Testimoni del nostro tempo


Quel legame inscindibile tra San Giovanni Paolo II e la Divina Misericordia

[Fonte: La Voce del Tempo]

Sabato 2 aprile 2005, alle ore 21:37, moriva San Giovanni Paolo II. Quel giorno, proprio come oggi, era la vigilia della Festa della Divina Misericordia, ricorrenza fissata dallo stesso Karol Wojtyla la prima domenica dopo Pasqua, la cosiddetta Domenica in albis.

 

Tutti noi abbiamo ancora vive negli occhi le immagini di quei giorni. Una fra tutte il vento che soffiava fortissimo nella Piazza San Pietro il giorno del funerale. Era l’8 aprile del 2005. L’impeto di quelle potenti raffiche scompigliava le vesti dei 160 cardinali che stavano concelebrando il rito presieduto dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. Lo stesso vento raggelava i potenti. I grandi convenuti da ogni parte della terra: Bill Clinton inginocchiato accanto a Geroge Bush, Tony Blair e il principe Carlo, il presidente francese Chirac, il tedesco Köhler… tutti assistevano silenziosi, quasi smarriti. Erano presenti delegazioni di 172 paesi del mondo, oltre ad una folla sterminata di fedeli. Si calcola che dalla sera della morte al giorno delle esequie almeno 3, forse addirittura 5 milioni di pellegrini, abbiano reso omaggio alla salma di San Giovanni Paolo II.

 

Quel vento, che imperversava prepotente sulla piazza, d’un tratto si fece gentile. Si trasformò in brezza e sembrò quasi voler accarezzare un’ultima volta il Pontefice soffermandosi a sfogliare, una ad una, le pagine del Vangelo che era stato posto sulla bara chiara. Un ricordo indelebile. Una sensazione indescrivibile.

 

Quello stesso vento sostenuto trasportava il potente grido dei fedeli: “Santo subito!”. “Giovanni Paolo, Giovanni Paolo!”. L’iter fu notevolmente abbreviato. Il 28 aprile Papa Benedetto XVI concesse la dispensa che permise l’apertura anticipata della Causa di Beatificazione. La Cerimonia si svolse il 1 maggio del 2011, domenica della Divina Misericordia. E il 27 aprile 2014, festa della Divina Misericordia, Giovanni Paolo II fu canonizzato insieme a Giovanni XXIII.

 

Quattro Papi nella stessa piazza. Due Santi, uno regnante, Francesco, ed uno emerito Benedetto XVI. Oltre due miliardi di spettatori a seguire l’evento in mondovisione.

 

Non solo coincidenze

 

San Giovanni Paolo II morì ai primi Vespri della Festa della Divina Misericordia. Il Papa che tanto aveva parlato della Misericordia di Dio, e che ne aveva istituito la Festa, veniva prima beatificato e poi canonizzato nella domenica della Divina Misericordia. Quest’anno, nel Giubileo della Divina Misericordia, San Giovanni Paolo II e Suor Faustina Kowalska saranno i patroni della G.M.G. di Cracovia. Non si tratta solo di coincidenze. La Divina Misericordia è strettamente collegata a tutta la vita di Karol Wojtyla.

 

La traduzione del diario di suor Faustina

 

Al tempo del Concilio Vaticano II, fu proprio il giovane vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, allora quarantenne, a consegnare al Cardinale Ottaviani una nuova traduzione del diario di Suor Faustina. Questo permise di sbloccare il veto del Santo Uffizio e consentì di avviare la procedura di beatificazione della mistica polacca che fu poi canonizzata dallo stesso Giovanni Paolo II il 30 aprile del 2000.

 

Il “bisogno” della Misericordia di Dio

 

“Quanto bisogno della Misericordia di Dio ha il mondo di oggi! In tutti i continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l’invocazione alla Misericordia.” Queste parole sono state pronunciate quattordici anni fa da San Giovanni Paolo II, che aggiunse: “non esiste per l’uomo altra fonte di speranza al di fuori della Misericordia di Dio” (San Giovanni Paolo II, Dedicazione del Santuario della Divina Misericordia di Kraków-Lagiewniki 17 agosto 2002).

 

In questo tempo difficile, tra fantasmi di guerre e attentati terroristici, è più che mai vivo il pensiero di Karol Wojtyla: “Dove dominano l’odio e la sete di vendetta, dove la guerra porta il dolore e la morte degli innocenti occorre la grazia della Misericordia a placare le menti e i cuori, e a far scaturire la pace. Dove viene meno il rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, occorre l’amore misericordioso di Dio, alla cui luce si manifesta l’inesprimibile valore di ogni essere umano. Occorre la Misericordia per far sì che ogni ingiustizia nel mondo trovi il suo termine nello splendore della verità”.

 

Il culto della Divina Misericordia, nato alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, uno dei periodi più bui della storia dell’uomo, si ripropone oggi più che mai come tavola di salvezza.

 

Il “secondo nome” dell’amore

 

Un “secondo nome” dell’amore. Così San Giovanni Paolo II definì la Misericordia di Dio nella sua Enciclica “Dives in Misericordia” del 1980: “Credere nel Figlio crocifisso significa «vedere il Padre», significa credere che l’amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l’uomo, che si insinua anche nel suo cuore e può farlo «perire nella Geenna»”.

 



 

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Messaggio Cristiano
GIUBILEO DEI MOVIMENTI, DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE NUOVE COMUNITÀ

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Piazza San Pietro
Domenica, 8 giugno 2025

Fratelli e sorelle,

«È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo» (S. Agostino, Discorso 271, 1). E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,1-11).

Come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura, lo Spirito opera qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Essi, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un’intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare l’intima esperienza della presenza del Risorto: lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le catene interiori, lenisce le ferite, li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio.

Il brano degli Atti degli Apostoli ci dice che a Gerusalemme, in quel momento, c’era una moltitudine di svariate provenienze, eppure, «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6). Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere. Come afferma Benedetto XVI: «Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele – la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri – e apre le frontiere. […] La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo» (Omelia a Pentecoste, 15 maggio 2005).

Ecco un’immagine eloquente della Pentecoste sulla quale vorrei soffermarmi con voi a meditare.

Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari.

E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale.

Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi. Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio.

Lo Spirito Santo, invece, fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni vere e buone: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti.

Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità.

Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché “ci insegna ogni cosa” e ci “ricorda le parole di Gesù” (cfr Gv 14,26); e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici.

Proprio celebrando la Pentecoste, Papa Francesco osservava che «oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine» (Omelia, 28 maggio 2023). E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta. Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli.

Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace.

Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi.

LEONE XIV