Maria Voce commenta sull’Osservatore Romano la visita a sorpresa di papa Francesco alla Mariapoli di Roma il 24 aprile.
«È stata la prima volta di un Papa a una Mariapoli e mi è tornato in mente quanto più volte ascoltato da Chiara Lubich, per descrivere l’effetto che avevano in lei la visita e le parole di un vescovo alle Mariapoli. Vi riconosceva «un peso, un’unzione» che le diversificava da quelle di chiunque altro, anche teologo o santo, e la percezione che con la sua presenza la “città di Maria” raggiungesse il compimento: diventasse “città Chiesa”.
Così è accaduto, nella pienezza, con la visita fuori programma di Papa Francesco al Villaggio per la Terra a Villa Borghese, dove, in collaborazione con l’evento di Earth Day Italia, si svolgeva la Mariapoli di Roma che però non si ferma nella capitale. Così ogni Mariapoli che si svolge e si svolgerà nel mondo — e sono centinaia — si sentirà guardata e amata alla stessa maniera.
Quel suo parlare a braccio, mettendo fin dall’inizio da parte i fogli, era come dire: mi avete preso il cuore e devo rispondere a ciò che voi avete detto a me. E le sue parole nette, luminose, non erano solo riconoscimento per l’impegno e l’azione dei tanti che gli hanno parlato, ma avevano il sapore di un programma per il futuro: in esse ritornavano come idea forte il prodigio e la possibilità di trasformare il deserto in foresta.
Mi ha fatto impressione il suo dire con forza che ciò che vale è portare la vita. Non fare programmi e rimanervi ingabbiati, ma andare incontro alla vita così com’è, con il suo disordine e i suoi conflitti, senza paura, affrontando i rischi e cogliendo le opportunità. Per conoscere la realtà col cuore bisogna avvicinarvisi. Avvengono così i miracoli: deserti, i più vari, che si trasformano in foreste. Papa Francesco possiede la forza della parola. Le sue immagini non si cancellano, né dalla mente né dal cuore.
Insieme tra diversi: persone, gruppi, associazioni. Il Pontefice lo ha ripetuto tante volte perché ci tiene e gli dà gioia. Lo spettacolo umano a Villa Borghese è nato da una domanda: perché non realizzare la Mariapoli nel cuore di Roma? Perché non provare a fare un innesto di fraternità, magari piccolo ma concreto, nelle strade della città? Roma — lo sappiamo — piange per le tante ferite e soffre per le molte fragilità, ma vive anche di una ricchezza incredibile: il tanto bene che vi si fa.
Quando il Papa ha indetto l’anno della Misericordia abbiamo pensato alle tantissime associazioni che operano nella città, con o senza riferimento religioso, ma che “fanno misericordia”. Quasi un caso l’incontro con Earth Day, che si occupa della tutela del creato e lavora per quell’ecologia integrale cara a Francesco. Un percorso e un lavoro appassionanti, fuori dai propri schemi, su strade anche impensate. Non senza difficoltà, certo, perché non ci si conosceva e perché si è diversi.
Ma la diversità è ricchezza, come l’incontro con oltre cento associazioni: sono così nate sinergie e si sono costruiti ponti. Anche con realtà piccolissime: «Ma la mia associazione va avanti con la mia pensione, non abbiamo né loghi né cose del genere» ci ha detto un nuovo amico. E la Mariapoli ha voluto dare testimonianza del bene che anche lui fa. Sono così emerse le tante città sotterranee virtuose che Roma contiene.
Un bene che si moltiplicherà e una rete che sembra dare ragione all’intuizione che Chiara Lubich scrisse nel 1949 incontrando Roma e amandola: “molti occhi s’illuminerebbero della sua Luce: segno tangibile che Egli vi regna (…) a risuscitare i cristiani e a fare di quest’epoca, fredda perché atea, l’epoca del Fuoco, l’epoca di Dio (…) Non è solo un fatto religioso (…) È questo separarlo dalla vita intera dell’uomo una pratica eresia dei tempi presenti, e un asservire l’uomo a qualcosa che è meno di lui e relegare Dio, che è Padre, lontano dai figli”».
Di Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari
Visita a sorpresa del Papa a Villa Borghese (Roma), dove dal 22 al 25 si svolge il "Villaggio della terra", promosso dal Movimento dei Focolari romano e da Earth Day Italia.
Foto: P. Gábor
“Trasformate i deserti in foreste, i deserti di morte in foreste di vita”. Lo ha affermato Papa Francesco accantonando il testo preparato per l’occasione e suscitando l’entusiasmo e la commozione delle migliaia di persone che, nel pomeriggio di domenica 24 aprile, hanno visto l’auto con a bordo il Santo Padre fare ingresso a sorpresa nel “Villaggio per la Terra”, la manifestazione organizzata da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari di Roma nel cuore verde della Capitale: il Galoppatoio di Villa Borghese.
Il Papa si è presentato inatteso salutato con affetto da famiglie, giovani e persone di tutte le età che da venerdì 22 aprile partecipano agli eventi ospitati nel Villaggio, incentrati sui temi della tutela del Pianeta, della Legalità, del Dialogo Interreligioso e della Solidarietà.
Donato Falmi e Antonia Testa, responsabili del Movimento dei Focolari di Roma, assieme a Pierluigi Sassi, presidente di Earth Day Italia hanno accolto il Santo Padre sul palco del Villaggio e illustrato lo spirito dell’iniziativa. Falmi ha introdotto il Papa nell’esperienza della Mariapoli 2016, dal titolo “Vivere insieme la Città”, sottolineando in particolare tre parole-guida, spesso ripetute da Francesco, e adottate con spunto di ispirazione dal Villaggio: “misericordia”, “tenerezza”, “diversità come ricchezza”. Antonia Testa, invece, ha illustrato la collaborazione instaurata dal Movimento dei Focolari con Earth Day Italia e spiegato come in particolare il programma della Mariapoli abbia voluto lanciare uno sguardo su Roma, sulle sue povertà ma soprattutto sul “tanto bene” che in modo silenzioso ma incisivo viene operato quotidianamente nel suo tessuto sociale.
Foto: Thomas Klann
Il Presidente di Earth Day Italia Pierluigi Sassi ha quindi spiegato a Papa Francesco come la strada per arrivare a questo Villaggio sia partita proprio dalla Laudato si’ e dalla “Marcia per la Terra” che l’associazione aveva organizzato coinvolgendo oltre 130 realtà in vista della firma degli Accordi sul Clima, COP21.
Papa Francesco ha ascoltato intense testimonianze di partecipanti alla Mariapoli – alcuni “spaccati” di solidarietà vissuti nel mondo del carcere e con gli immigrati; iniziative dei giovani in favore del disarmo, sul valore della legalità e contro il gioco d’azzardo. Pierluigi Sassi ha concluso sottolineando il significato della partita di calcio che si giocherà lunedì al Villaggio tra la Liberi Nantes – la squadra di calcio interamente formata dai richiedenti asilo e rifugiati politici – e la rappresentativa degli studenti universitari della LUISS.
“Non abbiate paura del conflitto che ha in sé rischio ed opportunità –ha detto Francesco –. Conoscere è un rischio per me e per la persona a cui mi avvicino. Ma mai, mai, mai girarsi per non vedere. Avvicinarsi all’altro, prenderlo per mano, andare ad asciugare tante lacrime… così dal deserto nasce il sorriso”.“Vi do un compito da fare a casa – ha concluso il Papa –. Quando andate per strada vedete che manca la tenerezza. Ognuno è chiuso in se stesso. Manca l’amicizia. Al centro del mondo oggi c’è il dio denaro, ma la parola chiave è ‘gratuità’ per far sì che questo deserto diventi foresta. Come si fa questo? Sempre nella consapevolezza che tutti abbiamo da farci perdonare… Lavorare insieme, rispettarci, così avviene il miracolo del deserto che diviene foresta. Grazie per tutto quello che fate”.
Prima del saluto finale, un ragazzo ha donato a Francesco il “Dado della terra”, un cubo che insegna ai giovani come un gioco i principi della difesa del Creato.
Sentendovi parlare, mi sono venute alla mente due immagini: il deserto e la foresta. Ho pensato: questa gente, tutti voi, prendono il deserto per trasformarlo in foresta. Vanno dove c’è il deserto, dove non c’è speranza, e fanno cose che fanno diventare foresta questo deserto. La foresta è piena di alberi, è piena di verde, ma troppo disordinata… ma così è la vita! E passare dal deserto alla foresta è un bel lavoro che voi fate. Voi trasformate deserti in foreste! E poi si vedrà come si possono regolare certe cose della foresta… Ma lì c’è vita, qui no: nel deserto c’è morte.
Tanti deserti nelle città, tanti deserti nella vita delle persone che non hanno futuro, perché sempre c’è – e sottolineo una parola detta qui – sempre ci sono i pregiudizi, le paure. E questa gente deve vivere e morire nel deserto, nella città. Voi fate il miracolo con il vostro lavoro di cambiare il deserto in foreste: andate avanti così. Ma com’è il vostro piano di lavoro? Non so… Noi ci avviciniamo e vediamo cosa possiamo fare. E questa è vita! Perché la vita la si deve prendere come viene. È come il portiere nel calcio: prendere il pallone da dove lo buttano… viene di qua, di là... Ma non bisogna avere paura della vita, non avere paura dei conflitti. Una volta qualcuno mi ha detto - non so se è vero, se qualcuno vuole può verificare, io non ho verificato - che le parola conflitto nella lingua cinese è fatta da due segni: un segno che dice “rischio”, e un altro segno che dice “opportunità”. Il conflitto, è vero, è un rischio ma è anche una opportunità.
Il conflitto possiamo prenderlo come una cosa da cui allontanarsi: “No, lì c’è un conflitto, io sto lontano”. Noi cristiani conosciamo bene cosa ha fatto il levita, cosa ha fatto il sacerdote, con il povero uomo caduto sulla strada. Hanno fatto una strada per non vedere, per non avvicinarsi (cfr Lc 10,30-37). Chi non rischia, mai si può avvicinare alla realtà: per conoscere la realtà, ma anche per conoscerla col cuore, è necessario avvicinarsi. E avvicinarsi è un rischio, ma anche un’opportunità: per me e per la persona alla quale mi avvicino. Per me e per la comunità alla quale mi avvicino. Penso alle testimonianze che avete dato, per esempio nel carcere, con tutto il vostro lavoro. Il conflitto: mai, mai, mai girarsi per non vedere il conflitto. I conflitti si devono assumere, i mali si devono assumere per risolverli.
Il deserto è brutto, sia quello che è nel cuore di tutti noi, sia quello che è nella città, nelle periferie, è una cosa brutta. Anche il deserto che c’è nei quartieri protetti… È brutto, lì anche c’è il deserto. Ma non dobbiamo avere paura di andare nel deserto per trasformarlo in foresta; c’è vita esuberante, e si può andare ad asciugare tante lacrime perché tutti possano sorridere.
Mi fa pensare tanto quel salmo del popolo d’Israele, quando era in prigionia in Babilonia, e dicevano: “Non possiamo cantare i nostri canti, perché siamo in terra straniera”. Avevano gli strumenti, lì con sé, ma non avevano gioia perché erano ostaggi in terra straniera. Ma quando sono stati liberati, dice il Salmo, “non potevamo crederci, la nostra bocca si è riempita di sorriso” (cfr Sal 137). E così in questo transito dal deserto alla foresta, alla vita, c’è il sorriso.
