Mercoledì 7 Giugno 2023
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Letture e meditazioni


L´ultima lettera del papa: un appello al coinvolgimento ecclesiale

Breve commento alla lettera di Papa Francesco sulla pedofilia.

 

Papa Francesco affacciato a Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana per la benedizione

 

Papa Francesco affacciato a Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana per la benedizione "Urbi et Orbi" (Foto Vaticanmedia)

 

3 Settembre 2018

 

Una lettera forte, senza eufemismi, che dice pane al pane chiamando le cose per nome. Papa Francesco non nasconde i casi di pedofilia, dando un volto all’accorato grido, espressamente citato nella lettera, che il cardinal Ratzinger lanciò in mondovisione durante la via Crucis al Colosseo nel 2005: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!».

 

Il papa non può più tacere. È dovere di tutta la Chiesa «riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili».

 

Nel corpo della lettera confessa apertamente le colpe commesse: «Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli». Soltanto riconoscendo gli errori, i delitti e le ferite del passato si può sperare di aprirsi e impegnarsi di più «in un cammino di rinnovata conversione».

 

Fin qui niente di nuovo. È ormai da tempo che papa Francesco si batte per la verità e per i cambiamenti di metodi, anche se questa volta lo fa in maniera tanto aperta e organica. Nuovo è forse il coinvolgimento ecclesiale nel prendere coscienza del fenomeno e delle soluzioni da affrontare per debellarlo. La pedofilia non è un problema che riguarda esclusivamente chi la pratica o chi ne è vittima; esso riguarda tutti perché «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26). La frase dell’apostolo Paolo scandisce il documento e ne diventa la chiave di lettura.

 

Papa Francesco non punta il dito accusatore verso nessuno. Invita piuttosto ognuno a «farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria». Invoca solidarietà verso le vittime, che si esprime nel «denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona» e nel lottare contro ogni tipo di corruzione. Nessuno può nascondersi dietro le parole di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). «È necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno». Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore.

 

Il papa immagina «una conversione dell’agire ecclesiale» nel quale siano coinvolte tutte le componenti del Popolo di Dio. Denuncia quindi la riduzione del popolo di Dio a piccole élites, la costruzione di «programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita».

 

È il clericalismo sempre in agguato, una stortura che non riguarda soltanto i “chierici”, ma gli stessi laici, che delegano le cose di Dio agli “addetto ai lavori”, senza sentirsi coinvolti in prima persona: soltanto la «consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro».

 

Questa lettera è degna di stare accanto al documento sulla Sinodalità pubblicato il 2 marzo di quest’anno dalla Commissione teologica internazionale, che si concludeva proprio con una citazione di papa Francesco: «Camminare insieme è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito».

 

In una visione “clericale” la Sinodalità farebbe pensare ai vescovi, che devono “camminare insieme”. Papa Francesco sfata definitivamente questa percezione riduttiva della Chiesa e coinvolge ogni suo membro in maniera responsabile e attiva.

 

 Fabio Ciardi

 

 

Esortazione apostolica «Gaudete et exsultate» sulla santità oggi

 

Viene presentata lunedì 9 aprile la nuova esortazione apostolica di papa Francesco «sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo». La Sala Stampa vaticana ha reso noto oggi che il documento si intitolerà Gaudete et exsultate («Gioite ed esultate»). È la terza esortazione apostolica firmata da papa Bergoglio dopo Amoris laetitia (clicca qui) sull’amore nella famiglia datata 19 marzo 2016 e dopo Evangelii gaudium (e qui) sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale del 24 novembre 2013. A questi documenti si aggiungono le due encicliche Laudato si’ (leggi qui) del 24 maggio 2015 e Lumen fidei (e qui) del 29 giugno 2013.

 

La nuova esortazione apostolica verrà illustrata alla stampa lunedì alle 12.15 dall’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, dal giornalista Gianni Valente e da Paola Bignardi, esponente dell’Azione cattolica.



Già lo scorso febbraio, a margine della presentazione del libro di Fabio Marchese Ragona Tutti gli uomini di Francesco, aveva fatto cenno al nuovo documento il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del C9, il consiglio dei nove cardinali che collaborano con il Papa per la riforma della Curia Romano e il governo della Chiesa. «Ho sentito appena appena una voce lontana – aveva detto il porporato – che dice che il Papa sta preparando un bel documento sulla santità. Siamo tutti chiamati alla santità, se non ascoltiamo questa chiamata la riforma non va». 



Fin dai primi passi dopo l’elezione al soglio pontificio nel 2013 – sottolinea il sito vaticannews – Francesco si è soffermato sulla santità nella Chiesa e in più occasioni ha tracciato non solo un profilo di ciò che contraddistingue l’essere santi – la gioia, l’umiltà, il servizio e non di rado il nascosto –, ma ha anche indicato che cosa un santo non è: un superbo, un vanitoso, un «cristiano di apparenza», un «supereroe».

 

Il 2 ottobre 2013, in una delle udienze generali del suo primo anno di pontificato, sottolineava che la Chiesa «a tutti offre la possibilità di percorrere la strada della santità, che è la strada del cristiano» verso l’incontro con Gesù. La Chiesa, osservava, «non rifiuta i peccatori», li accoglie e invita loro a lasciarsi «contagiare dalla santità di Dio». Nella prima solennità di Tutti i Santi da Papa, il 1 novembre 2013, Francesco aveva aggiunto che i santi «non sono superuomini, né sono nati perfetti», ma «sono come noi, come ognuno di noi», che hanno vissuto «una vita normale» ma hanno «conosciuto l’amore di Dio» e lo hanno «seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie». La gioia è il tratto distintivo dei santi, in contrapposizione a quella «faccia da funerale» che hanno alcuni cristiani che non vivono bene la loro fede. 



Altro tema che sta particolarmente a cuore a Bergoglio è «l’universale vocazione alla santità». A questo argomento ha dedicato l’udienza generale del 19 novembre 2014. «Tutti i cristiani, in quanto battezzati – sottolineava – hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione che è quella alla santità». Questa, affermava il Papa, «è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano». Del resto questo tema è contenuto nel capitolo V della Costituzione conciliare Lumen gentium da cui Francesco ha già più volte tratto spunto per le sue catechesi e anche per il suo magistero sul «popolo santo e fedele di Dio» così centrale nei suoi interventi



Il Pontefice ha messo anche in guardia da un’idea dei santi con «la faccia da immaginetta». «Ogni stato di vita – ha evidenziato – porta alla santità, sempre!». Nella Messa mattutina a Casa Santa Marta del 19 gennaio 2016 puntualizzava che «non c’è alcun santo senza passato, neppure alcun peccatore senza futuro». E nell’udienza generale del 21 giugno 2017 affermava che i santi sono anche «testimoni e compagni di speranza». Inoltre il Papa ha parlato di santità anche attraverso le reti sociali. Lo ha fatto su Twitter il 1° novembre dell’anno scorso quando ha sottolineato che «il mondo ha bisogno di santi e tutti noi, senza eccezioni, siamo chiamati alla santità».

 



 

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Messaggio Cristiano
Angelus, 4 Giugno

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, Solennità della Santissima Trinità, il Vangelo è tratto dal dialogo di Gesù con Nicodemo (cfr Gv 3,16-18). Nicodemo era un membro del Sinedrio, appassionato del mistero di Dio: riconosce in Gesù un maestro divino e di nascosto, di notte, va a parlare con Lui. Gesù lo ascolta, capisce che è un uomo in ricerca e allora prima lo stupisce, rispondendogli che per entrare nel Regno di Dio bisogna rinascere; poi gli svela il cuore del mistero dicendo che Dio ha amato così tanto l’umanità da mandare il suo Figlio nel mondo. Gesù, dunque, il Figlio, ci parla del Padre e del suo amore immenso.

