Giovedì 25 Aprile 2024
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L'arcivescovo di Bangui: "Io cardinale? Una sorpresa, ero nella savana…"

 

   
   
TheArchbishop Dieudonne˙ Nzapalainga  and Imam Omour Kobine of Bangui pray together during a tour to spread the word of tolerance and reconciliation at a mosque in the quartier Kilometre 5 in Bangui, Central African Republic on December 11, 2013. Just earlier at a a church, IDPs staying at the camp realised that a truck with food supplies was delivered by the Muslim community as in an act of goodwill and screamed in the local language song

 

 

“Ero nella savana per l’ingresso del nuovo parroco, a San Francesco Saverio, a Bossembelé. Mi è arrivato un messaggio dopo la Messa. L’ho accolto come una chiamata di Dio: un povero che si ritrova nella savana, vengono a cercarlo per compiere una missione”. Così l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, ha raccontato quando per la prima volta ha saputo a sorpresa della sua nomina a cardinale voluta da Papa Francesco.

Mons. Nzapalainga domani sarà in Vaticano per essere creato cardinale dal Pontefice durante il Concistoro nella Basilica di San Pietro.

“Essere cardinale – ha aggiunto mons. Nzapalainga – non è un onore, ma un servizio che il Signore ci dà per essere ponte fra differenti comunità, perché il dialogo, la pace e la riconciliazione tornino” nella Repubblica Centrafricana.
L’arcivescovo di Bangui, 49 anni, il più giovane dei prossimi cardinali, poco prima di partire per Roma ha portato viveri e materiale didattico nel quartiere a prevalenza musulmana.

E’ il quartiere di Bangui chiamato “Km5”, dove lo scorso anno, fino all’arrivo del Papa, non si poteva entrare perché era uno dei focolai della guerra che ha messo in crisi la Repubblica Centrafricana tra il 2013 e il 2015.

“Non ho difficoltà – ha concluso mons. Nzapalainga – vengo sempre tra i fratelli e ho la certezza che sarò sempre accolto. Il Papa è passato qui, al Km5 di Bangui. Da allora, molte cose sono cambiate. Ed è con grande gioia che veniamo perché torni la fraternità. Essi credono in Dio, sono musulmani. Io sono cristiano. Comunque, siamo tutti centrafricani. Durante la crisi, dei genitori si sono impoveriti e ora non hanno i mezzi per mandare i loro figli a scuola. Il nostro Dio è un Dio che si occupa degli orfani, degli abbandonati. Quindi, anche questi bambini devono poter studiare”.

 



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco