Giovedì 19 Dicembre 2024

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La pace di Aletta

di Rosi Bertolassi - fonte: Città Nuova

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Il ricordo di Aletta da parte di chi ha condiviso con lei la nascita del Movimento dei Focolari in diversi Paesi del Medioriente.


Chi ha il coraggio di dire “quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12,10), ha il coraggio di San Paolo e anche un pò il coraggio di Aletta. Di forze fisiche Aletta ne ha avute tante, con quella salute della gente cresciuta all’aria buona del Trentino, nella semplicità laboriosa di una famiglia unita e serena.   Le forze non le sono mancate quando, bambina, con i suoi ha attraversato le Alpi per raggiungere la Francia dove il padre aveva trovato lavoro. Questi italiani emigranti attenti ai figli perché nonostante lo sradicamento restino dei buoni cristiani! Infatti, Aletta è andata a scuola dalle suore in Francia.  

 

Durante l’ultima guerra mondiale, Trento, la sua città natale, ha subìto lo sconvolgimento dei bombardamenti e le corse ai rifugi antiaerei erano frequenti. Le guance rosse dal freddo, le mani screpolate e i piedi intirizziti durante l’inverno non trovavano facilmente sollievo dentro le case mal riscaldate, così le forze, messe alla prova si tempravano.   Aletta ha conosciuto in quegli anni Chiara Lubich ed è stata fra le prime a seguirla in quella vita evangelica dalle applicazioni tutte nuove che stava nascendo, che poi ha preso il nome di Movimento dei Focolari.   Per anni non si è misurata perché la sua vivacità, la sua bontà naturale e l’abitudine a donarsi senza posa le erano connaturali, con l’aggiunta di quell’ideale che l’aveva conquistata e che le insegnava a fare della vita un continuo atto d’amore. Come Gesù.  

 

Però le forze fisiche sono venute meno. Anni di cure, di stasi, di fatiche dal sapore diverso, che richiedevano la forza della pazienza, della perseveranza, dell’umiltà. La salute che non aveva più nel corpo ce l’aveva però nell’anima e Chiara Lubich l’ha vista così quando si è trattato di delineare i diversi aspetti del Movimento nascente che inglobano la vita fisica e la natura.  

 

Aletta, con la sua stessa persona, diceva vita, salute, malattia, morte e risurrezione, salvaguardia del creato, casa della famiglia umana unita dal vincolo della pace. Sì, della pace, primo fattore di salute e di sviluppo integrale della società. Che la pace debba prima di tutto partire dal cuore di ogni essere umano aveva conferma a vedere la personalità di Aletta.  

 

Negli anni ’60 Chiara era stata invitata a recarsi a Istanbul in Turchia, dove si avviava un promettente ecumenismo grazie ai rapporti instaurati con il Patriarca della Chiesa Ortodossa Athenagoras I. Per questo, in quella città le cui rive del Bosforo uniscono due continenti, l’Europa e l’Asia, è sorta una comunità del Movimento dei Focolari con l’intento di gettare lo sguardo sui Paesi del Medio Oriente.   Se c’è un’area geografica al mondo tormentata da secolari conflitti e guerre che sembrano insanabili è proprio il Medio Oriente, e l’esercizio della pace, soprattutto quella che converte i cuori, richiede notevoli forze spirituali. Chiara, ne era convinta e in quegli anni, ha pensato di mandare a Istanbul Aletta, ancora convalescente, invitandola forse in maniera prudenziale, ma quanto mai profetica a non puntare tanto alle attività da fare quanto a garantire quella presenza promessa da Gesù nel Vangelo a persone che si amano: «Tutto ti fiorirà fra le mani», le aveva detto la Lubich.  

 

I fatti contingenti costringevano la piccola comunità di Istanbul guidata da Aletta a uscire dalla Turchia ogni tre mesi e, nonostante la debolezza fisica, Aletta in quelle occasioni acquistava un coraggio e una forza sorprendenti. Curava l’organizzazione dei viaggi, non certo agevoli, che si facevano a volte in macchina, per giungere in Libano, attraversando l’Anatolia e la Siria, pernottando in qualche modesto hotel lungo la strada.   Gli itinerari portavano a Cipro, in Grecia o in Terra Santa; in seguito sono proseguiti in altri Paesi dell’area mediorientale. L’arrivo di una delle prime focolarine faceva convergere le persone che avevano sentito parlare di quella nuova corrente di spiritualità nata nella Chiesa che entusiasmava i giovani, sosteneva le famiglie, si impegnava a risanare le fratture sociali di ogni tipo, perché portatrice di un carisma fautore di unità.  

 

Aletta forte della fede in questo carisma e della consegna datale da Chiara, formava all’unità amando uno per uno quelli che incontrava, li incoraggiava con la sua saggezza e componeva in unità le piccole comunità nascenti in ogni luogo. Senza clamore, trasmetteva la sua pace. Quella pace che poi, con la crescita della comunità nei paesi del Medio Oriente, ha suscitato iniziative concrete di solidarietà, ha sanato divisioni suscitate dai conflitti, ha alimentato una cultura della pace e dell’unità in persone impegnate in politica o nel sociale.   Aletta ha concluso la sua vita terrena e ci lascia la forza della sua fede e la dolcezza della sua pace.



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 11 Dicembre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.

In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.

Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.

È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.

Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!

Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].

Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.

L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!

[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.

Papa Francesco