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Di cosa ha bisogno la Chiesa? "Di martiri, di testimoni, cioè dei santi di tutti i giorni"

Evento di Gianna Jessen a Genova

Buongiorno caro amico,

 
faccio seguito alla precedente comunicazione in merito all'incontro-testimonianza di Gianna Jessen.
 
Come saprà la testimonianza di Gianna è stata davvero toccante. Non si è limitata alla pur commovente storia di come è sopravvissuta all'aborto, ma ha spaziato sulla fede, sulle relazioni uomo-donna, sul rispetto, sulla castità. La folla di giovani che la ha assediata a fine incontro testimonia meglio di ogni parola come abbia toccato le corde giuste dei ragazzi. Nel caso non fosse riuscito a partecipare, le allego volentieri il collegamento per poter vedere il video completo dell'incontro, sulla pagina Facebook di MPV Genova.
 
 
Come ha più volte ripetuto Gianna: "Non è possibile difendere la vita senza Gesù: perchè Gesù è la Vita".
 
Un caro saluto, a presto.
 
MPV Genova
Luigi Roggerone

 

Lucia Bellaspiga giovedì 1 dicembre 2016

 

Doveva essere solo uno dei milioni di bambini dei quali non i sa nulla. Invece Gianna Jessen riuscì a nascere viva. E racconta al mondo la sua incredibile storia.

Gianna Jessen, californiana, 39 anni. «Sono stata abortita al settimo mese di gravidanza. La mia madre biologica aveva 17 anni e le consigliarono l’iniezione di una soluzione di sale nell’utero. Il bambino la inghiotte e il suo corpo brucia dentro e fuori, poi dopo 24 ore viene partorito morto. Si chiama aborto salino. Ma con me non funzionò: dopo 18 ore nacqui. E vivo. E sono molto felice di questo!».

 

Gianna Jessen, oggi 39 anni, californiana, è una delle pochissime voci al mondo che possa parlare a nome dei milioni di bambini uccisi ogni anno nella strage più silenziosa e sconosciuta.

«Sono stata abortita», appunto: in quanti possono dirlo? La scelta che altri fecero sulla sua vita ha lasciato segni pesanti nel suo corpo, ma le ha anche dato la volontà di gridare al mondo il diritto che ciascun uomo ha di vivere. Lo ha fatto anche l’altra sera a Verona di fronte a un migliaio di cittadini che hanno affollato il Palazzo della Gran Guardia (in centinaia sono rimasti fuori), invitata in Italia dalla Provita in collaborazione con altre 22 associazioni prolife .

«Vivo con una paralisi cerebrale, secondo i medici non avrei mai camminato e sarei stata cieca, invece sono qua e ho sempre una gran voglia di ridere».

 

Gianna, sua madre decise di abortire al settimo mese. Era un atto clandestino?

 

Negli Usa in alcuni Stati puoi abortire fino al nono mese, ma puoi sempre recarti in un altro e fare ciò che vuoi. Persino al momento della nascita accade che il bambino venga fatto uscire tranne la testolina: si pratica un taglio nel retro del collo e si estrae il cervello. La mia madre biologica si rivolse alla principale clinica abortista americana, la Planned Parenthood, che fattura milioni di dollari l’anno. Io rimasi nella soluzione salina per 18 ore, ma non furono sufficienti a bruciarmi tutta, e nacqui viva. Capita rarissimamente, e allora si dà al bambino un farmaco che gli ferma il cuore, o nei casi peggiori lo si lascia lì a morire o lo si soffoca. Per fortuna nacqui quando il medico del mio aborto era andato a casa a dormire: erano le 6 del mattino del 6 aprile 1977. Un’infermiera chiamò l’ambulanza e mi soccorsero. Non sono una vittima, sono quella che ha vinto (ride). E la migliore rivincita è che poi quando il medico è arrivato ha dovuto firmare il mio atto di nascita.

 

Ha mai conosciuto sua madre?

 

La mia vera mamma è nonna Penny, la donna che mi ha accolta a 17 mesi e, contro ogni previsione medica, è riuscita a farmi camminare, dopo tante operazioni e l’ausilio di apparecchi ortopedici. È morta a 91 anni, tre anni fa, dopo essersi presa cura di 56 bambini.

La madre biologica l’ho incontrata 10 anni fa negli Usa, a un evento pubblico. Si è presentata alla fine: «Io sono tua madre». Immediatamente ho iniziato a pregare in cuor mio, poi l’ho guardata negli occhi e le ho detto: «Sono cristiana evangelica e voglio che tu sappia che ti perdono». Lei però si è arrabbiata, mi ha detto che non ha bisogno del mio perdono e ha aggiunto parole molto dure. Ho chiuso dicendole che la perdonerò sempre, ma non le permetterò mai più di parlarmi così.

 

Quali conseguenze ha avuto il tentativo di aborto?

 

Sono affetta da "Post traumatic stress disorder", la patologia che colpisce le vittime di grandi catastrofi o guerre. È tipica delle persone che si sono trovate all’improvviso davanti alla morte dovendosi difendere. Ma tutto questo e la paralisi cerebrale diagnosticata a 17 mesi mi hanno resa anche una donna appassionata e libera, con la certezza che nulla è impossibile, perché Dio può tutto e sta sempre dalla nostra parte.

 

Lei è nata il 6 di aprile solo perché quel giorno avevano programmato la sua morte. Uno strano compleanno...

Lo festeggio perché è il giorno in cui Gesù ha sconfitto la morte a nome mio. Lo ha fatto due volte: con lanmia nascita, e poi quando ha salvato il mio spirito.

 

Con lei la soluzione salina ha "fallito". Come lo spiegano i medici?

 

Sulla cartella clinica si legge "nata durante aborto salino" ed è un vero miracolo. Ci sono solo 200 persone sopravvissute ad aborti vari nel mondo. In America conosco un’altra donna nata da un aborto salino, chemoggi ha fondato un’associazione per il diritto alla vita e ha anche dei figli. Anch’io potrei averne, chissà semvrò mai questa fortuna.

 

Si parla tanto di diritto del bambino, ma sempre più è oggetto di mercato e appagamento di diritti altrui.

 

C’è una grande ipocrisia. Pensiamo solo a questo: in tutte le situazioni umane si dice "questa persona è viva" dopo aver constatato che ha il battito cardiaco... per tutti tranne per il feto. Oggi il suo battito lo si può sentire già a 16 giorni, ma è incredibile come alle madri si dica che si tratta solo di un grumo di cellule, usando questo argomento sulle più vulnerabili. È solo questione di soldi: da una parte uccidiamo milioni di figli foraggiando il business dell’aborto, dall’altra li programmiamo con l’utero in affitto, sempre per soldi. In mezzo ci sono loro, i bambini, e anche le donne, usate e ingannate.

 

Chi sono i maggiori complici in questa operazione?

 

I media, i politici, le grandi cliniche abortiste come Planned Parenthood, l’indifferenza con cui si continuano a sfruttare le donne, e il fatto di non chiedere agli uomini di essere quello che dovrebbero. Tanti pregano perché l’America si ricordi cos’è la vera libertà: legalizzare questi abominii non è libertà. Trump ha buone intenzioni, vedremo.

 

Ha mai parlato al medico che cercò di ucciderla?

 

Sarebbe interessante, ma non penso di volerlo incontrare... Lui comunque sa dove sono. Anni fa fu testimone nel processo a un suo collega accusato di aver strangolato un bimbo nato come me da aborto salino. Io fui portata in aula come prova che si può sopravvivere. Avevo un anno. In quel processo il "mio" medico disse che aveva praticato migliaia di aborti e solo 4 bambini gli erano nati vivi, naturalmente lo considerava un successo. Su tre di loro aveva poi proceduto, solo una gli era rimasta in vita. Ero il suo insuccesso, che soddisfazione!

 

Il Papa ha sottolineato la gravità del peccato d’aborto e la necessità del vero pentimento, in seguito al quale si può avere l’assoluzione.

 

L’aborto è un atto che ha bisogno di un grande perdono, dunque ha bisogno di un Dio "estremo". Solo un amore come quello di Dio può salvare chi lo ha fatto e sorreggere chi ne è stato vittima. Io fatico, ho difficoltà di deambulazione, ma supero tutto appoggiandomi al braccio di Gesù. La mia vita non è facile, non lo è mai stata, ma non ho firmato per una vita facile, ho firmato per una vita straordinaria.

 

 

Liturgia della Parola di Papa Francesco in memoria dei “nuovi martiri” del XX e XXI secolo

 

 Riportiamo il testo integrale pronunciato da Papa Francesco il 22 aprile 2017 nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, in occasione della liturgia della Parola con la Comunità di Sant’Egidio in memoria dei “nuovi martiri” del XX e XXI secolo.

 

***

 

Siamo venuti pellegrini in questa Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove la storia antica del martirio si unisce alla memoria dei nuovi martiri, dei tanti cristiani uccisi dalle folli ideologie del secolo scorso – e anche oggi – e uccisi solo perché discepoli di Gesù.

 

Il ricordo di questi eroici testimoni antichi e recenti ci conferma nella consapevolezza che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri. E i martiri sono coloro che, come ci ha ricordato il Libro dell’Apocalisse, «vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (7,17). Essi hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza. E ci sono anche tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve.

 

Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio: l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Gv 15,12-19) Gesù usa una parola forte e spaventosa: la parola “odio”. Lui, che è il maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio. Ma Lui voleva sempre chiamare le cose con il loro nome. E ci dice: “Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me”.

 

Gesù ci ha scelti e ci ha riscattati, per un dono gratuito del suo amore. Con la sua morte e risurrezione ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione! Perché? A causa dell’odio dello spirito del mondo.

 

Quante volte, in momenti difficili della storia, si è sentito dire: “Oggi la patria ha bisogno di eroi”. Il martire può essere pensato come un eroe, ma la cosa fondamentale del martire è che è stato un “graziato”: è la grazia di Dio, non il coraggio, quello che ci fa martiri. Oggi, allo stesso modo ci si può chiedere: “Di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa?”. Di martiri, di testimoni, cioè dei santi di tutti i giorni. Perché la Chiesa la portano avanti i santi. I santi: senza di loro, la Chiesa non può andare avanti. La Chiesa ha bisogno dei santi di tutti i giorni, quelli della vita ordinaria, portata avanti con coerenza; ma anche di coloro che hanno il coraggio di accettare la grazia di essere testimoni fino alla fine, fino alla morte. Tutti costoro sono il sangue vivo della Chiesa. Sono i testimoni che portano avanti la Chiesa; quelli che attestano che Gesù è risorto, che Gesù è vivo, e lo attestano con la coerenza di vita e con la forza dello Spirito Santo che hanno ricevuto in dono.

 

Io vorrei, oggi, aggiungere un’icona di più, in questa chiesa. Una donna. Non so il nome. Ma lei ci guarda dal cielo. Ero a Lesbo, salutavo i rifugiati e ho trovato un uomo trentenne, con tre bambini. Mi ha guardato e mi ha detto: “Padre, io sono musulmano. Mia moglie era cristiana. Nel nostro Paese sono venuti i terroristi, ci hanno guardato e ci hanno chiesto la religione e hanno visto lei con il crocifisso, e le hanno chiesto di buttarlo per terra. Lei non lo ha fatto e l’hanno sgozzata davanti a me. Ci amavamo tanto!”. Questa è l’icona che porto oggi come regalo qui. Non so se quell’uomo è ancora a Lesbo o è riuscito ad andare altrove. Non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento, perché i campi di rifugiati – tanti – sono di concentramento, per la folla di gente che è lasciata lì. E i popoli generosi che li accolgono devono portare avanti anche questo peso, perché gli accordi internazionali sembra che siano più importanti dei diritti umani. E quest’uomo non aveva rancore: lui, musulmano, aveva questa croce del dolore portata avanti senza rancore. Si rifugiava nell’amore della moglie, graziata dal martirio.

 

Ricordare questi testimoni della fede e pregare in questo luogo è un grande dono. E’ un dono per la Comunità di Sant’Egidio, per la Chiesa in Roma, per tutte le Comunità cristiane di questa città, e per tanti pellegrini. L’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace. E allora possiamo così pregare: O Signore, rendici degni testimoni del Vangelo e del tuo amore; effondi la tua misericordia sull’umanità; rinnova la tua Chiesa, proteggi i cristiani perseguitati, concedi presto la pace al mondo intero. A te, Signore, la gloria e a noi, Signore, la vergogna (cfr Dn 9,7).



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco