Martedì 22 Ottobre 2024
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Africa di ieri e di oggi


L'arcivescovo di Bangui: "Io cardinale? Una sorpresa, ero nella savana…"

 

   
   
TheArchbishop Dieudonne˙ Nzapalainga  and Imam Omour Kobine of Bangui pray together during a tour to spread the word of tolerance and reconciliation at a mosque in the quartier Kilometre 5 in Bangui, Central African Republic on December 11, 2013. Just earlier at a a church, IDPs staying at the camp realised that a truck with food supplies was delivered by the Muslim community as in an act of goodwill and screamed in the local language song

 

 

“Ero nella savana per l’ingresso del nuovo parroco, a San Francesco Saverio, a Bossembelé. Mi è arrivato un messaggio dopo la Messa. L’ho accolto come una chiamata di Dio: un povero che si ritrova nella savana, vengono a cercarlo per compiere una missione”. Così l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, ha raccontato quando per la prima volta ha saputo a sorpresa della sua nomina a cardinale voluta da Papa Francesco.

Mons. Nzapalainga domani sarà in Vaticano per essere creato cardinale dal Pontefice durante il Concistoro nella Basilica di San Pietro.

“Essere cardinale – ha aggiunto mons. Nzapalainga – non è un onore, ma un servizio che il Signore ci dà per essere ponte fra differenti comunità, perché il dialogo, la pace e la riconciliazione tornino” nella Repubblica Centrafricana.
L’arcivescovo di Bangui, 49 anni, il più giovane dei prossimi cardinali, poco prima di partire per Roma ha portato viveri e materiale didattico nel quartiere a prevalenza musulmana.

E’ il quartiere di Bangui chiamato “Km5”, dove lo scorso anno, fino all’arrivo del Papa, non si poteva entrare perché era uno dei focolai della guerra che ha messo in crisi la Repubblica Centrafricana tra il 2013 e il 2015.

“Non ho difficoltà – ha concluso mons. Nzapalainga – vengo sempre tra i fratelli e ho la certezza che sarò sempre accolto. Il Papa è passato qui, al Km5 di Bangui. Da allora, molte cose sono cambiate. Ed è con grande gioia che veniamo perché torni la fraternità. Essi credono in Dio, sono musulmani. Io sono cristiano. Comunque, siamo tutti centrafricani. Durante la crisi, dei genitori si sono impoveriti e ora non hanno i mezzi per mandare i loro figli a scuola. Il nostro Dio è un Dio che si occupa degli orfani, degli abbandonati. Quindi, anche questi bambini devono poter studiare”.

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro - Mercoledì, 9 Ottobre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 8. «Tutti furono colmati di Spirito Santo». Lo Spirito Santo negli Atti degli Apostoli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa, oggi facciamo riferimento al Libro degli Atti degli Apostoli.

Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori – il vento fragoroso e le lingue di fuoco –, ma trova la sua conclusione nell’affermazione: «E tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). San Luca – che ha scritto gli Atti degli Apostoli – mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere “colmati di Spirito Santo” è che gli Apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue» e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla (cfr At 2,4ss).

Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa.

Il primo dei due movimenti – l’universalità – lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra “pentecoste”, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani (cfr At 10-11).

A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo – si legge sempre negli Atti degli Apostoli (cfr 16,6-10) – voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, «lo Spirito Santo glielo aveva impedito»; voleva passare in Bitinia «ma lo Spirito di Gesù non lo permise». Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa.

Il secondo movimento dello Spirito Santo – quello che crea l’unità – lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste. Lo fa anche – e nella maggioranza dei casi – con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo. La sua soluzione fu annunciata a tutta la Chiesa con le ben note parole: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...» (At 15,28).

Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: «Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa» [1]. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. È Lui stesso il “vincolo di unità”. È Lui che fa l’unità della Chiesa.

Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere.

Il motivo – per cui è difficile l’unità tra noi – è che ognuno vuole, sì, che si faccia l’unità, ma intorno al proprio punto di vista, senza pensare che l’altro che gli sta davanti pensa esattamente la stessa cosa circa il “suo” punto di vista. Per questa via, l’unità non fa che allontanarsi. L’unità di vita, l’unità di Pentecoste, secondo lo Spirito, si realizza quando ci si sforza di mettere al centro Dio, non sé stessi. Anche l’unità dei cristiani si costruisce così: non aspettando che gli altri ci raggiungano là dove noi siamo, ma muovendoci insieme verso Cristo.

Chiediamo allo Spirito Santo che ci aiuti ad essere strumenti di unità e di pace.

[1] Discorsi, 267, 4

Papa Francesco