A tutto campo


Il Papa all´Istituto Sophia: camminate insieme per una civiltà nuova

Ricevuti in Vaticano i docenti dell’Istituto universitario “Sophia” del movimento dei Focolari a Loppiano. Sapienza, patto, uscita sono i tre criteri da seguire per trovare il volto di Dio nel fratello.

 

Michele Raviart – Città del Vaticano

 

“La vostra università si chiama ‘Sophia’ perché il suo obiettivo è prima di tutto comunicare e imparare la Sapienza”, luce del volto di Dio che illumina il volto dell’uomo, “per impregnarne tutte le scienze”. Papa Francesco saluta così i circa cento rappresentanti dell’Istituto universitario Sophia del movimento dei Focolari a Loppiano e fondato da Chiara Lubich nel 2007, ricevuti oggi in Vaticano.

 

Un cammino lungo dodici anni

Francesco si dice contento del cammino fatto in questi dodici anni dall’istituto, lodandone l’ispirazione del carisma dell’unità e il rispetto delle linee tracciata dalla Costituzione apostolica Veritatis gaudium sulle università e le facoltà ecclesiastiche. In particolare, viene sottolineata la preoccupazione dell’istituto per il Patto educativo globale e i progetti legati all’America Latina, a cui partecipa anche uno degli insegnanti di Papa Bergoglio, padre Juan Carlos Scannone.

 

Una vera cultura dell’incontro

Tre quindi i concetti che il Papa vuole rimarcare alla comunità accademica di Sophia. Della “Sapienza” viene ricordato come per i cristiani significhi “Gesù crocifisso e risorto” e che la sua luce illumina tutti gli uomini, tutte le religioni, tutte le culture, tutti gli autentici esercizi di umanità”. Per questo, aggiunge Francesco, “siamo chiamati a camminare insieme con tutti per costruire una vera e armoniosa cultura dell’incontro”. “Camminare con tutti”, sottolinea il Papa, e “non contro tutti”, come fa qualcuno.

 

Il patto con Dio chiave di volta della storia

La seconda parola è “patto”, quello “tra Dio e gli uomini”, “tra le generazioni”, “tra i popoli e le culture” e, nella scuola “tra i docenti, i discenti e i genitori”. Il patto è “la chiave di volta della creazione e della storia” ed è quello “tra l’uomo, gli animali, le piante e persino la realtà inanimate che fanno bella e variopinta la nostra casa comune”. Una vocazione alla fratellanza senza cui non può camminare.

 

Tutto è in relazione con tutto, tutto è creato per essere icona vivente di Dio che è Trinità d’Amore! È oggi compito prioritario, dunque, educare a vivere questo patto, anzi a essere questo patto vivo in tutte queste dimensioni: per aprire le strade del futuro a una civiltà nuova che abbracci nella fraternità universale l’umanità e il cosmo.

 

“Uscire dall’accampamento”

La terza parola è “uscita”. Senza uscire, infatti non si incontra né la Sapienza, né il patto si può propagare a tutti “con centri concentrici sempre più larghi e inclusivi”:

Solo uscendo si incontra il volto concreto dei fratelli e delle sorelle, con le loro ferite e le loro aspirazioni, i loro interrogativi e i loro doni. Dobbiamo imparare con il cuore, con la mente, con le mani a “uscire dall’accampamento” – come dice la Lettera agli Ebrei – per incontrare, proprio lì fuori, il volto di Dio nel volto di ogni fratello e ogni sorella.

 

 

 

Tra le tante visite, i discorsi, gli incontri che hanno segnato la visita di Bergoglio nel suo viaggio apostolico in Cile e Perù la tappa a Puerto Maldonado, cittadina nel cuore dell’Amazzonia peruviana tra i fiumi Tambopata e Madre de Dios, è stata certamente quella più ricca di colori, di segni e significato. «Siete un grido alla coscienza di uno stile di vita che non è in grado di misurare i suoi costi. Probabilmente i popoli originari dell’Amazzonia non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora».

 

Il papa ha voluto questo incontro come il più desiderato, il più atteso. Nel palazzetto dello sport di Puerto Maldonado, città a sud del Perù, uno dei tre centri importanti dell’ Amazzonia, il Papa partecipa ad una festa, incontra i rappresentanti dei Popoli, ventidue popoli indigeni con 330 mila persone. A loro parla così: «Permettetemi di dirvi che se, da qualcuno, voi siete considerati un ostacolo o un “ingombro”, in verità, con la vostra vita, siete un grido rivolto alla coscienza di uno stile di vita che non è in grado di misurare i suoi costi. Voi siete memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della casa comune».

 

Inizia simbolicamente qui con questa visita, con queste parole, il Sinodo per l’Amazzonia. Inizia da questo incontro con queste persone il grande appuntamento che la chiesa universale celebrerà nel 2019 e il papa raccomanda a questi popoli di aiutare i vescovi, i missionari e le missionarie «affinché si uniscano a voi, e in questo modo, dialogando con tutti, possano plasmare una Chiesa con un volto Amazzonico, con un volto indigeno. Con questo spirito ho convocato il Sinodo».

 

Non sfuggono i colori, la festa, la gioia sul volto di questi uomini e queste donne. Ad ascoltarlo sono in quattromila gli indios e Francesco ricorda le antiche parole della scrittura. «In questa terra risuonano le parole del Signore a Mosè: Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo».

 

Luogo santo ma sfruttato: «In diverse occasioni mi sono riferito alla cultura dello scarto, una cultura che non si accontenta solo di escludere, ma che è avanzata, mettendo a tacere, ignorando e rigettando, tutto ciò che non serve ai suoi interessi: sembrerebbe che il consumismo alienante di alcuni non riesca a percepire la dimensione della sofferenza soffocante di altri. È una cultura anonima, senza legami, senza volti. Una cultura senza madre, che non vuole altro che consumare. La terra viene trattata secondo questa logica. Le foreste, i fiumi e i torrenti vengono usati, utilizzati fino all’ultima risorsa e poi lasciati inutilizzati e inservibili. Anche le persone sono trattate con questa logica: usate fino allo sfinimento e poi abbandonate come “inservibili”. La difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita. L’Amazzonia, oltre ad essere una riserva di biodiversità, è anche una riserva culturale che deve essere preservata di fronte ai nuovi colonialismi».

 

E’ un giorno storico perché è il primo incontro diretto di Francesco con l’Amazzonia, incontro dedicato a tanti dei temi cari al Papa: le periferie, i poveri, le popolazioni indigene, la custodia del creato. Per il Papa la gente dell’ Amazzonia è “memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della casa comune”. E ai giovani raccomanda che si sforzino di elaborare, dal proprio punto di vista, una nuova antropologia e lavorino per rileggere la storia dei loro popoli dalla loro prospettiva. «Mostrateci la vostra identità – dice il Papa – abbiamo bisogno di ascoltarvi».

 

Silvano Gianti



 

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Messaggio Cristiano
GIUBILEO DEI MOVIMENTI, DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE NUOVE COMUNITÀ

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Piazza San Pietro
Domenica, 8 giugno 2025

Fratelli e sorelle,

«È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo» (S. Agostino, Discorso 271, 1). E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,1-11).

Come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura, lo Spirito opera qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Essi, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un’intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare l’intima esperienza della presenza del Risorto: lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le catene interiori, lenisce le ferite, li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio.

Il brano degli Atti degli Apostoli ci dice che a Gerusalemme, in quel momento, c’era una moltitudine di svariate provenienze, eppure, «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6). Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere. Come afferma Benedetto XVI: «Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele – la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri – e apre le frontiere. […] La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo» (Omelia a Pentecoste, 15 maggio 2005).

Ecco un’immagine eloquente della Pentecoste sulla quale vorrei soffermarmi con voi a meditare.

Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari.

E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale.

Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi. Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio.

Lo Spirito Santo, invece, fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni vere e buone: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti.

Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità.

Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché “ci insegna ogni cosa” e ci “ricorda le parole di Gesù” (cfr Gv 14,26); e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici.

Proprio celebrando la Pentecoste, Papa Francesco osservava che «oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine» (Omelia, 28 maggio 2023). E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta. Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli.

Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace.

Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi.

LEONE XIV