Cronaca Bianca


UNA BELLA SORPRESA

"Non è il Dio delle abitudini, è il Dio delle sorprese" (Papa Francesco)

emanuele

 

Alla marcia francescana Dio mi ha colto di sorpresa. Mi ha preparato un incontro che non immaginavo. Credevo che quei giorni sarebbero stati un nuovo tassello da aggiungere ad un cammino cristiano già ben consolidato, con delle fondamenta che ormai avevano trovato il loro equilibrio. Invece sono stati giorni che hanno scosso nel profondo tutta la mia vita di fede.

 

Una sorpresa il Signore già me l’aveva fatta: avevo 19 anni, era l’estate dopo la maturità e sono andato a Taizé, insieme a mia sorella con un pullman che partiva da Verona.

 

A Taizé, per la prima volta, ho scoperto l’Amore di Dio. Non so come; non so perché proprio in quel momento, ma nella semplicità di quel luogo la persona di Gesù mi ha toccato in fondo al cuore. Mi sono sentito amato in modo unico! L’Amore di Cristo mi aveva sorpreso e aveva lasciato un segno.

 

Poco tempo dopo mi sono iscritto all’università, a Padova . Questi anni sono stati tempo di grande gioia: avevo vivo dentro di me il desiderio di amare come Gesù, e questo desiderio dava una grande forza, una grande speranza. Verso la fine di quegli anni, però, questa felicità è andata pian piano diminuendo, quasi come se si consumasse. Molti amici “storici” un po’ alla volta si sono laureati e sono partiti. Ho concluso la storia con la mia ragazza dopo un periodo un po’ nero e infine io stesso stavo per finire la mia esperienza universitaria. Tutto questo ha portato un po’ di tristezza che lentamente si è trasformata in inquietudine. I grandi equilibri della mia vita non erano più così sicuri. Sono entrato in un momento di grande smarrimento.

 

In questo stato interiore sono arrivato alla marcia. Il cammino mi ha portato alla radice delle mie inquietudini. La fatica e l’ascolto hanno fatto breccia tra le mie resistenze. E così la sorpresa nuova è arrivata, lo stupore di un nuovo incontro. Era il giorno della penitenziale. Durante l’adorazione mi sono sentito interrogare da una domanda forte: “Emanuele, hai capito quanto ti amo? Io per te ho dato tutto! Ho dato mio figlio che ha donato la sua vita! Tu che cosa mi hai dato?

 

Questa domanda non è arrivata nella testa, ma ha raggiunto il cuore, perché ho pianto, ho pianto molto. Di fronte a quella domanda mi sono reso conto che nella vita mi ero sempre risparmiato. Che Dio era sempre stato importante, ma che io lo ero di più: al centro della mia vita c’ero io, non Lui. Ero sempre stato io a decidere come amare, chi amare, quanto amare, fin dove spingermi e dove invece fermarmi, perché diventava eccessivo. E ciò che mi ha fatto nascere quel pianto è stato capire che ogni volta che nella mia vita mi ero accontentato avevo messo Gesù in croce. E quante volte lo avevo fatto.

 

Ma come potevo io con tutti i miei limiti e le mie paure donarmi totalmente per gli altri? Quella sera alla marcia Dio ha risposto a questa domanda: mi mostrava una realtà nuova e molto grande: che la mia vita non era mia, ma era Sua. Mi chiedeva di cedergli il posto e lasciare Lui al centro, non per farmi da padrone, ma per amarmi, e soprattutto perché io mi lasciassi amare da Lui. Gesù Cristo aveva donato la sua vita per me; in un solo modo potevo rispondere: donare la mia vita per Lui. Donare la vita a Lui per ricevere tutto.

 

Quell’inquietudine che vivevo prima della marcia francescana era dovuta al fatto che a guidare la mia vita c’ero io e non Dio. La felicità pian piano si era consumata perché veniva da me e non da Dio. Il risparmiarmi nell’amore era una conseguenza di un amore limitato, perché veniva da me. Dio mi ha fatto una sorpresa: mi ha chiesto di lasciare fare a Lui. Di lasciarlo al centro della mia vita, di affidarmi a Lui per cancellare le inquietudini, per donarmi una felicità che non si consuma, per trasformare la mia vita in un dono da offrire agli altri.

Una bella sorpresa!

Emanuele

 

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Dio è davvero esagerato. E L’esagerazione è la misura che ho sempre ricercato nella mia vita e che non sono mai riuscita a raggiungere. Cercavo l’eternità nel tempo, la smisuratezza nell’amore e il massimo in ogni risultato.
Ma tutto questo lo ricercavo nel mondo e lo trovavo solo sotto forma di surrogati. Perfino Dio nella mia vita aveva sembianze e misure umane.
Sono arrivata alla marcia con il desiderio di lasciare a casa le preoccupazioni e prendermi una vacanza dal mondo, dall’università e dagli stessi amici che mi stavano stretti da tempo. Cercavo tempo libero per me… Volevo dare spazio alla mia ricerca della felicità.

 

Sono arrivata alla marcia senza aspettative e senza programmi ed è una cosa insolita per me. Mi ero costretta a disorganizzarmiper una volta e a fidarmi degli altri.
Facendo lo zaino la sera prima della partenza, ero stata attenta a caricarlo solo con lo stretto necessario, ma mi sembrava in ogni caso pesante. Ignoravo che da anni mi portavo nel cuore macigni enormi e che nella testa c’erano montagne di rifiuti che aspettavano solo di essere smaltiti. Mi ero preoccupata di svuotare il mio bagaglio materiale, ma avevo scordato di dare tregua al cuore e alla testa, in completa carenza d’ossigeno. Stavo troppo bene immersa nei miei impegni che mi evitavano tante domande e impedivano al silenzio di entrare e allestire il salotto per il mio incontro con Dio.


Alla marcia sono arrivata desiderosa di mettere ordine, ma senza sapere da dove partire e senza il coraggio di farlo sul serio. Tutto il coraggio di oggi è arrivato marciando, è arrivato accorciando ogni giorno, passo dopo passo, la mia distanza da Cristo.In ogni momento avrei potuto fermarmi, chiedere aiuto…Tornare indietro…Ma Dio era sempre un centimetro più vicino del momento prima e io volevo esagerare.Questa volta mi ero ripromessa davvero di fare il colpo di mano. Di toccare le sue vesti come l’emorroissa e mettere le mie mani sulle sue ferite come Tommaso. La mia determinazione e la mia testardaggine sono stati gli strumenti che più ho benedetto nella preghiera e di cui Dio si è servito per allungare il mio passo verso di lui.

 

I momenti di silenzio sono stati il mio sacrificio più grande. Non li desideravo, perché mi costringevano ad ascoltare tutto quello che da sempre avevo messo in modalità silenziosa. E poi mi suggerivano di fare spazio ai progetti di Dio, e io non avevo intenzione di lasciare la mia vita nelle mani di qualcun altro. Non me lo sarei mai concessa. Ma il tempo dei cambiamenti era vicino e io stessa mi ci avvicinavo senza farci caso.

 

Dall’incontro con le clarisse, il primo giorno, ho realizzato che Dio ti chiama ad operare per l’eternità. Dio non è mediocre e non sa cosa siano le mezze misure, le sfumature di grigio, le decisioni prese a metà, non ragiona sottraendo e dividendo. Dio moltiplica e aggiunge.“Giocatevi la vita per niente di meno che l’eternità… Fate scelte che siano per sempre”,a me questo invito piaceva. Era esagerato, provocatorio, e mi spaventava. Per lanciarsi in qualcosa di eterno ci voleva coraggio. E io non ne avevo.


“Cerco il tuo volto che mi cerca” questo ci cantavano le consacrate mentre, tra i muri silenziosi del monastero, intessevano Lodi a Dio. Non sapevo spiegarmi la pace che respiravo. Lì il tempo sembrava essersi fermato. Guardavo i trecento marciatori e guastatori che Dio aveva scelto come compagni di viaggio per me e non vedevo nulla di familiare, eppure mi sentivo a casa. Dio sapeva che cercavo casa da tempo… Nel cuore delle persone. E che il mio desiderio di trovarla mi avrebbe portato più vicino a lui di quanto potessi immaginare.


Continuavo a tenere a mente le coincidenze che si verificavano dall’inizio della marcia e a riguardarle ora, vedo quanto combaciavano con le intenzioni di Dio. Voleva sorprendermi e farmi abbassare le difese.
Ci è riuscito soprattutto al secondo giorno di marcia, quando mi è scoppiata una vescica! E mi sono riscoperta “non allenata”, “non pronta” fisicamente a quei chilometri che avevo considerato un’impresa da niente, per una sportiva come me. Dio stava facendo la sua parte e stava mostrando alla Beatrice esagerata, che non esiste alcuna preparazione adeguata al suo incontro. Perché la bellezza di Dio sta nell’imprevedibilità… E nel non-calcolo. Io avevo ancora una volta cercato di controllare tutto a mio modo, evitando l’infermeria per giorni, dimenticando di chiedere aiuto e di fermarmi. Ero troppo impegnata a guardare me stessa per accorgermi che già tante mani si erano offerte di aiutarmi. Dio tentava di comunicarmi qualcosa… Ma ascoltarlo avrebbe significato stare ai suoi piani, che io consideravo d’emergenza.


Al quarto giorno ho iniziato a farmi medicare le ferite, ho apprezzato la pazienza di Dio e disprezzato la mia testardaggine. Ho sperimentato la bellezza di farsi amare da Dio per mezzo degli altri. E toccato con mano la grandezza di un piccolo e debole amore riflesso, che attinge alla sua fonte copiosa e limpida.

 

Mentre scrivo queste parole, riconsidero tutti i “no” che ho detto prima delle marcia e benedico quel “si, vengo” che mi ha trascinata ad Orvieto il 25 luglio. Realizzo che questa era la mia occasione per fare sul serio con Dio e passare da una bella-vita a una vita-bella.


II tempo che dedichiamo a Dio è tempo che profuma di eternità e che non si esaurisce con il finire della clessidra. I giorni trascorsi in marcia sono fissati per l’eternità, insieme agli sguardi di chi era con me. Avevo amici vicini ma estremamente lontani, ora ho amici lontani ma estremamente vicini. Credevo di essere felice, adesso sono felice di credere. Pensavo di poter vivere da sola, ora mi rendo conto che vivere è condividere. Davvero in quei giorni quello che credevo impossibile nella mia vita è diventato quotidianità. Tutto questo lo devo a Dio.


Ringrazio anche i marciatori e i guastatori, i frati e le suore mi hanno portata a lui. Perché sono entrati nella mia vita con il desiderio di cercarlo, e nell’incontrarlo me lo hanno portato più vicino di quanto potessi credere possibile. Donarsi e spezzarsi per gli altri è amare da Dio.
E solo OGGI è il giorno perfetto per iniziare, perché con Dio, IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE.

 

Ho iniziato il pellegrinaggio nel desiderio di cercare Dio e ho sperimentato che è impossibile desiderare davvero qualcosa e non ricercarla a fondo. Quando questo non succede è perché ad abitare in noi ci sono compromessi sbagliati, tutto quello che io chiamo “Inquinamento luminoso”.


Dio non se ne fa niente della luce artificiale, delle tue piccole soddisfazioni, del tuo tempo speso a festeggiare per dimenticare le insoddisfazioni e gli insuccessi, Lui non se ne fa niente delle tue maschere sorridenti, perché in te ricerca il volto originario, quello che ti ha donato il giorno che sei venuto al mondo. Lui aspetta con pazienza che tu faccia le rughe e pianga… che tu stia al buio per portarti alla luce del giorno. Scava nelle tue tenebre per ricercare dentro di te l’anima vergine, la Porziuncola, perché mentre eravamo ancora peccatori, è morto per noi. Dio non ha aspettative su di te, ma solo disegni di pienezza, eternità, totalità.


Io mi sono innamorata di Gesù Cristo quando mi ha promesso una vita piena, perché ero stanca di procurarmi qualcosa che la riempisse per un po’, ero stanca di affastellare impegni e occupazioni per riempire il silenzio … Dio lo abitava comunque, anche se ci stava stretto, poiché era il santuario che per anni aveva cercato di costruire nel mio cuore e che io avevo sempre abbattuto dalle fondamenta.

 

Il 31 luglio con la Confessione mi sono spogliata di tutte le maschere che avevo sempre indossato. Se qualcuno mi chiedesse “che volto ha la libertà per te?” oggi risponderei “Ha il volto di un uomo che è morto e risorto per me, il volto di chi mi ha trascinato fuori dalle tenebre e rimesso al mondo”. Mai avrei pensato che la libertà potesse avere il volto di qualcuno, tanto meno quello di Dio. Ma la categoria di Dio è l’impossibile. E da oggi voglio coltivarla nell’orticello della mia fede. Per farlo ho bisogno della sua grazia di cui ho fatto esperienza nella penitenziale. La confessione che, per me, era sempre stato un sacramento accessorio si è rivelato essere la chiave per le porte della vita eterna. Ho sguazzato 22 anni nei miei peccati credendo che da sola mi sarei salvata da essi…La disillusione di quella sera mi ha ricordato che io non sono Dio e che da sola non posso mietere un campo di grano senza raccogliere anche la zizzania. Mi sono sempre affannata a levarla prima del tempo, tagliandola, ignorando che le radici del male attecchiscono anche nei terreni più aridi. E che per vincere il mio peccato avevo bisogno di Dio.“È Dio che cercavo, quando sognavo la felicità”.
Il 2 agosto, baciando la terra santa che avevo raggiunto a piedi, ho strappato a Dio un abbraccio meraviglioso.

 

Da quando sono tornata dalla marcia, ho realizzato che la mia vita a casa è rimasta ferma al punto in cui l’avevo lasciata prima di caricare lo zaino in spalla e partire, ma nel cuore c’è un desiderio nuovo, quello di FARMI PROGRAMMARE LA VITA DA GESÙ CRISTO”. È spaventoso, e da visionari… ma sono stanca di correre il rischio di non accettare e voglio fare il BENE.

 

Da questo pellegrinaggio porto a casa verità, bellezza e la certezza che la misura di Dio è l’esagerazione… tutto quello che ho sempre desiderato per la mia vita.
Tutto il caso che c’era nella mia vita è mutato in provvidenza, tutto il passato in misericordia, tutto il presente in possibilità.
Mi avevano detto che la marcia sarebbe stato un posto privilegiato per fare esperienza di Dio. E così è stato. Mi sono lasciata stupire… perché chi si stupisce, regnerà e chi guarderà a Lui, sarà raggiante!

 

Beatrice

 



 

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Messaggio Cristiano
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OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Piazza San Pietro
Domenica, 8 giugno 2025

Fratelli e sorelle,

«È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo» (S. Agostino, Discorso 271, 1). E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,1-11).

Come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura, lo Spirito opera qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Essi, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un’intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare l’intima esperienza della presenza del Risorto: lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le catene interiori, lenisce le ferite, li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio.

Il brano degli Atti degli Apostoli ci dice che a Gerusalemme, in quel momento, c’era una moltitudine di svariate provenienze, eppure, «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6). Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere. Come afferma Benedetto XVI: «Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele – la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri – e apre le frontiere. […] La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo» (Omelia a Pentecoste, 15 maggio 2005).

Ecco un’immagine eloquente della Pentecoste sulla quale vorrei soffermarmi con voi a meditare.

Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari.

E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale.

Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi. Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio.

Lo Spirito Santo, invece, fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni vere e buone: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti.

Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità.

Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché “ci insegna ogni cosa” e ci “ricorda le parole di Gesù” (cfr Gv 14,26); e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici.

Proprio celebrando la Pentecoste, Papa Francesco osservava che «oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine» (Omelia, 28 maggio 2023). E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta. Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli.

Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace.

Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi.

LEONE XIV