Giovedì 26 Dicembre 2024

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A tutto campo


In piazza, gridiamo vita!

Tre lettere piene di parole e gesti cristiani.

A Marco Tarquinio, direttore dell’”AVVENIRE”, sabato 27 luglio 2019

 
Caro direttore,
 
                           ancora morti inghiottiti dal Mediterraneo. Tanti, troppi! Ancora e soltanto finte polemiche per le finte iniziative della politica europea e mondiale in tema di migrazioni, di rifugiati e richiedenti asilo, di semplici persone in grave stato di sofferenza, che provano a fuggire dai loro inferni e da quelli che altri hanno attrezzato per loro! E all’origine ci sono sempre le guerre, alimentate dagli interessi e dall’avidità di gruppi di potere che considerano l’umanità alla stregua di un sottoprodotto scadente, ingombrante, da usare e poi gettare. Perché valgono molto di più le risorse naturali che le terre hanno nella pancia, e anche quelle che si ottengono colonizzando vastissime superfici da coltivare. La «terza guerra mondiale a pezzi» di cui parla papa Francesco è il risultato di questo assalto alla dignità dell’uomo e alla sua persona, una rapina violenta che si consuma ogni giorno sotto i nostri occhi, che ormai non vedono più – se mai hanno visto – perché non vogliono ammettere una tragica realtà rimossa persino dalle coscienze.
 
 
Ma non ci sarà pace finché non capiremo cos’è il rispetto e l’amore al prossimo, ma anche alla natura che ci accoglie e ci nutre, senza chiedere nulla in cambio che non sia la propria salvaguardia. Non ci sarà pace finché continueremo a costruire e vendere armi, a erigere muri e reticolati, barriere fisiche e morali, schiavizzare le persone. Potremo ancora salvarci solo se riscopriremo in tempo il valore dell’umanità, ovvero di quel bene che ognuno custodisce in sé ma che troppo spesso non vuol condividere con nessuno. Che anzi vorrebbe sottrarre agli altri, come potesse assicurare potenza e immortalità, anziché dannazione certa!
 

Intendiamo chiedere perdono ai tanti morti “di turno”. Da soli, sappiamo di non poter riuscire a influenzare i responsabili morali di queste tragedie quotidiane. Ecco perché abbiamo scritto questa lettera, che si aggiunge alla voce delle sorelle clarisse e carmelitane scalze che sta raccogliendo parecchie adesioni: possiamo solo sperare che alla nostra indignazione si sommi quella di tante altre organizzazioni e persone che continuano a credere nell’umanità. Possiamo sperare di unire le nostre forze e fare pressione su chi decide dei nostri destini, pregarli energicamente di cambiare politica, fino a costringerli a operare per la pace e il rispetto di tutti gli esseri umani e del creato che ci ospita.
 
Antonio Cianfico
Presidente della Federazione Nazionale della Società di San Vincenzo de’ Paoli
 


Caro direttore,
 
                         nella settimana che ci siamo lasciati alla spalle, mentre alla Camera si votava il cosiddetto "Decreto sicurezza bis" in mare morivano centinaia di persone la cui sorte oramai non interessa più a nessuno. Persone sacrificate sull’altare della propaganda e dell’egoismo, pericolose per il solo fatto di esistere e per il tentativo disperato di sopravvivere. Tutto ciò genera un dolore e una rabbia immensi che aumentano con la sempre più chiara consapevolezza che anche chi cerca di arginare questa deriva vergognosa – salvaguardando quel minimo e purtroppo non sufficiente slancio di umanità – viene criminalizzato e costretto a pagare di persona per le proprie scelte di giustizia e di solidarietà.
 
 
Lo vogliamo ribadire con forza: è giusto salvare vite umane ed è giusto disobbedire a tutte quelle leggi che vanno contro ogni individuo, ai suoi diritti, alla sua vita; questa vergogna deve finire! Non dobbiamo più sacrificare alcuna persona e alcuna vita sull’altare della nostra ipocrisia e del nostro egoismo. Facciamo appello a tutte le realtà, alle associazioni, ai cittadini, alle forze politiche affinché si oppongano con noi in maniera decisa e contrastino con tutti i mezzi le prossime fasi dei cosiddetti “Decreti sicurezza”, mettendoci la faccia con decisione, senza posizioni pilatesche o furbe.
 
 
Venerdì scorso, 26 luglio, come Emmaus Italia abbiamo versato altri 25.400 euro raccolti dal nostro movimento e dalle nostre comunità in favore di Mediterranea; allo stesso tempo auspichiamo l’urgente ritorno in mare della nave Mare Jonio, e perciò sosterremo tutte le altre navi che sono già presenti nel Mediterraneo (come la Sos Méditerranée o quelle che aderiranno all’appello delle istituzioni umanitarie internazionali per il salvataggio di ogni persona in mare). Non ci sentiamo per questo criminali. Piuttosto consideriamo tali quanti, con vergognosa ignominia e con la scusa di aumentare la nostra sicurezza, colpiscono i più poveri e i più deboli con atti di vigliaccheria e arroganza disumana, del tutto contrarie ai messaggi evangelici che pure vengono sbandierati a ogni occasione. Dobbiamo interrompere questa deriva e combattere con decisione le vere cause di miseria e di sofferenza. Lottiamo ed esponiamoci insieme. Dopo sarà troppo tardi.
 
Franco Monnicchi
Presidente di Emmaus Italia
 
 
 
Caro direttore,
 
                         le scriviamo a proposito della lettera aperta che 62 monasteri femminili di vita contemplativa hanno indirizzato al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio e che il suo giornale ha pubblicato lo scorso 13 luglio 2019. In essa, come sa, si esprime «preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti dei migranti e rifugiati che cercano nelle nostre terre accoglienza e protezione». La Fondazione Giorgio La Pira, che ha il fine istituzionale di conservare e diffondere il messaggio e la testimonianza del Professore, vuole sottolineare la grande importanza di questo documento, espressione dell’anima autentica e profonda della Chiesa, che richiama la coscienza di ogni cristiano di fronte a un problema di estrema urgenza per la nostra società.
 
 
           La Pira, infatti, volle sempre fondare il proprio impegno di intellettuale, di amministratore e di operatore di pace sul contatto continuo con la meditazione e la preghiera delle suore, a cui proponeva – con una fitta corrispondenza – i temi più pressanti della pace e della convivenza umana, nel quadro di una vera e propria “teologia della storia”. La Pira asseriva – di fronte ai suoi interlocutori più autorevoli e potenti che ne rimanevano, come lui diceva, esterrefatti – di poter contare sul sostegno e la forza di migliaia di oranti in trecento monasteri di clausura: da lui considerati appunto «le forze più misteriose e soprannaturali della Chiesa e della storia».
 
 
          Il tema è stato ripreso, di recente, da papa Francesco, il quale con la Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere del 2016, ha indicato la vocazione delle contemplative «come “fari” che illuminano il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo». Anche il Papa richiede il loro sostegno per quanto operano nel mondo: «Non privateci di questa vostra partecipazione alla costruzione di un mondo più umano e quindi anche più evangelico». La Fondazione, pertanto, ritiene necessario invitare ogni cristiano a non sottrarsi a questo provvidenziale appello, che non è limitato a coloro che hanno fatto una scelta di vita particolare, ma riguarda il messaggio che Cristo ha portato nel mondo: e quindi a considerare dovere di tutti quello di ricercare nei ripetuti richiami evangelici alla solidarietà e all’accoglienza la spinta per un impegno concreto non solo nelle strutture ecclesiali, ma anche di fronte alle istituzioni del nostro Paese
 
Fondazione La Pira, Firenze

 

 

12 Luglio 2019

E’ come missionario che lancio questo appello contro il Decreto Sicurezza-bis. Sono vissuto per dodici anni dentro la baraccopoli di Korogocho, a Nairobi, e ho sperimentato nel mio corpo l’immensa sofferenza dei baraccati (oggi sono duecento milioni nella sola Africa!). Siamo passati dall’apartheid politica a quella economica: l’1% della popolazione mondiale ha tanto quanto il 99% .

 

E’ questa una delle ragioni fondamentali per le migrazioni, insieme alle guerre e ai cambiamenti climatici. Per questo, come missionario, denuncio il cinismo con cui il governo giallo-verde respinge i “naufraghi dello sviluppo”. Non avrei mai pensato che un governo italiano avrebbe potuto regalarci un boccone avvelenato come il Decreto Sicurezza-bis , che il 15 luglio verrà presentato in parlamento per essere trasformato in legge. Un Decreto le cui clausole violano i principi fondamentali della nostra Costituzione, del diritto e dell’etica.

 

E’ proprio l’etica ad essere colpita a morte perché questo Decreto dichiara reato salvare vite umane in mare. Ne abbiamo subito visti i vergognosi risultati con la Sea Watch 3 con la capitana Carola Rackete e con il veliero Alex di Mediterranea! E in commissione Affari costituzionali e Giustizia, la Lega e i Cinque Stelle hanno ulteriormente peggiorato quel testo con nuovi giri di vite contro i migranti. Infatti, il Decreto rimaneggiato prevede lo schieramento delle navi della Marina e della Guardia di Finanza in difesa del confine delle acque territoriali; l’impiego massiccio di radar e monitoraggi con mezzi aerei e navali sulle coste africane per intercettare le partenze di migranti e segnalarle alle autorità libiche perché li riportino nei lager; il regalo di altre dieci motovedette al governo di Tripoli per riportare i rifugiati nell’inferno libico; infine, un incremento delle multe fino a un milione di euro a navi salva-vite in mare, con l’arresto del comandante e il sequestro dell’imbarcazione.

 

Nessun accenno al fatto che in Libia è in atto una spaventosa guerra e che Tripoli non è “un porto sicuro”! Questo Decreto Sicurezza-bis è un obbrobrio giuridico ed etico che viola i dettami costituzionali ed è uno schiaffo al Vangelo. «Sono poliche criminali - afferma giustamente Luigi Ferrajoli (giurista e filosofo del diritto, allievo di Norberto Bobbio, ndr) - che provocano ogni giorno decine di migliaia di morti, oltre all’apartheid mondiale di due miliardi di persone. Verrà un giorno in cui questi atti saranno ricordati come crimini e non potremo dire che non sapevamo, perché sappiamo tutto!».

 

Trovo vergognoso che i Cinque Stelle si siano allineati e sostengano le posizioni leghiste. Per questo mi appello a quei parlamentari grillini che non condividono le posizioni razziste e criminali della Lega a disobbedire, come hanno fatto la storica attivista del Meet-up di Napoli, Paola Nugnes, e il comandante Gregorio De Falco. Non si può barare su vite umane, nello specifico vite dei poveri! E’ l’ora delle decisioni: se stare dalla parte della vita o della morte. Ma questo vale per ogni cittadino perché è in ballo la nostra democrazia e i suoi valori fondamentali (uguaglianza, solidarietà…), ma vale anche per ogni cristiano perché è in ballo il cuore del Vangelo.

 

Per questo uniamoci a “Restiamo Umani” che ha indetto un presidio davanti a Montecitorio, il 15 luglio alle ore 16, per dire no a questo Decreto criminale. Noi ci saremo come “Digiuno di giustizia in solidarietà con i migranti”, gruppo che da un anno, ogni primo mercoledì del mese, digiuna davanti al parlamento contro le politiche migratorie del governo giallo-verde. Anche quel giorno digiuneremo.

 

Chiedo a tutte le forze sindacali (Cgil, Cisl e Uil), a tutto l’associazionismo laico, alle reti, ai comitati di resistenza, di scendere in piazza. Ma soprattutto mi appello all’associazionismo cattolico (Azione cattolica, Caritas, Migrantes, Focolarini, Acli, Focsiv…) perché si unisca alle forze laiche per dire no all’imbarbarimento della nostra società.

 

Mi appello ai missionari italiani che hanno toccato con mano la sofferenza di quest’Africa crocifissa, perché alzino la voce e scendano in piazza contro leggi razziste e disumane.

 

Chiedo soprattutto ai nostri vescovi di prendere posizione contro questo Decreto che nega radicalmente l’etica della compassione e della misericordia, e di proporre alle parrocchie giornate di digiuno e di preghiera.

 

Uniamoci, credenti e laici, per difendere quei valori fondamentali negati da questo Decreto che, criminalizzando la solidarietà, disumanizza i migranti e tutti noi.
Restiamo umani e resistiamo!

Alex Zanotelli

Missionario Comboniano

 

 

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sala Clementina, Lunedì, 25 giugno 2018
 

 Illustri Signori e Signore,

sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, a partire dal Presidente, l’Arcivescovo Vincenzo Paglia, che ringrazio per avermi presentato questa Assemblea Generale, nella quale il tema della vita umana verrà situato nell’ampio contesto del mondo globalizzato in cui oggi viviamo. E anche, voglio rivolgere un saluto al Cardinale Sgreccia, novantenne ma entusiasta, giovane, nella lotta per la vita. Grazie, Eminenza, per quello che Lei ha fatto in questo campo e per quello che sta facendo. Grazie.

 

La sapienza che deve ispirare il nostro atteggiamento nei confronti dell’“ecologia umana” è sollecitata a considerare la qualità etica e spirituale della vita in tutte le sue fasi. Esiste una vita umana concepita, una vita in gestazione, una vita venuta alla luce, una vita bambina, una vita adolescente, una vita adulta, una vita invecchiata e consumata – ed esiste la vita eterna. Esiste una vita che è famiglia e comunità, una vita che è invocazione e speranza. Come anche esiste la vita umana fragile e malata, la vita ferita, offesa, avvilita, emarginata, scartata. È sempre vita umana. È la vita delle persone umane, che abitano la terra creata da Dio e condividono la casa comune a tutte le creature viventi. Certamente nei laboratori di biologia si studia la vita con gli strumenti che consentono di esplorarne gli aspetti fisici, chimici e meccanici. Uno studio importantissimo e imprescindibile, ma che va integrato con una prospettiva più ampia e più profonda, che chiede attenzione alla vita propriamente umana, che irrompe sulla scena del mondo con il prodigio della parola e del pensiero, degli affetti e dello spirito. Quale riconoscimento riceve oggi la sapienza umana della vita dalle scienze della natura? E quale cultura politica ispira la promozione e la protezione della vita umana reale? Il lavoro “bello” della vita è la generazione di una persona nuova, l’educazione delle sue qualità spirituali e creative, l’iniziazione all’amore della famiglia e della comunità, la cura delle sue vulnerabilità e delle sue ferite; come pure l’iniziazione alla vita di figli di Dio, in Gesù Cristo.

 

Quando consegniamo i bambini alla privazione, i poveri alla fame, i perseguitati alla guerra, i vecchi all’abbandono, non facciamo noi stessi, invece, il lavoro “sporco” della morte? Da dove viene, infatti, il lavoro sporco della morte? Viene dal peccato. Il male cerca di persuaderci che la morte è la fine di ogni cosa, che siamo venuti al mondo per caso e siamo destinati a finire nel niente. Escludendo l’altro dal nostro orizzonte, la vita si ripiega su di sé e diventa bene di consumo. Narciso, il personaggio della mitologia antica, che ama sé stesso e ignora il bene degli altri, è ingenuo e non se ne rende neppure conto. Intanto, però, diffonde un virus spirituale assai contagioso, che ci condanna a diventare uomini-specchio e donne-specchio, che vedono soltanto sé stessi e niente altro. È come diventare ciechi alla vita e alla sua dinamica, in quanto dono ricevuto da altri e che chiede di essere posto responsabilmente in circolazione per altri.

 

La visione globale della bioetica, che voi vi apprestate a rilanciare sul campo dell’etica sociale e dell’umanesimo planetario, forti dell’ispirazione cristiana, si impegnerà con più serietà e rigore a disinnescare la complicità con il lavoro sporco della morte, sostenuto dal peccato. Ci potrà così restituire alle ragioni e alle pratiche dell’alleanza con la grazia destinata da Dio alla vita di ognuno di noi. Questa bioetica non si muoverà a partire dalla malattia e dalla morte per decidere il senso della vita e definire il valore della persona. Muoverà piuttosto dalla profonda convinzione dell’irrevocabile dignità della persona umana, così come Dio la ama, dignità di ogni persona, in ogni fase e condizione della sua esistenza, nella ricerca delle forme dell’amore e della cura che devono essere rivolte alla sua vulnerabilità e alla sua fragilità.

 

Dunque, in primo luogo, questa bioetica globale sarà una specifica modalità per sviluppare la prospettiva dell’ecologia integrale che è propria dell’Enciclica Laudato si’, in cui ho insistito su questi punti-forti: «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo para­digma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di inten­dere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave re­sponsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita» (n. 16).

 

In secondo luogo, in una visione olistica della persona, si tratta di articolare con sempre maggiore chiarezza tutti i collegamenti e le differenze concrete in cui abita l’universale condizione umana e che ci coinvolgono a partire dal nostro corpo. Infatti «il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accet­tare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul pro­prio corpo si trasforma in una logica a volte sotti­le di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia uma­na. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé» (Laudato si’, 155).

 

Occorre quindi procedere in un accurato discernimento delle complesse differenze fondamentali della vita umana: dell’uomo e della donna, della paternità e della maternità, della filiazione e della fraternità, della socialità e anche di tutte le diverse età della vita. Come pure di tutte le condizioni difficili e di tutti i passaggi delicati o pericolosi che esigono speciale sapienza etica e coraggiosa resistenza morale: la sessualità e la generazione, la malattia e la vecchiaia, l’insufficienza e la disabilità, la deprivazione e l’esclusione, la violenza e la guerra. «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 101).

 

Nei testi e negli insegnamenti della formazione cristiana ed ecclesiastica, questi temi dell’etica della vita umana dovranno trovare adeguata collocazione nell’ambito di una antropologia globale, e non essere confinati tra le questioni-limite della morale e del diritto. Una conversione all’odierna centralità dell’ecologia umana integrale, ossia di una comprensione armonica e complessiva della condizione umana, mi auguro trovi nel vostro impegno intellettuale, civile e religioso, valido sostegno e intonazione propositiva.

 

La bioetica globale ci sollecita dunque alla saggezza di un profondo e oggettivo discernimento del valore della vita personale e comunitaria, che deve essere custodito e promosso anche nelle condizioni più difficili. Dobbiamo peraltro affermare con forza che, senza l’adeguato sostegno di una prossimità umana responsabile, nessuna regolazione puramente giuridica e nessun ausilio tecnico potranno, da soli, garantire condizioni e contesti relazionali corrispondenti alla dignità della persona. La prospettiva di una globalizzazione che, lasciata solamente alla sua dinamica spontanea, tende ad accrescere e approfondire le diseguaglianze, sollecita una risposta etica a favore della giustizia. L’attenzione ai fattori sociali ed economici, culturali e ambientali che determinano la salute rientra in questo impegno, e diventa modalità concreta di realizzare il diritto di ogni popolo «alla partecipazione, sulla base dell’uguaglianza e della solidarietà, al godimento dei beni che sono destinati a tutti gli uomini» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 21).

 

La cultura della vita, infine, deve rivolgere più seriamente lo sguardo alla “questione seria” della sua destinazione ultima. Si tratta di mettere in luce con maggiore chiarezza ciò che orienta l’esistenza dell’uomo verso un orizzonte che lo sorpassa: ogni persona è gratuitamente chiamata «alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. […] La Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell’attuazione di essi» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 21). Occorre interrogarsi più a fondo sulla destinazione ultima della vita, capace di restituire dignità e senso al mistero dei suoi affetti più profondi e più sacri. La vita dell’uomo, bella da incantare e fragile da morire, rimanda oltre sé stessa: noi siamo infinitamente di più di quello che possiamo fare per noi stessi. La vita dell’uomo, però, è anche incredibilmente tenace, di certo per una misteriosa grazia che viene dall’alto, nell’audacia della sua invocazione di una giustizia e di una vittoria definitiva dell’amore. Ed è persino capace – speranza contro ogni speranza – di sacrificarsi per essa, fino alla fine. Riconoscere e apprezzare questa fedeltà e questa dedizione alla vita suscita in noi gratitudine e responsabilità, e ci incoraggia ad offrire generosamente il nostro sapere e la nostra esperienza all’intera comunità umana. La sapienza cristiana deve riaprire con passione e audacia il pensiero della destinazione del genere umano alla vita di Dio, che ha promesso di aprire all’amore della vita, oltre la morte, l’orizzonte infinito di amorevoli corpi di luce, senza più lacrime. E di stupirli eternamente con il sempre nuovo incanto di tutte le cose “visibili e invisibili” che sono nascoste nel grembo del Creatore. Grazie.



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 18 Dicembre 2024

Ciclo – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 1. Genealogia di Gesù (Mt 1,1-17). L’ingresso del Figlio di Dio nella storia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi iniziamo il ciclo di catechesi che si svolgerà lungo tutto l’Anno giubilare. Il tema è “Gesù Cristo nostra speranza”: è Lui, infatti, la meta del nostro pellegrinaggio, e Lui stesso è la via, il cammino da percorrere.

La prima parte tratterà l’infanzia di Gesù, che ci viene narrata dagli Evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 1–2; Lc 1–2). I Vangeli dell’infanzia raccontano il concepimento verginale di Gesù e la sua nascita dal grembo di Maria; richiamano le profezie messianiche che in Lui si compiono e parlano della paternità legale di Giuseppe, che innesta il Figlio di Dio sul “tronco” della dinastia davidica. Ci è presentato Gesù neonato, bambino e adolescente, sottomesso ai suoi genitori e, nello stesso tempo, consapevole di essere tutto dedito al Padre e al suo Regno. La differenza tra i due Evangelisti è che mentre Luca racconta gli eventi con gli occhi di Maria, Matteo lo fa con quelli di Giuseppe, insistendo su una paternità così inedita.

Matteo apre il suo Vangelo e l’intero canone neotestamentario con la «genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). Si tratta di una lista di nomi già presente nelle Scritture ebraiche, per mostrare la verità della storia e la verità della vita umana. In effetti, «la genealogia del Signore è costituita dalla storia vera, dove sono presenti alcuni nomi a dir poco problematici e si sottolinea il peccato del re Davide (cfr Mt 1,6). Tutto, comunque, finisce e fiorisce in Maria e in Cristo (cfr Mt 1,16)» (Lettera sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa, 21 novembre 2024). Appare poi la verità della vita umana che passa da una generazione all’altra consegnando tre cose: un nome che racchiude un’identità e una missione uniche; l’appartenenza a una famiglia e a un popolo; e infine l’adesione di fede al Dio d’Israele.

La genealogia è un genere letterario, cioè una forma adatta a veicolare un messaggio molto importante: nessuno si dà la vita da sé stesso, ma la riceve in dono da altri; in questo caso, si tratta del popolo eletto e chi eredita il deposito della fede dei padri, nel trasmettere la vita ai figli, consegna loro anche la fede in Dio.

Diversamente però dalle genealogie dell’Antico Testamento, dove appaiono solo nomi maschili, perché in Israele è il padre a imporre il nome al figlio, nella lista di Matteo tra gli antenati di Gesù compaiono anche le donne. Ne troviamo cinque: Tamar, la nuora di Giuda che, rimasta vedova, si finge prostituta per assicurare una discendenza a suo marito (cfr Gen 38); Racab, la prostituta di Gerico che permette agli esploratori ebrei di entrare nella terra promessa e conquistarla (cfr Gs 2); Rut, la moabita che, nel libro omonimo, resta fedele alla suocera, se ne prende cura e diventerà la bisnonna del re Davide; Betsabea, con cui Davide commette adulterio e, dopo aver fatto uccidere il marito, genera Salomone (cfr 2Sam 11); e infine Maria di Nazaret, sposa di Giuseppe, della casa di Davide: da lei nasce il Messia, Gesù.

Le prime quattro donne sono accomunate non dal fatto di essere peccatrici, come a volte si dice, ma di essere straniere rispetto al popolo d’Israele. Ciò che Matteo fa emergere è che, come ha scritto Benedetto XVI, «per il loro tramite entra … nella genealogia di Gesù il mondo delle genti – si rende visibile la sua missione verso ebrei e pagani» (L’infanzia di Gesù, Milano-Città del Vaticano 2012, 15).

Mentre le quattro donne precedenti sono menzionate accanto all’uomo che è nato da loro o a colui che l’ha generato, Maria, invece, acquista particolare risalto: segna un nuovo inizio, è lei stessa un nuovo inizio, perché nella sua vicenda non è più la creatura umana protagonista della generazione, ma Dio stesso. Lo si vede bene dal verbo «è nato»: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Gesù è figlio di Davide, innestato da Giuseppe in quella dinastia e destinato ad essere il Messia d’Israele, ma è anche figlio di Abramo e di donne straniere, destinato quindi ad essere la «Luce delle genti» (cfr Lc 2,32) e il «Salvatore del mondo» (Gv 4,42).

Il Figlio di Dio, consacrato al Padre con la missione di rivelare il suo volto (cfr Gv 1,18; Gv 14,9), entra nel mondo come tutti i figli dell’uomo, tanto che a Nazaret sarà chiamato «figlio di Giuseppe» (Gv 6,42) o «figlio del falegname» (Mt 13,55). Vero Dio e vero uomo.

Fratelli e sorelle, risvegliamo in noi la memoria grata nei confronti dei nostri antenati. E soprattutto rendiamo grazie a Dio, che, mediante la madre Chiesa, ci ha generati alla vita eterna, la vita di Gesù, nostra speranza.

Papa Francesco