Domenica 21 Dicembre 2025


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Cronaca Bianca


VIVERE DA CRISTIANI

Testimonianza di padre Giovanni DUTTO, Missionario della Consolata

Padre Giovanni Dutto è un missionario della Consolata di Torino. L’ho conosciuto quarant’anni fa quando, insieme con i missionari di altre Congregazioni come la SMA e il PIME, ogni anno incontrava i giovani dei Seminari Diocesani per presentare il lavoro delle missioni.

Passando da Loppiano (Incisa Valdarno), questi missionari si fermavano da noi, Religiosi della Claritas. Da una ventina d’anni padre Giovanni si trova nell’Est del Kenia, al margine del deserto di Marsabit, per animare un Eremo/Santuario Mariano.

Ho sempre avuto una buona impressione di lui, avendo osservato che il suo dire e il suo fare coincidono!  Il lettore del nostro SITO  … può saziare la sua sete di Acqua fresca e pura! Buona lettura dal “KOKO”

 

          Ero l’unico cristiano a Moyale, nel cuore del deserto di Marsabit. Non ho sofferto di solitudine, ma mi chiedevo fino a quando e con chi avrei potuto condividere il Vangelo.

 

Uno dei giovani, che mi aiutavano a costruire una scuola, mi sembrava lavorato dallo Spirito: qualcosa di pulito ispiravano i suoi occhi.

 

Infatti, dopo pochi giorni, mi ha fermato dopo il lavoro e ha fatto domande sulla mia religione. Lì erano tutti analfabeti e pagani: sapevano della scuola da iniziare e intuivano che ero tra loro per un messaggio più grande.

Gli ho fatto vedere la Bibbia. Ci siamo seduti nella sabbia e ho risposto così: “Leggiamo insieme questa pagina. Dio ha detto: Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18, 19-20).

Gababo aveva gli occhi sbarrati nel vedermi leggere un libro. Eravamo commossi e senza parole nostre. Poi ho ripreso: “Non ti sembra meraviglioso che, se tu e io siamo uniti nel suo nome, Dio è qui in mezzo a te e a me? In questo deserto… tra la nostra gente…”.

 

Gli occhi parlanti di Gababo sprizzavano luce e gioia; ma non disse nulla. Ci salutammo. Io restai con un certo imbarazzo interiore: non avevo osato troppo? Gli avevo detto ‘Dio’: perché tutti gli amici borana sanno di un dio. Non gli ho detto ‘Gesù’: non aveva mai sentito questo nomeSono passati alcuni giorni. Gababo era sempre più luminoso, laborioso e raccolto: avrei detto che ‘camminava in punta di piedi’. Una sera, non se ne andò con i compagni di lavoro. Io ero entrato nella ‘baracca della preghiera’ e mi sentii chiamare: “Padre, ho dentro le parole del Libro che abbiamo letto. Ora voglio solo più che ‘Dio sia in mezzo a noi’. Penso che, se lo vogliamo in mezzo a noi, dobbiamo stare insieme il più possibile. Hai visto che da qualche giorno, io cerco di stare qui anche oltre il tempo del lavoro. Domenica sono rimasto tutto il giorno. E, quando sono a casa, mamma ha notato che sono diverso. Persino durante la notte penso a te. È troppo bello che Dio sia qui, nel nostro villaggio, nel nostro deserto…”.   Non ho detto niente: ero solo cosciente che lo Spirito coltivava la Parola in profondità.

 

Passò un po’ di tempo e Gababo, una sera, mi fermò e mi disse: “Padre, penso che, se vogliamo Dio in mezzo a noi, dobbiamo pregare insieme. Noi non abbiamo né riti, né preghiere ma tu hai la ‘baracca della preghiera’. Mi piace andarvi quando ci sei tu. Vorrei starci sempre”. Avevo visto che al mattino presto era là, e si fermava alla sera fino quasi al buio. Durante il giorno ho dovuto diradare le mie visite al Santissimo Sacramento. Me lo sarei trovato con me! Di notte mi piaceva dire il Rosario passeggiando sotto le stelle e presto me lo sono visto accanto.

 

Un altro giorno venne a dirmi: “Padre, penso che, se Dio è in mezzo a noi, dobbiamo volerci bene!” Mi chiedevo che cosa volesse dire. L’ho compreso dai fatti. Il suo saluto al mattino era diventato un grido di gioia. Lavorava con più dedizione. Quando passavo a sorvegliare il lavoro, il saluto e lo sguardo dicevano ‘il volerci bene’. Una domenica mi ha portato la più bella papaia colta sull’unico albero davanti alla loro capanna. Dopo un viaggio di qualche giorno per provviste (a 600 chilometri) mi ha detto: “Non assentarti più. È come se mancasse il sole”. La dolcezza con cui parlava con me divenne il modo di trattare tutti.

L’atmosfera della missione era impregnata di un clima traboccante pace e fervore. Non avrei più osato alzare la voce con operai o scolari che nei loro primi passi mettevano alla prova la pazienza. Non mi veniva più di lamentarmi per il caldo, le zanzare, il cibo…

 

Gababo venne a darmi l’ultima lezione: “Padre, ‘Dio in mezzo a noi’ vuol dire questo: Tu e io non possiamo più fare nulla di male contro Dio. Noi dobbiamo fare tutto come a Lui fa piacere”.

Aveva il dito puntato verso di me e il volto pieno di fermezza e di bontà. Che cosa sapesse di male e di volontà di Dio, non lo so.

Era però evidente che io ero un missionario ridondante. Lo Spirito santo fa capire lui stesso la Parola, la fa ricordare e dà la fortezza per viverla.

 

La missione di Moyale era eretta e consacrata prima che il ‘primo’ battesimo fosse amministrato!

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, Piazza San Pietro, 10 Dicembre 2025

Udienza Generale del 10 dicembre 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 8. La Pasqua come approdo del cuore inquieto

Saluto del Santo Padre ai malati in Aula Paolo VI prima dell’Udienza Generale

Buongiorno a tutti! Good morning! Welcome!

Faccio un breve saluto, una benedizione per ognuno di voi.

In questa giornata volevamo difendervi un po’ dagli elementi, dal freddo soprattutto... Non sta piovendo, però così forse state un po’ più comodi. Dopo potrete seguire l’Udienza sullo schermo, o se volete potete anche uscire, però approfittiamo di questo piccolo incontro un po’ più personale, così, per salutarvi, per offrirvi la benedizione del Signore, e anche un augurio. Siamo già vicino alla festa di Natale e vogliamo chiedere al Signore che la gioia di questo tempo di Natale vi accompagni tutti: le vostre famiglie, i vostri cari, e che siate sempre nelle mani del Signore con la fiducia, con l’amore che solo Dio ci può dare.

Do la benedizione a tutti adesso, poi passo a salutarvi.

Benedizione

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire. Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati. In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, ci riposeremo? La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia. Ebbene, dobbiamo solo aspettare, o questo ci può cambiare fin da ora?

Siamo assorbiti da tante attività che non sempre ci rendono soddisfatti. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tanti impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi, anzi donandosi fino alla fine. Eppure, percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita. Ci sentiamo allora stanchi, insoddisfatti: il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti. Perché? Perché noi non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore.

Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone. L’evangelista Matteo ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, nel riportare questa bellissima frase di Gesù: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

È dunque nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio.

È importante riflettere su questi aspetti, perché nei numerosi impegni che di continuo affrontiamo, sempre più affiora il rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo. Invece, leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum. Con questo aggettivo “inquieto”, Sant’Agostino ci fa comprendere lo slancio dell’essere umano proteso al suo pieno compimento. La frase integrale rimanda all’inizio delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te» (I, 1,1).

L’inquietudine è il segno che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato alla sua destinazione ultima, quella del “ritorno a casa”. E l’approdo autentico del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore. Questo tesoro, però, lo si trova solo amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: i fratelli e le sorelle in carne e ossa, la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi. Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare programma, forse anche di cambiare direzione.

Carissimi, ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude. Nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza.

Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non sarà deluso, se entra nel dinamismo dell’amore per cui è creato. L’approdo è certo, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e ringraziamo sempre il Signore che ce l’ha donata!

LEONE XIV