Padre e Figlio. È un’immagine familiare che, se ci pensiamo, scardina il nostro immaginario su Dio. La parola stessa “Dio”, infatti, ci suggerisce una realtà singolare, maestosa e distante, mentre sentir parlare di un Padre e di un Figlio ci riporta a casa. Sì, possiamo pensare Dio così, attraverso l’immagine di una famiglia riunita a tavola, dove si condivide la vita. Del resto, quella della mensa, che allo stesso tempo è un altare, è un simbolo con cui certe icone raffigurano la Trinità. È un’immagine che ci parla di un Dio comunione. Padre, Figlio e Spirito Santo: comunione.

Ma non è solo un’immagine, è realtà! È realtà perché lo Spirito Santo, lo Spirito che il Padre mediante Gesù ha effuso nei nostri cuori (cfr Gal 4,6), ci fa gustare, ci fa assaporare la presenza di Dio: presenza sempre vicina, compassionevole e tenera. Lo Spirito Santo fa con noi come Gesù con Nicodemo: ci introduce nel mistero della nuova nascita – la nascita della fede, della vita cristiana –, ci svela il cuore del Padre e ci rende partecipi della vita stessa di Dio.

L’invito che ci rivolge, potremmo dire, è quello di stare a tavola con Dio per condividere il suo amore. Questa è l’immagine. Questo è ciò che succede in ogni Messa, all’altare della mensa eucaristica, dove Gesù si offre al Padre e si offre per noi. E sì, è così, fratelli e sorelle, il nostro Dio è comunione d’amore: così ce lo ha rivelato Gesù. E sapete come possiamo fare a ricordarlo? Con il gesto più semplice, che abbiamo imparato da bambini: il segno della croce. Tracciando la croce sul nostro corpo ci ricordiamo quanto Dio ci ha amato, fino a dare la vita per noi; e ripetiamo a noi stessi che il suo amore ci avvolge completamente, dall’alto in basso, da sinistra a destra, come un abbraccio che non ci abbandona mai. E al tempo stesso ci impegniamo a testimoniare Dio-amore, creando comunione nel suo nome. Forse adesso, ognuno di noi, e tutti insieme, facciamo il segno della croce su di noi [fa il segno della croce].

Oggi allora possiamo chiederci: noi testimoniamo Dio-amore? Oppure Dio-amore è diventato a sua volta un concetto, qualcosa di già sentito, che non smuove e non provoca più la vita? Se Dio è amore, le nostre comunità lo testimoniano? Sanno amare? Le nostre comunità sanno amare? E la nostra famiglia, sappiamo amare in famiglia? Teniamo la porta sempre aperta, sappiamo accogliere tutti, sottolineo tutti, come fratelli e sorelle? Offriamo a tutti il cibo del perdono di Dio e la gioia evangelica? Si respira aria di casa o assomigliamo più a un ufficio o a un luogo riservato dove entrano solo gli eletti? Dio è amore, Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo e ha dato la vita per noi, per questo facciamo il segno della croce.

E Maria ci aiuti a vivere la Chiesa come quella casa in cui si ama in modo familiare, a gloria di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Assicuro la mia preghiera per le numerose vittime dell’incidente ferroviario avvenuto due giorni fa in India. Sono vicino ai feriti e ai familiari. Il Padre celeste accolga nel suo regno le anime dei defunti.

Saluto voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi, in particolare i fedeli provenienti da Villa Alemana (Cile) e i ragazzi della Cresima di Cork (Irlanda). Saluto i gruppi di Poggiomarino, Roccapriora, Macerata, Recanati, Aragona e Mestrino; come pure i ragazzi della Cresima e della Prima Comunione di Santa Giustina in Colle.

Un saluto speciale ai rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, che ringrazio per la vicinanza quotidiana alla popolazione; la Virgo Fidelis, vostra Patrona, protegga voi e le vostre famiglie. A Lei, Madre premurosa, affido le popolazioni provate dal flagello della guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina.

Saluto tutti, anche i ragazzi dell’Immacolata che sono bravi, e auguro una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Grazie, buon pranzo e arrivederci!

Papa Francesco


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