Vi dò un compito da fare “a casa”: guardate un giorno la faccia delle persone quando andate per la strada: sono preoccupati, ognuno è chiuso in sé stesso, manca il sorriso, manca la tenerezza, in altre parole l’amicizia sociale, ci manca questa amicizia sociale. Dove non c’è l’amicizia sociale sempre c’è l’odio, la guerra. Noi stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi”, dappertutto. Guardate la carta geografica del mondo e vedrete questo. Invece l’amicizia sociale, tante volte si deve fare con il perdono – la prima parola – col perdono. Tante volte si fa con l’avvicinarsi: io mi avvicino a quel problema, a quel conflitto, a quella difficoltà, come abbiamo sentito che fanno questi ragazzi e ragazze coraggiosi nei posti dove si gioca d’azzardo e tanta gente perde tutto lì, tutto, tutto. A Buenos Aires ho visto donne anziane che andavano in banca a prendere la pensione e poi subito al casinò, subito! Avvicinarsi al posto del conflitto. E questi [ragazzi] vanno, si avvicinano. Avvicinarsi…
E c’è anche un’altra cosa che ha a che fare col gioco, con lo sport e anche con l’arte: è la gratuità. L’amicizia sociale si fa nella gratuità, e questa saggezza della gratuità si impara, si impara: col gioco, con lo sport, con l’arte, con la gioia di stare insieme, con l’avvicinarsi... È una parola, gratuità, da non dimenticare in questo mondo, dove sembra che se tu non paghi non puoi vivere, dove la persona, l’uomo e la donna, che Dio ha creato proprio al centro del mondo, per essere pure al centro dell’economia, sono stati cacciati via e al centro abbiamo un bel dio, il dio denaro. Oggi al centro del mondo c’è il dio denaro e quelli che possono avvicinarsi ad adorare questo dio si avvicinano, e quelli che non possono finiscono nella fame, nelle malattie, nello sfruttamento… Pensate allo sfruttamento dei bambini, dei giovani.
Gratuità: è la parola-chiave. Gratuità che fa sì che io dia la mia vita così com’è, per andare con gli altri e fare che questo deserto diventi foresta. Gratuità, questa è una cosa bella!
E perdono, anche, perdonare. Perché, col perdono, il rancore, il risentimento si allontana. E poi costruire sempre, non distruggere, costruire.
Ecco, queste sono le cose che mi vengono in mente. E come si fa questo? Semplicemente nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa in comune, tutti siamo umani. E in questa umanità ci avviciniamo per lavorare insieme. “Ma io sono di questa religione, di quella…” Non importa! Avanti tutti per lavorare insieme. Rispettarsi, rispettarsi! E così vedremo questo miracolo: il miracolo di un deserto che diventa foresta.
«È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo» (S. Agostino, Discorso 271, 1). E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,1-11).
Come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura, lo Spirito opera qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Essi, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un’intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare l’intima esperienza della presenza del Risorto: lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le catene interiori, lenisce le ferite, li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio.
Il brano degli Atti degli Apostoli ci dice che a Gerusalemme, in quel momento, c’era una moltitudine di svariate provenienze, eppure, «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6). Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere. Come afferma Benedetto XVI: «Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele – la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri – e apre le frontiere. […] La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo» (Omelia a Pentecoste, 15 maggio 2005).
Ecco un’immagine eloquente della Pentecoste sulla quale vorrei soffermarmi con voi a meditare.
Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari.
E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale.
Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi. Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio.
Lo Spirito Santo, invece, fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni vere e buone: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti.
Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità.
Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché “ci insegna ogni cosa” e ci “ricorda le parole di Gesù” (cfr Gv 14,26); e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici.
Proprio celebrando la Pentecoste, Papa Francesco osservava che «oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine» (Omelia, 28 maggio 2023). E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta. Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli.
Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace.
Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi.