente che cammina e che attende, non però con le mani in mano, ma partecipando.

Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi: ci dice che nessuno riesce a farlo da solo, ma insieme, nella Chiesa e con tanti fratelli e sorelle, si leggono i segni dei tempi. Sono segni di Dio, di Dio che viene col suo Regno, attraverso le circostanze storiche. Dio non è fuori dal mondo, fuori da questa vita: abbiamo imparato nella prima venuta di Gesù, Dio-con-noi, a cercarlo fra le realtà della vita. Cercarlo con intelligenza, cuore e maniche rimboccate! E il Concilio ha detto che questa missione è in modo particolare dei fedeli laici, uomini e donne, perché il Dio che si è incarnato ci viene incontro nelle situazioni di ogni giorno. Nei problemi e nelle bellezze del mondo, Gesù ci aspetta e ci coinvolge, ci chiede che operiamo con Lui. Ecco perché sperare è partecipare!

Oggi vorrei ricordare un nome: quello di Alberto Marvelli, giovane italiano vissuto nella prima metà del secolo scorso. Educato in famiglia secondo il Vangelo, formatosi nell’Azione Cattolica, si laurea in ingegneria e si affaccia alla vita sociale al tempo della seconda guerra mondiale, che lui condanna fermamente. A Rimini e dintorni si impegna con tutte le forze a soccorrere i feriti, i malati, gli sfollati. Tanti lo ammirano per questa sua dedizione disinteressata e, dopo la guerra, viene eletto assessore e incaricato della commissione per gli alloggi e per la ricostruzione. Così entra nella vita politica attiva, ma proprio mentre si reca in bicicletta a un comizio viene investito da un camion militare. Aveva 28 anni. Alberto ci mostra che sperare è partecipare, che servire il Regno di Dio dà gioia anche in mezzo a grandi rischi. Il mondo diventa migliore, se noi perdiamo un po’ di sicurezza e di tranquillità per scegliere il bene. Questo è partecipare.

Chiediamoci: sto partecipando a qualche iniziativa buona, che impegna i miei talenti? Ho l’orizzonte e il respiro del Regno di Dio, quando faccio qualche servizio? Oppure lo faccio brontolando, lamentandomi che tutto va male? Il sorriso sulle labbra è il segno della grazia in noi.

Sperare è partecipare: questo è un dono che Dio ci fa. Nessuno salva il mondo da solo. E neanche Dio vuole salvarlo da solo: Lui potrebbe, ma non vuole, perché insieme è meglio. Partecipare ci fa esprimere e rende più nostro ciò che alla fine contempleremo per sempre, quando Gesù definitivamente tornerà.