Martedì 22 Ottobre 2024
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Cronaca Bianca


Shahrazad, «figlia musulmana di Francesco»

di STEFANIA FALASCA

 

«Dare più voce e responsabilità alla parte femminile della società significa dare speranza a una società più capace di collaborare per il bene comune, l’integrazione e la riconciliazione». Ne è convinta Shahrzad Houshmand che – laureata in teologia islamica all’Università di Teheran e docente di Studi islamici a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana – è tra le 37 donne appartenenti a diverse professioni, religioni e nazionalità della «Consulta femminile» nata nel 2015 all’interno del Pontificio Consiglio della Cultura. Ieri, in Sala Stampa vaticana, proprio la teologa iraniana ha presentato insieme a Consuelo Corradi, pro-rettore alla ricerca e ai rapporti internazionali della Lumsa nonché coordinatrice della stessa Consulta, e al cardinale Gianfranco Ravasi, lo scopo di questo organismo: lavorare in dialogo con le diversità culturali e religiose a partire dai contesti in cui le donne operano, nella convinzione che la pluralità è il presupposto dell’azione umana.

 

CONSULTA Shahrazad Houshmand

 

Shahrazad Houshmand ha definito «un parto naturale» la nascita di questo organismo consultivo e operativo all’interno di un dicastero cattolico romano, considerando come la donna nel cristianesimo abbia un ruolo fondamentale sia per la nascita di Gesù – grazie al sì di Maria – sia per il suo annuncio pasquale, perché a una donna venne dato il compito di annunciare la risurrezione. «Ma la stessa vita – ha proseguito – è affidata alla donna, quindi la sua presenza nella cultura religiosa e umana è naturale. Ogni donna sa che la pienezza della vita si raggiunge quando si va incontro all’altro». «La pace è la costruzione giorno dopo giorno di una cultura che sia a favore della comunità globale», afferma ancora la teologa di Teheran, che si definisce «figlia musulmana di papa Francesco». «Anche noi, con le nostre diversità – aggiunge –, vogliamo essere questo messaggio: la costruzione di una pace stabile, che non sia solo la mancanza della guerra ma una nuova cultura di accoglienza, perdono, pazienza, e della sapienza che le donne, se seguono la propria natura, sanno apportare». «Esiste un modo di vivere la vita umana proprio delle donne – ha sottolineato la coordinatrice Consuelo Corradi –. Non è un discorso ideologico quello che noi portiamo dentro la Consulta. Questo organismo non vuole occuparsi solo di donne, vogliamo parlare di temi universali con uno sguardo femminile».

 

Citando il libro biblico della Genesi il cardinale Ravasi ha detto che «finalmente» si dà al Pontificio Consiglio «l’immagine di Dio» che gli mancava perché «Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina. Non si tratta di seguire l’onda delle recriminazioni, per le quali non ci sarebbe spazio per le donne nella Curia romana», né di fare operazioni di «cosmesi», ma neppure di limitarsi a una «presenza simbolica nell’orizzonte maschile», o di creare «quota rosa ». L’obiettivo è un altro: «È una questione di interpretazione, di sguardo, di giudizio, soprattutto, e anche di proposte – spiega Ravasi –. Ho voluto che su tutte le attività del dicastero ci fosse uno sguardo femminile per offrire indicazioni e proposte che non avevamo neppure sospettato». Su tutte le attività la loro presenza si farà sentire a partire dalla prossima plenaria. Per Mariella Enoc, presidente del cda dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, il lavoro da fare attraverso la Consulta è di «aiutare la capacità e la possibilità della donna di essere una grande testimone nei contesti in cui ha un peso. Cristo l’ha resa testimone in un’epoca in cui non poteva esserlo. È necessario quindi che questo organismo non sia solo un luogo di pensiero ma porti nei vari contesti quello che la donna può essere e fare, e lo faccia non in maniera simbolica ma costruttiva, creando non un confronto ma l’armonizzazione tra l’uomo e la donna. Dobbiamo far crescere questa cultura all’interno della Chiesa».

 

Alla presentazione della «Consulta femminile» la testimonianza della teologa di Teheran, oggi docente alla Pontificia Università Gregoriana

 

‘* * *

 

ZENIT GIOVEDÌ 9 MARZO 2017

 

Intervista. Card. Ravasi: “La Consulta, finalmente una voce femminile nella Curia romana”.

 

Il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura dice che la Consulta femminile nel suo Dicastero esprime la speranza che le donne avranno sempre più importanza in Vaticano.

Card. Gianfranco Ravasi - “Bisogna cominciare con la presenza delle donne in Vaticano, e che non sia una presenza ornamentale né cosmetica”. Lo ha detto in un’intervista in esclusiva a ZENIT il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.

Il porporato ha parlato a margine della presentazione della Consulta femminile istituita dal suo Dicastero, martedì 7 marzo 2017. Ravasi ha sottolineato di aver voluto la creazione di questo nuovo organismo “in rosa” per dare alle attività del Dicastero uno “sguardo femminile”, il quale “offre indicazioni che noi uomini non sospettiamo neppure”, ha precisato.

 

Egli ha aggiunto inoltre che questa Consulta non nasce dalla necessità di premiare delle “rivendicazioni” di “quote rosa”, così come – spiega il cardinale – “non l’ho voluta neppure come un elemento cosmetico, una “bella presenza” in un orizzonte solo maschile”. Le trentasette donne scelte saranno infatti attive e ascoltate.

Parlando ai giornalisti, il card. Ravasi ha offerto poi una battuta dello scrittore di origini polacche Joseph Conrad: “Essere donna è estremamente difficile, perché bisogna continuamente avere a che fare con gli uomini. E avere a che fare coi preti – aggiungo io – è ancora più grave!”.

 

***

 

Potrebbe spiegare i criteri con cui le donne della Consulta femminile del Pontificio Consiglio della cultura sono state scelte? Come sono state selezionate?

Questo è una domanda importante perché è stato forse uno dei compiti più faticosi e impegnativi. Io ho pensato prima di tutto alla “questione” internazionale. Quindi ci sono donne provenienti da Stati Uniti, Irlanda, Iran, Cile, Turchia, e via dicendo. Secondo, la “questione” interreligiosa: sono rappresentati diversi “sguardi”, soprattutto l’islam, l’ebraismo, il cristianesimo, nelle sue diverse forme, anche quella protestante. Il terzo è stato il criterio delle professioni, delle attività, privilegiando per esempio le donne che lavorano nell’ambito della cultura, quindi università, donne artiste, medicina, scienza, ma in modo da coprire anche altri ambiti, come lo sport, vedi Fiona May, per avere tutto l’orizzonte delle professioni. Quarto criterio è quello dell’esperienza familiare. Ci sono donne non sposate ma anche donne che hanno famiglia, dunque sperimentano come tutte i problemi del crescere i figli, eccetera. L’ultimo criterio e quello della “sensibilità”.

 

Che vuol dire con “sensibilità”, Eminenza?

Per esempio, per la politica – perché volevo che fosse rappresentata anche la politica – ho scelto una persona che è interessata alla questione dello “scarto”, cioè dello spreco del cibo, il recupero del cibo che altrimenti andrebbe sprecato, e parliamo sia per l’Italia che per il mondo di un terzo di tutto il cibo prodotto. Ed è anche una persona che si interessa di volontariato, fa parte della commissione parlamentare che si occupa dei rifugiati, e così via. Io d’altronde volevo anche considerare la grande questione della povertà, delle migrazioni, nello spirito di Papa Francesco. Possiamo dire che nella consulta sono rappresentati anche questi temi, dato che ci sono donne che hanno realizzato anche attività di tipo caritativo, sebbene non vogliano farlo notare, ma ci sono. Questi sono i criteri di cui mi chiedeva.

 

Cosa ne pensa il Papa di questa Consulta? Ne avete parlato insieme?

Si.

 

Quindi ne avete parlato…

Si, certo, ne abbiamo parlato. Lui condivide molto l’idea di questa Consulta, perché da sempre parla della mancanza delle voce femminile nella Curia romana. Sappiamo che esistono le difficoltà, le strutture sono complesse, la storia passata è un po’ “pesante”, però da qualche parte bisogna cominciare. E infatti – lo ripeto ancora, perché per me è molto importante – la presenza delle donne della Consulta non deve essere una presenza soltanto “ornamentale”, solo perché qualche donna in Vaticano ci dovesse essere per forza, le quote rosa, come si dice di solito!  Bisogna che ci sia spazio per tutti, poi le persone devono entrare in questi spazi con le loro competenze, non perché sono donne o uomini che entrano automaticamente come nel passato: erano uomini dunque entravano nella Curia romana in automatico, anche senza competenza alcuna, senza preparazione…

 

Per questo io dico anche: la funzione di queste donne è una funzione reale, sono chiamate ad esprimere giudizi, mi hanno già criticato su alcune proposte e ne hanno avanzate altre! Per esempio, a proposito della prossima assemblea plenaria del dicastero, su neuroscienze, intelligenza artificiale, genetica, robotica, information technology eccetera, su tutti questi argomenti queste donne hanno espresso – come scienziate e come donne – giudizi che noi non saremmo in grado di formulare.

 

Tant’è vero che, questo lo posso dire, l’evento dell’apertura della prossima plenaria, che è il momento più importante dell’attività del dicastero, è organizzato dalla Consulta femminile, si tratterà di uno spettacolo televisivo al quale hanno già iniziato a lavorare.

 

Questo gruppo sta iniziando dunque ad attivarsi, dentro il dicastero da lei presieduto. Ma lei direbbe che questa Consulta femminile è una specie di “esperimento”, anche per capire se qualcosa di simile potrebbe essere istituito da altri dicasteri?

 

Io lo spero, secondo il principio dell’imitazione… Poi ognuno ha i suoi modi di agire e di funzionare. Ma io penso anche che sia possibile quel che Papa Francesco diceva, cioè, che alcune funzioni nei dicasteri vaticani siano espletate da donne, siano affidate a donne: parlo di donne che entrerebbero proprio nei dicasteri. Io non ho nessun “officiale”, ovvero nel linguaggio dei nostri uffici un “responsabile”, che sia donna. Le donne si trovano solo in posizioni come segretarie, o posizioni amministrative.

 



 

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Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 8. «Tutti furono colmati di Spirito Santo». Lo Spirito Santo negli Atti degli Apostoli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa, oggi facciamo riferimento al Libro degli Atti degli Apostoli.

Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori – il vento fragoroso e le lingue di fuoco –, ma trova la sua conclusione nell’affermazione: «E tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). San Luca – che ha scritto gli Atti degli Apostoli – mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere “colmati di Spirito Santo” è che gli Apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue» e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla (cfr At 2,4ss).

Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa.

Il primo dei due movimenti – l’universalità – lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra “pentecoste”, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani (cfr At 10-11).

A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo – si legge sempre negli Atti degli Apostoli (cfr 16,6-10) – voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, «lo Spirito Santo glielo aveva impedito»; voleva passare in Bitinia «ma lo Spirito di Gesù non lo permise». Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa.

Il secondo movimento dello Spirito Santo – quello che crea l’unità – lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste. Lo fa anche – e nella maggioranza dei casi – con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo. La sua soluzione fu annunciata a tutta la Chiesa con le ben note parole: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...» (At 15,28).

Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: «Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa» [1]. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. È Lui stesso il “vincolo di unità”. È Lui che fa l’unità della Chiesa.

Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere.

Il motivo – per cui è difficile l’unità tra noi – è che ognuno vuole, sì, che si faccia l’unità, ma intorno al proprio punto di vista, senza pensare che l’altro che gli sta davanti pensa esattamente la stessa cosa circa il “suo” punto di vista. Per questa via, l’unità non fa che allontanarsi. L’unità di vita, l’unità di Pentecoste, secondo lo Spirito, si realizza quando ci si sforza di mettere al centro Dio, non sé stessi. Anche l’unità dei cristiani si costruisce così: non aspettando che gli altri ci raggiungano là dove noi siamo, ma muovendoci insieme verso Cristo.

Chiediamo allo Spirito Santo che ci aiuti ad essere strumenti di unità e di pace.

[1] Discorsi, 267, 4

Papa Francesco