Africa di ieri e di oggi


L'arcivescovo di Bangui: "Io cardinale? Una sorpresa, ero nella savana…"

 

   
   
TheArchbishop Dieudonne˙ Nzapalainga  and Imam Omour Kobine of Bangui pray together during a tour to spread the word of tolerance and reconciliation at a mosque in the quartier Kilometre 5 in Bangui, Central African Republic on December 11, 2013. Just earlier at a a church, IDPs staying at the camp realised that a truck with food supplies was delivered by the Muslim community as in an act of goodwill and screamed in the local language song

 

 

“Ero nella savana per l’ingresso del nuovo parroco, a San Francesco Saverio, a Bossembelé. Mi è arrivato un messaggio dopo la Messa. L’ho accolto come una chiamata di Dio: un povero che si ritrova nella savana, vengono a cercarlo per compiere una missione”. Così l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, ha raccontato quando per la prima volta ha saputo a sorpresa della sua nomina a cardinale voluta da Papa Francesco.

Mons. Nzapalainga domani sarà in Vaticano per essere creato cardinale dal Pontefice durante il Concistoro nella Basilica di San Pietro.

“Essere cardinale – ha aggiunto mons. Nzapalainga – non è un onore, ma un servizio che il Signore ci dà per essere ponte fra differenti comunità, perché il dialogo, la pace e la riconciliazione tornino” nella Repubblica Centrafricana.
L’arcivescovo di Bangui, 49 anni, il più giovane dei prossimi cardinali, poco prima di partire per Roma ha portato viveri e materiale didattico nel quartiere a prevalenza musulmana.

E’ il quartiere di Bangui chiamato “Km5”, dove lo scorso anno, fino all’arrivo del Papa, non si poteva entrare perché era uno dei focolai della guerra che ha messo in crisi la Repubblica Centrafricana tra il 2013 e il 2015.

“Non ho difficoltà – ha concluso mons. Nzapalainga – vengo sempre tra i fratelli e ho la certezza che sarò sempre accolto. Il Papa è passato qui, al Km5 di Bangui. Da allora, molte cose sono cambiate. Ed è con grande gioia che veniamo perché torni la fraternità. Essi credono in Dio, sono musulmani. Io sono cristiano. Comunque, siamo tutti centrafricani. Durante la crisi, dei genitori si sono impoveriti e ora non hanno i mezzi per mandare i loro figli a scuola. Il nostro Dio è un Dio che si occupa degli orfani, degli abbandonati. Quindi, anche questi bambini devono poter studiare”.

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV