A tu per tu


"CHI SEI TU E CHI SONO IO, O MIO DIO?"

MI SUN MI

 

E’ questa una  domanda esistenziale, che ogni uomo/donna che viene in questo mondo, prima o poi, si pone. Basta guardarmi allo specchio dell’anima, nel più profondo silenzio di me stesso, e subito viene in evidenza, sempre più fortemente, il quesito: “Che cosa ci sto a fare in questa vita? Che scopo ha per me e per gli altri?”.

 

Fino al momento della mia nascita in questo mondo, io non ero, non esistevo … non avevo un corpo, però ero già nel pensiero di Dio: Lui da sempre mi ha amato in modo irrepetibile.

 

La domanda “Chi sono io?” e la seguente:Chi è Dio per me?” ha incominciato ad affiorare in me all’età di otto/dieci anni, quando, riflettendo su me stesso, ho pensato: “Chi è che mi ha voluto e mi ha permesso di esistere tramite i miei genitori?”.

 

Che i miei genitori non avessero un gran che di potenzialità, me ne sono accorto presto, perché era gente semplice e contadina …  Ancora bambino ho dovuto “arrancare” e darmi da fare, anche se, poco per volta, ho preso coscienza che ero diverso da loro; da qui è nata in me una voglia matta di crescere per far notare  … che anch’io avevo capacità di pensare e di fare!

 

Ma è nella post adolescenza che sempre più intimamente e fortemente, nel silenzio dell’anima, si é fatta prepotente in me la domanda: “Chi sono io e chi è Dio per me?”. Chi “sono” io? Non sono gli altri a farmi la domanda, ma è il mio “io” a suggerirmela: “Chi sono io che, confrontandomi con chi mi sta accanto o incontro per caso, a volte mi sento insoddisfatto; anzi, in diverse occasioni mi sono sentito obbligato a “scavare”  nell’anima, cercando “Qualcosa, o meglio Qualcuno” che solo avrebbe potuto soddisfare e dare un senso vero al mio “essere”.

 

Chi sono io?”. Guardandomi allo specchio dell’anima mi vedo e sento quanto mai limitato  e impossibilitato a fare quello che vorrei; mi vedo tutto solidale al mio servizio : pensieri, parole e opere sono tutte per me, a mia “salvaguardia”. Se osservo attorno a me, mi sento “isolato”, “solo”, “ristretto” … nel mio cerchio, mentre fuori di me tutto è grande, maestoso e importante, tutto a scapito mio … del mio egoismo messo da parte. 

 

Chi sono io?”. Me lo chiedo ancora adesso alla mia veneranda età, così come me lo chiedevo nella giovinezza e nell’età adulta. La risposta è sempre più impellente e vera: quella di essere come un “cembalo sonante” che sa, all’occasione, fare del fracasso e che non più aggiungere un centimetro alla propria altezza e andare al di là delle proprie possibilità.

 

Se mi confronto con le persone e le cose che mi stanno attorno, mi sento ancor più solo e limitato, dato che nessuno e niente può aggiungermi qualcosa. “Chi sono io?” : un semplice punto dell’universo che sta in piedi perché sono avvolto dall’aria che mi mantiene in equilibrio … “Chi sono io?” : un niente scritto in minuscolo.

 

E chi è Dio?”. Il TUTTO, scritto in maiuscolo. Il mio “io” e il mio “Dio” sono in antitesi, salvo che io mi lasci inglobare da Lui, che sa bene il suo “daffare”! E se “io” non posso essere senza il Tutto, Questi vive e sta “benissimo”, solidissimo … interissimo, anche senza di me!

 

Non mi resta che rispondere a questa domanda: “CHI SONO IO E CHI SEI TU, O MIO DIO?” con un profondo silenzio dell’anima … Sarà Lui a rischiararmi tutto e ad illuminarmi di Se stesso! Grazie, mio Dio e mio Tutto … come vorrei veramente!

 

MI SUN MI

 

La prima parola che ogni piccolo “Panà” di Ngaoundaye (Centrafrica) pronuncia è sempre MI ZIA = io non voglio … mi rifiuto!  “MI” equivale all’ “io” personale di ogni essere umano che viene in questo mondo.

 

Perciò “MI SUN MI” si spiega con “SONO QUANDO NON SONO”. L’affermazione “IO SONO IO” …  trova una eco nello slogan ufficiale della Repubblica Centrafricana : “ZO KWE ZO” = uomo tutto uomo = tutti siamo eguali!  Purtroppo la frase non è applicata gran che, anche se afferma realtà vere e fondamentali.

 

Un “io sono” che non è mai completo e realizzato appare come un bluff, perché è una affermazione non definita e quindi rimasta nel “vago”, da ridefinire meglio: è quasi un gioco all’infinito …  Quello che affermo è vero e sarà vero anche in seguito … nel momento successivo che non c’è ancora, in un continuo divenire.

 

Solo un “fanfarone” può dire “MI SUN MI” = come una fanfara che suona un susseguirsi di note, che di armonia ne hanno ben poca.

 

MI SUN MI” è e sarà sempre nel vago : un sogno irrealizzabile. Di sicuro l’uomo che afferma “MI SUN MI” appare come un cembalo suonante. Al suo “MI SUN MI”, viene da rispondere: mostramelo! E mentre cerca di farlo … questo tempo  presente sarà già passato e in continuazione dovrà ripetere “MI SUN MI” … in attesa della risposta: “MOSTRAMELO!”. Ad ogni affermazione, la stessa risposta. Siamo in un “circolo vizioso!”.

 

Dio solo può, a pieno diritto, affermare “MI SUN MI!”, perché in realtà Lui solo è, avendo l’esistenza a sua completa disposizione. “MI SUN MI” appartiene solo a Dio, al Creatore di tutti gli esseri che esistono e sono proprio perché il loro “MI SUN MI” li sostiene.

 

In Dio il primo e il secondo “MI” sono alla pari : entrambi indicano “vita”! In noi e per noi  -  ciascuno di noi  -   i due “MI” sono disuguali e opposti : il primo è “vita / resurrezione” e il secondo è “morte/sofferenza”, cioè Mistero Pasquale!

 

Allora anch’io posso in tutta verità dire “MI SUN MI”, ma soltanto nella comprensione del MISTERO PASQUALE, cioè “SONO QUANDO NON SONO”.

 

Che cosa fanno i “SANTI” per essere dichiarati giusti ? Semplicemente … vivono da morti al loro egoismo … per restare vivi e risorti in Dio, per sempre!

L'Ex

 



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale - Piazza San Pietro Mercoledì, 10 Settembre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 6. La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e grazie per la vostra presenza, una bella testimonianza!

Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce. I Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna.

Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia (cfr Mc 15,33.38). È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore.

Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità.

Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza.

Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto.

Gridare diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.

Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema. Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto.

LEONE XIV