Domenica 14 Dicembre 2025


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La pace di Aletta

di Rosi Bertolassi - fonte: Città Nuova

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Il ricordo di Aletta da parte di chi ha condiviso con lei la nascita del Movimento dei Focolari in diversi Paesi del Medioriente.


Chi ha il coraggio di dire “quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12,10), ha il coraggio di San Paolo e anche un pò il coraggio di Aletta. Di forze fisiche Aletta ne ha avute tante, con quella salute della gente cresciuta all’aria buona del Trentino, nella semplicità laboriosa di una famiglia unita e serena.   Le forze non le sono mancate quando, bambina, con i suoi ha attraversato le Alpi per raggiungere la Francia dove il padre aveva trovato lavoro. Questi italiani emigranti attenti ai figli perché nonostante lo sradicamento restino dei buoni cristiani! Infatti, Aletta è andata a scuola dalle suore in Francia.  

 

Durante l’ultima guerra mondiale, Trento, la sua città natale, ha subìto lo sconvolgimento dei bombardamenti e le corse ai rifugi antiaerei erano frequenti. Le guance rosse dal freddo, le mani screpolate e i piedi intirizziti durante l’inverno non trovavano facilmente sollievo dentro le case mal riscaldate, così le forze, messe alla prova si tempravano.   Aletta ha conosciuto in quegli anni Chiara Lubich ed è stata fra le prime a seguirla in quella vita evangelica dalle applicazioni tutte nuove che stava nascendo, che poi ha preso il nome di Movimento dei Focolari.   Per anni non si è misurata perché la sua vivacità, la sua bontà naturale e l’abitudine a donarsi senza posa le erano connaturali, con l’aggiunta di quell’ideale che l’aveva conquistata e che le insegnava a fare della vita un continuo atto d’amore. Come Gesù.  

 

Però le forze fisiche sono venute meno. Anni di cure, di stasi, di fatiche dal sapore diverso, che richiedevano la forza della pazienza, della perseveranza, dell’umiltà. La salute che non aveva più nel corpo ce l’aveva però nell’anima e Chiara Lubich l’ha vista così quando si è trattato di delineare i diversi aspetti del Movimento nascente che inglobano la vita fisica e la natura.  

 

Aletta, con la sua stessa persona, diceva vita, salute, malattia, morte e risurrezione, salvaguardia del creato, casa della famiglia umana unita dal vincolo della pace. Sì, della pace, primo fattore di salute e di sviluppo integrale della società. Che la pace debba prima di tutto partire dal cuore di ogni essere umano aveva conferma a vedere la personalità di Aletta.  

 

Negli anni ’60 Chiara era stata invitata a recarsi a Istanbul in Turchia, dove si avviava un promettente ecumenismo grazie ai rapporti instaurati con il Patriarca della Chiesa Ortodossa Athenagoras I. Per questo, in quella città le cui rive del Bosforo uniscono due continenti, l’Europa e l’Asia, è sorta una comunità del Movimento dei Focolari con l’intento di gettare lo sguardo sui Paesi del Medio Oriente.   Se c’è un’area geografica al mondo tormentata da secolari conflitti e guerre che sembrano insanabili è proprio il Medio Oriente, e l’esercizio della pace, soprattutto quella che converte i cuori, richiede notevoli forze spirituali. Chiara, ne era convinta e in quegli anni, ha pensato di mandare a Istanbul Aletta, ancora convalescente, invitandola forse in maniera prudenziale, ma quanto mai profetica a non puntare tanto alle attività da fare quanto a garantire quella presenza promessa da Gesù nel Vangelo a persone che si amano: «Tutto ti fiorirà fra le mani», le aveva detto la Lubich.  

 

I fatti contingenti costringevano la piccola comunità di Istanbul guidata da Aletta a uscire dalla Turchia ogni tre mesi e, nonostante la debolezza fisica, Aletta in quelle occasioni acquistava un coraggio e una forza sorprendenti. Curava l’organizzazione dei viaggi, non certo agevoli, che si facevano a volte in macchina, per giungere in Libano, attraversando l’Anatolia e la Siria, pernottando in qualche modesto hotel lungo la strada.   Gli itinerari portavano a Cipro, in Grecia o in Terra Santa; in seguito sono proseguiti in altri Paesi dell’area mediorientale. L’arrivo di una delle prime focolarine faceva convergere le persone che avevano sentito parlare di quella nuova corrente di spiritualità nata nella Chiesa che entusiasmava i giovani, sosteneva le famiglie, si impegnava a risanare le fratture sociali di ogni tipo, perché portatrice di un carisma fautore di unità.  

 

Aletta forte della fede in questo carisma e della consegna datale da Chiara, formava all’unità amando uno per uno quelli che incontrava, li incoraggiava con la sua saggezza e componeva in unità le piccole comunità nascenti in ogni luogo. Senza clamore, trasmetteva la sua pace. Quella pace che poi, con la crescita della comunità nei paesi del Medio Oriente, ha suscitato iniziative concrete di solidarietà, ha sanato divisioni suscitate dai conflitti, ha alimentato una cultura della pace e dell’unità in persone impegnate in politica o nel sociale.   Aletta ha concluso la sua vita terrena e ci lascia la forza della sua fede e la dolcezza della sua pace.



 

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UDIENZA GIUBILARE, Piazza San Pietro, 6 Dicembre 2025

CATECHESI DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Catechesi. 10. Sperare è partecipare – Alberto Marvelli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Siamo da poco entrati nel periodo liturgico dell’Avvento, che ci educa all’attenzione ai segni dei tempi. Noi infatti ricordiamo la prima venuta di Gesù, il Dio con noi, per imparare a riconoscerlo ogni volta che viene e per prepararci a quando tornerà. Allora saremo per sempre insieme. Insieme con Lui, con tutti i nostri fratelli sorelle, con ogni altra creatura, in questo mondo finalmente redento: la nuova creazione.

Questa attesa non è passiva. Infatti, il Natale di Gesù ci rivela un Dio coinvolgente: Maria, Giuseppe, i pastori, Simeone, Anna, e più avanti Giovanni Battista, i discepoli e tutti coloro che incontrano il Signore sono coinvolti, sono chiamati a partecipare. È un onore grande, e che vertigine! Dio ci coinvolge nella sua storia, nei suoi sogni. Sperare, allora, è partecipare. Il motto del Giubileo, “Pellegrini di speranza”, non è uno slogan che tra un mese passerà! È un programma di vita: “pellegrini di speranza” vuol dire gente che cammina e che attende, non però con le mani in mano, ma partecipando.

Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi: ci dice che nessuno riesce a farlo da solo, ma insieme, nella Chiesa e con tanti fratelli e sorelle, si leggono i segni dei tempi. Sono segni di Dio, di Dio che viene col suo Regno, attraverso le circostanze storiche. Dio non è fuori dal mondo, fuori da questa vita: abbiamo imparato nella prima venuta di Gesù, Dio-con-noi, a cercarlo fra le realtà della vita. Cercarlo con intelligenza, cuore e maniche rimboccate! E il Concilio ha detto che questa missione è in modo particolare dei fedeli laici, uomini e donne, perché il Dio che si è incarnato ci viene incontro nelle situazioni di ogni giorno. Nei problemi e nelle bellezze del mondo, Gesù ci aspetta e ci coinvolge, ci chiede che operiamo con Lui. Ecco perché sperare è partecipare!

Oggi vorrei ricordare un nome: quello di Alberto Marvelli, giovane italiano vissuto nella prima metà del secolo scorso. Educato in famiglia secondo il Vangelo, formatosi nell’Azione Cattolica, si laurea in ingegneria e si affaccia alla vita sociale al tempo della seconda guerra mondiale, che lui condanna fermamente. A Rimini e dintorni si impegna con tutte le forze a soccorrere i feriti, i malati, gli sfollati. Tanti lo ammirano per questa sua dedizione disinteressata e, dopo la guerra, viene eletto assessore e incaricato della commissione per gli alloggi e per la ricostruzione. Così entra nella vita politica attiva, ma proprio mentre si reca in bicicletta a un comizio viene investito da un camion militare. Aveva 28 anni. Alberto ci mostra che sperare è partecipare, che servire il Regno di Dio dà gioia anche in mezzo a grandi rischi. Il mondo diventa migliore, se noi perdiamo un po’ di sicurezza e di tranquillità per scegliere il bene. Questo è partecipare.

Chiediamoci: sto partecipando a qualche iniziativa buona, che impegna i miei talenti? Ho l’orizzonte e il respiro del Regno di Dio, quando faccio qualche servizio? Oppure lo faccio brontolando, lamentandomi che tutto va male? Il sorriso sulle labbra è il segno della grazia in noi.

Sperare è partecipare: questo è un dono che Dio ci fa. Nessuno salva il mondo da solo. E neanche Dio vuole salvarlo da solo: Lui potrebbe, ma non vuole, perché insieme è meglio. Partecipare ci fa esprimere e rende più nostro ciò che alla fine contempleremo per sempre, quando Gesù definitivamente tornerà.