Giovedì 19 Dicembre 2024

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A tu per tu


Come l´aurora

Testimonianza

Testimonianza Chiara

 

Dio è entrato nella mia vita piano, senza far rumore, in modo graduale, come l’aurora. Lui è entrato in modalità “silenzioso” ma con la vibrazione. Sì, con la vibrazione, perché l’ho incontrato attraverso persone, situazioni, eventi che mi hanno lasciato il segno, che mi hanno messo in moto dentro, che mi hanno fatto nascere domande grandi, che mi hanno acceso desideri grandi.

 

In quarta elementare a catechismo ho ascoltato la testimonianza di una suora missionaria; non mi ricordo niente di quello che ha detto, so solo che si è mosso qualcosa dentro e ho iniziato a farmi domande come “Ma chi glielo ha fatto fare di lasciare tutto e partire? Da dove le viene tutta questa forza?”. Domande alle quali non sapevo rispondermi. Sono rimasta attratta da quell’esempio di vita e il desiderio della missione ha iniziato a scaldarmi il cuore; mi entusiasmava l’idea di costruire qualcosa per chi non aveva niente, in un villaggio disperso dell’Africa.


Durante gli anni delle medie, i temi dello sfruttamento minorile e della fame nel mondo mi hanno accesa, ma presto ho capito che nel mondo regnava l’indifferenza e l’insensibilità di fronte a queste tematiche. Così è cresciuto sempre di più il rifiuto nei confronti di questa società consumistica, egoista e individualista.

 

A 14 anni in parrocchia arrivò un nuovo parroco, un tipo giovane, spiritoso, così diverso dalla figura del sacerdote a cui ero abituata io. Mi stava simpatico quel prete e dal quel momento ho iniziato ad ascoltare l’omelia. Lui ripeteva spesso: “La fede è come una piccola fiammella, fragile, che fa poca luce. Ma beato chi ce l’ha e la alimenta!”. Poco dopo ho conosciuto una suora saveriana, missionaria in Brasile da oltre 50 anni. È stata la luce nei suoi occhi a farmi suscitare ancora quel desiderio che avevo dentro, messo a tacere per lungo tempo: la missione, il donarsi agli altri, lo spendersi per gli altri. Avevo capito che l’unica cosa che faceva muovere e brillare quella missionaria era il fuoco della fede. Io non avevo per niente quella fiammella accesa nel mio cuore, ma ho iniziato a essere sempre più convinta che potevo mettermi alla ricerca di Dio. Con il cuore pieno di rabbia, ho lanciato una sfida a Dio e gli ho detto: “Io provo a cercarti, se esisti salta fuori!”. È così che è iniziata la mia ricerca di Dio. Ho iniziato a pregare, a gridare a Dio, a chiedergli il dono della fede, di sapermi fidare di Lui. Mi sono avvicinata alla Parola e piano piano sentivo che quella Parola era viva e mi rendeva viva, si incarnava perfettamente nelle mie giornate, parlava alla mia vita, mi riguardava. Dietro quella Parola doveva esserci Qualcuno. Quello che all’inizio sembrava un monologo con Dio, si è trasformato sempre più in un dialogo, un rapporto intimo con Lui. Si sono alternati periodi di smarrimento e di rifiuto di Dio, a periodi di profonda intimità. Sapevo che Lui era al mio fianco e che insieme avremo fatto cose grandi. Nel cuore custodivo questa Parola: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13-14). Ero certa che Dio aveva un progetto bello su di me, avevo il desiderio di fare la Sua volontà e di fare qualsiasi cosa mi avesse chiesto con Amore.

 

A 17 anni la botta: un mio amico, animatore con me in parrocchia, si suicidò e da quel momento è iniziato un periodo buio, di deserto interiore, durato quasi quattro anni. In un primo momento ho provato rabbia per l’impotenza di Dio di fronte a quel gesto, poi ho capito che Dio quel giorno ha pianto, tanto. Perché uno dei suoi figli non l’ha riconosciuto come Padre. È esplosa dentro l’urgenza di annunciare Dio ai miei coetanei, di dare un senso pieno alla mia vita, di fare un “lavoro” da grande che portasse l’altro all’incontro con Lui. Sentivo Dio che gridava forte “Io ti ho pensato e creato per la vita! Scegli la vita! Scegli la vita e porta via a chi è morto dentro!”

 

Ho iniziato l’università, ho continuato a seguire i gruppi in parrocchia, ma la domanda “Dio, qual è il tuo progetto su di me?” continuava ad abitare il mio cuore e stava iniziando a pesarmi sempre di più. Più andavo avanti, più avevo la sensazione di non essere sulla strada che Dio aveva preparato per me. Ero convinta che la vocazione corrispondesse al lavoro fatto su misura per me, quello in cui potevo aiutare concretamente il prossimo. Ero alla continua ricerca del lavoro ideale per me, dove potevo aiutare gli altri al meglio. Più cercavo la passione della mia vita, più trovavo in quel Dio l’unico motore delle mie giornate.

 

Dio voleva altro da me, ma io non riuscivo a capire cosa. Nel 2102, stanca dei valori futili su cui stavo costruendo la mia vita, stanca della logica di questo mondo, stanca di non essere compresa dalla mia famiglia, si è riacceso forte il fuoco della missione. Dio gridava forte, mi diceva “I miei progetti escono dalla logica umana! Fidati di me!”. E così con l’entusiasmo alle stelle sono atterrata in Brasile, sicura che Dio si sarebbe preso cura di me. Quella in Brasile fu per me una grande lezione di vita: mi sono resa conto di non poter salvare il mondo, ma soprattutto ho capito che stavo scappando da una realtà, la mia vita, continuamente tesa a trovare un significato di pienezza. Tornata dal Brasile ho continuato la vita di prima, stessa facoltà all’università e stessi gruppi in parrocchia, aggiungendo altre nuove attività di volontariato tra Caritas e clownterapia in ospedale. Mi spendevo per l’altro, vedevo Dio nell’altro e mi sentivo su di giri. Tutto questo spendermi mi sembrava la soluzione al mio mal di vivere, ma con il tempo ho capito che neanche quella era la soluzione, perché non stavo rispondendo alle domande grandi che riguardavano la mia vita nella sua totalità, che mi portavo dentro da tanto tempo e che di giorno in giorno si ingigantivano sempre di più, diventando un macigno sempre più pesante da portare sulle spalle: “Ma chi me lo fa fare di rimanere su questa terra? Per cosa vale veramente la pena vivere? Per chi vale veramente la pena vivere?”.   Sentivo Dio presente in tutto quello che facevo e mi stava stretto poter parlare liberamente di Lui solo un’ora a settimana in parrocchia. Lui era come un fiume in piena, voleva inondare ogni istante della mia vita, ma io non potevo lasciarlo straripare troppo, altrimenti avrei perso la stima di tanti amici e il controllo sulla mia vita.

 

Nel 2013 la svolta: mi ritrovai tra le mani un volantino che avevo preso in una chiesa ad Assisi l’anno prima. Sul volantino c’era scritto: Servizio Orientamento Giovani e il mio occhio è subito stato catturato da quel Corso vocazionale. Non avevo idea di cosa fosse, ma in quell’esatto istante ho pensato “mio, questo è mio”. Sono arrivata al vocazionale spinta dall’idea “sentiamo un po’ cosa dicono i frati”, senza attese, solo  con la paura di tornare a casa ancora più scossa di come c’ero arrivata.

 

Dal vocazionale in poi si sono spalancati nuovi orizzonti: grazie all’accompagnamento spirituale e al cammino di discernimento sono crollati i miei castelli mentali sulla mia idea di vocazione: vocazione non è il lavoro che amo fare, ma la prima vocazione è innanzitutto quella all’Amore. Ho conosciuto un Dio che non potevo più considerare semplicemente il mio migliore amico. Ho trovato un Dio Padre che mi ha presa per mano e con una delicatezza infinita, mi ha condotta a guardarmi dentro, a fare ordine nella mia vita, a dare il nome di deserto a quei quattro anni di oscurità. È in quel deserto che Dio mi ha essenzializzato, mi è rimasto accanto, mi ha fatto vedere in Lui l’unico senso della mia vita, l’unico per cui vale veramente la pena vivere. Ho ripreso in mano la mia vita, l’ho guardata con i Suoi occhi e oggi la benedico, tutta, e benedico soprattutto quei periodi di forte lotta interiore e le ferite più profonde. Ho trovato un Dio che mi chiede solo di amarlo, di stare davanti a Lui, di lasciarmi guardare da Lui e lasciarmi riempire del Suo Amore. È Lui che da sempre ha messo nel mio cuore desideri che puntano all’eternità! Scavando i miei desideri e scalando i Suoi desideri, ho respirato una libertà infinita quando ho scoperto che i miei desideri coincidono con i Suoi!  È Lui la pienezza che ho sempre cercato, è Lui la fonte della Gioia, quella piena: “Guardate a Lui e sarete raggianti” (Sal 34,6).

 

                                                               Chiara

 

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE - Aula Paolo VI Mercoledì, 11 Dicembre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 17. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Lo Spirito Santo e la speranza cristiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Siamo arrivati al termine delle nostre catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa. Dedichiamo quest’ultima riflessione al titolo che abbiamo dato all’intero ciclo, e cioè: “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il Popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. Questo titolo si riferisce a uno degli ultimi versetti della Bibbia, nel Libro dell’Apocalisse, che dice: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido “Maràna tha!”, che significa appunto “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga.

In quella fase più antica l’invocazione aveva uno sfondo che oggi diremmo escatologico. Esprimeva, infatti, l’ardente attesa del ritorno glorioso del Signore. E tale grido e l’attesa che esso esprime non si sono mai spenti nella Chiesa. Ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della venuta del Signore.

Ma questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”.

È avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo: «Vieni, o Spirito creatore», diciamo nel Veni Creator, e «Vieni, Spirito Santo», «Veni Sancte Spiritus», nella sequenza di Pentecoste; e così in tante altre preghiere. È giusto che sia così, perché, dopo la Risurrezione, lo Spirito Santo è il vero “alter ego” di Cristo, Colui che ne fa le veci, che lo rende presente e operante nella Chiesa. È Lui che “annuncia le cose future” (cfr Gv 16,13) e le fa desiderare e attendere. Ecco perché Cristo e lo Spirito sono inseparabili, anche nell’economia della salvezza.

Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato!

Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E per questo si chiama virtù teologale: perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano. È una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere. Qualcuno, che ha lottato per la liberazione dei poveri, ha scritto queste parole: «Lo Spirito Santo è all’origine del grido dei poveri. È la forza data a quelli che non hanno forza. Egli guida la lotta per l’emancipazione e per la piena realizzazione del popolo degli oppressi» [1].

Il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele.

L’apostolo Pietro esortava i primi cristiani con queste parole: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ma aggiungeva una raccomandazione: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16). E questo perché non sarà tanto la forza degli argomenti a convincere le persone, quanto l’amore che in essi sapremo mettere. Questa è la prima e più efficace forma di evangelizzazione. Ed è aperta a tutti!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito ci aiuti sempre, sempre ad “abbondare nella speranza in virtù dello Spirito Santo”!

[1] J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Assisi 1989, 236.

Papa Francesco