Sono un Cancelliere in pensione. Dal 2013 svolgo servizio di volontariato nel carcere di Chiavari, con la Caritas Diocesana.
Sono entrata in questo volontariato perchè il giudice con il quale avevo lavorato per circa 10 anni era stato nominato Presidente del Tribunale di Sorveglianza per tutti i carceri della Liguria, e quando gli ho comunicato la mia decisione, mi ha incoraggiato e nel giro di pochi giorni ha dato il nulla osta alla mia domanda.
Nelle motivazioni di ammissione avevo scritto: “Fino al giorno della mia pensione avevo vissuto il carcere dalla parte della giustizia, adesso vorrei viverlo dalla parte dei detenuti”. Era una volto di Gesù che non conoscevo ancora, un’umanità invisibile, sconosciuta, sottomessa, privata di tutto; 24 ore su 24 rigidamente disciplinata da precisi orari, da ordini, dall’osservanza delle regole sulla sicurezza. Eppure ero convinta che andando lì non facevo solo un’opera di misericordia, ma potevo sfruttare l’occasione di donare un vangelo vissuto, potevo creare rapporti di fraternità con i detenuti, con la polizia penitenziaria, il personale civile, la direzione, insieme agli altri volontari, anche loro veramente molto bravi ed impegnati.
Avevo appena preso servizio, quando un giorno una guardia mi comunica che c’è necessità di saponi e saponette per i detenuti (che allora erano circa un centinaio), se potevo procurarne un pò. Penso subito che questa richiesta può essere l’occasione non solo di coinvolgere la mia comunità, ma anche di cominciare, almeno con lui, a creare un rapporto di collaborazione. Ma come fare a trovare tante saponette? Mi viene in mente che di lì a poco è il 14 marzo, ed è in programma, per tutta la Comunità dei Focolari , una messa in ricordo di Chiara (Lubich). Se ognuno arrivava con una confezione di saponette, avremmo fatto una bella raccolta. Comunico a tutti via mail questa richiesta e il giorno della messa, in fondo alla chiesa, raccogliamo un sacco pieno di saponette, molte più di un centinaio, che attraverso la Caritas viene consegnato in carcere.
Spesso l’esecuzione della sentenza arriva molti anni dopo aver commesso il reato, dopo tutti i gradi di appello, quando magari le persone hanno cambiato vita, hanno un lavoro stabile, una famiglia, dei figli e allora il taglio con la realtà esterna è molto duro. Allora l’impegno è maggiore, li ascolto, mi interesso dei loro problemi, cercando, se posso, di dare soluzioni, mi occupo di acquisti diversi, contatti con la famiglia, con l’avvocato, pratiche burocratiche da svolgere, ricerca e distribuzione di indumenti… Cerco di conquistarmi la loro fiducia, puntando al rapporto con la persona, con quel Gesù che si nasconde in ciascuno. Li accolgo con dignità, stringendo loro la mano. Questo contatto le prime volte mi costava, ma poi ho pensato alle parole di Gesù: “l’hai fatto a me”, e non ho più sentito nessun disagio.
In questi colloqui si raccolgono le miserie e le sofferenze di un’umanità che ha perso la cosa più preziosa che Dio ci ha dato: la libertà, da quella fisica a quella di rinunciare ai più piccoli desideri o semplici abitudini quotidiane.
Di regola, i musulmani vengono solo per chiedere indumenti e non danno confidenza, ma ben presto si fermano anche a parlare, raccontano della loro vita, del loro paese. Si trovano bene, perché cerco di dare loro un profondo ascolto e non c’è proselitismo. Con il dialogo nasce l’amicizia, l’accoglienza. Due mesi fa è mancata mia mamma e spontaneamente è nata da loro l’iniziativa di donare un grande mazzo di fiori per lei, con la scritta “Gli amici di Francesca” accompagnato da un biglietto con tutte le loro firme, ed anche una pianta per me. E’ stato molto commovente.
Essere lontani dalla famiglia è il dolore più grande.
E’ importante cercare di tenere vivo il senso della genitorialità, soprattutto quando ci sono figli minori. Quando poi sono adolescenti, il più delle volte purtroppo scelgono di non vedere più il genitore.
Un detenuto un giorno mi chiede di comprare un profumo per sua figlia adolescente, per il suo compleanno. E’ separato e da quando è entrato in carcere la figlia non ha più voluto vederlo. Spera con questo dono di riavvicinarla. Scelgo il profumo, compro anche un biglietto, poi il detenuto mi chiede se posso farlo avere a sua moglie, che abita a Rapallo. Chiedo ad un’amica, che abita proprio lì vicino, di farlo lei e il regalo arriva alla ragazza, anzi, è proprio lei ad andare a ritirare il dono. Qualche giorno dopo torno in carcere e il detenuto mi dice che il profumo è piaciuto molto a sua figlia. Gli chiedo: “Come fa a saperlo?”. E lui, commosso: “Perché è venuta a trovarmi. Ed era la prima volta…”.
I detenuti di lingua araba sono insieme in cella, abbiamo fatto amicizia e quando succedono fatti terroristici ne parliamo insieme, commentiamo l’accaduto, preghiamo per la pace. E il rapporto e la fiducia crescono, grazie anche alla testimonianza di Papa Francesco, di cui tutti hanno un’immensa stima.
Uno di loro, Salmi, non ha amici, né parenti che gli mandino dei soldi. Un giorno mi chiede di chiamare una signora sua conoscente, e chiederle se può mandargli dei soldi. Lo faccio volentieri, ma la signora mi dice che non può più mandargli niente perché ha dei problemi economici anche lei. Mi dispiace, ma affido subito questa preoccupazione a Dio e gli chiedo che sia lui a dare una risposta a Salmi.
Dopo neppure due ore ricevo un messaggino in cui una volontaria amica di Salmi (contattata molti mesi prima) mi chiede di lui, che non lo sente da molto, che vorrebbe mandargli qualcosa, se va bene fargli un vaglia e di quanto! La Provvidenza di Dio aveva già risposto!
Spesso seguo anche pratiche burocratiche e alcune richiedono molto impegno. Per quelle mi rivolgo direttamente a Gesù: “Aiutami a risolvere questo problema…”. E succedono cose straordinarie.
Come quel giorno che un detenuto, prestanome in una società, mi chiede di chiudere la sua partita IVA. Faccio tutte le ricerche del caso, vado a Genova, parlo con un funzionario della Camera di Commercio che mi spiega come fare. Prendo nota di tutto. Però il costo della cancellazione è di 200 euro. Penso al Vangelo: “Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, abbiate la certezza che è già vostro”… Così faccio, poi chiedo al detenuto quanto ha a disposizione. Mi dice: 150 euro. Chiedo alla Caritas se può coprire la differenza e la Caritas è d’accordo. Prendo appuntamento con l’ufficio e presento la domanda. L’impiegato è molto gentile, capisce il problema, legge le note del funzionario di Genova, istruisce la pratica. Intanto dico a Gesù: “per Te, in quel detenuto, se puoi, fai qualcosa per evitare la spesa…”
Alla fine chiedo quant’è e l’impiegato mi risponde: “niente, faccia solo firmare questo foglio al detenuto e chieda alla Direzione la dichiarazione del suo stato di detenzione!” Non riuscivo a crederci! Come era felice quel detenuto!….E io ancora di più per la risposta puntuale di Dio.
L’attenzione scrupolosa per la sicurezza nel carcere è di fondamentale importanza, e qualche volta può succedere che, per ignoranza e distrazione, mi capiti di “sfuggire” ai controlli. Come quel giorno che ho dimenticato il cellulare in tasca, prima di entrare nell’area detenuti. Me ne sono accorta solo dopo aver fatto pochi passi dall’ingresso, ma sufficienti per essere ripresa da ben tre guardie, una dopo l’altra. Anche se avevo sbagliato, mi sentivo tranquilla perché non solo avevo riposto subito il cellulare nella mia casella, ma non ero ancora entrata nell’area a contatto con i detenuti. Quando sto per uscire, però, dopo i colloqui, l’Ispettore di turno mi ferma e mi dice: Signora, venga nel mio ufficio, devo parlarle.
Capisco subito che è per il cellulare, ma, per obbedienza, aspetto che sia lui a parlare per primo. “Signora, lei è entrata con un cellulare, ed è severamente vietato, per la sicurezza… Vede, avrei potuto fare un rapporto, senza ascoltarla, mandarlo alla Direzione, e lei non sarebbe più entrata nel carcere… Ma noi abbiamo visto che lei fa questo lavoro con amore, e allora ho pensato che era meglio parlarle e chiarire la questione a voce…”. La parola “amore” non è molto usata in un carcere, perciò mi ha colpito che l‘Ispettore se ne fosse accorto, così quell’imprevisto mi ha dato modo di spiegargli un po’ di più quali erano le ragioni profonde del mio fare volontariato in carcere. Lui condivideva tutto.
Ecco, cerco di fare questo servizio, come tutti gli altri volontari, con amore e per amore di quell’umanità che più rispecchia il volto di Gesù Crocifisso e Abbandonato, che si è fatto davvero come uno di loro: detenuto.
Nel mio volontariato cerco di fare sempre un lavoro “a quattro mani”, con Dio, e per Lui di dare testimonianza dell’amore, di un Vangelo vissuto con radicalità, perché altrimenti non ci sono risultati, non c’è fraternità, né cambiamento. Perché so che è Dio che fa tutto.
Isaia profetizza: “…Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a consolare gli afflitti, a ricostruire sulle vecchie rovine una vita che manifesti la gloria del Signore…”: credo che noi cristiani, dovunque operiamo, possiamo essere le mani e le braccia di Dio per realizzare tutto ciò. Anche in un carcere…..