Domenica 19 Maggio 2024
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Cronaca Bianca


UNA BELLA SORPRESA

"Non è il Dio delle abitudini, è il Dio delle sorprese" (Papa Francesco)

emanuele

 

Alla marcia francescana Dio mi ha colto di sorpresa. Mi ha preparato un incontro che non immaginavo. Credevo che quei giorni sarebbero stati un nuovo tassello da aggiungere ad un cammino cristiano già ben consolidato, con delle fondamenta che ormai avevano trovato il loro equilibrio. Invece sono stati giorni che hanno scosso nel profondo tutta la mia vita di fede.

 

Una sorpresa il Signore già me l’aveva fatta: avevo 19 anni, era l’estate dopo la maturità e sono andato a Taizé, insieme a mia sorella con un pullman che partiva da Verona.

 

A Taizé, per la prima volta, ho scoperto l’Amore di Dio. Non so come; non so perché proprio in quel momento, ma nella semplicità di quel luogo la persona di Gesù mi ha toccato in fondo al cuore. Mi sono sentito amato in modo unico! L’Amore di Cristo mi aveva sorpreso e aveva lasciato un segno.

 

Poco tempo dopo mi sono iscritto all’università, a Padova . Questi anni sono stati tempo di grande gioia: avevo vivo dentro di me il desiderio di amare come Gesù, e questo desiderio dava una grande forza, una grande speranza. Verso la fine di quegli anni, però, questa felicità è andata pian piano diminuendo, quasi come se si consumasse. Molti amici “storici” un po’ alla volta si sono laureati e sono partiti. Ho concluso la storia con la mia ragazza dopo un periodo un po’ nero e infine io stesso stavo per finire la mia esperienza universitaria. Tutto questo ha portato un po’ di tristezza che lentamente si è trasformata in inquietudine. I grandi equilibri della mia vita non erano più così sicuri. Sono entrato in un momento di grande smarrimento.

 

In questo stato interiore sono arrivato alla marcia. Il cammino mi ha portato alla radice delle mie inquietudini. La fatica e l’ascolto hanno fatto breccia tra le mie resistenze. E così la sorpresa nuova è arrivata, lo stupore di un nuovo incontro. Era il giorno della penitenziale. Durante l’adorazione mi sono sentito interrogare da una domanda forte: “Emanuele, hai capito quanto ti amo? Io per te ho dato tutto! Ho dato mio figlio che ha donato la sua vita! Tu che cosa mi hai dato?

 

Questa domanda non è arrivata nella testa, ma ha raggiunto il cuore, perché ho pianto, ho pianto molto. Di fronte a quella domanda mi sono reso conto che nella vita mi ero sempre risparmiato. Che Dio era sempre stato importante, ma che io lo ero di più: al centro della mia vita c’ero io, non Lui. Ero sempre stato io a decidere come amare, chi amare, quanto amare, fin dove spingermi e dove invece fermarmi, perché diventava eccessivo. E ciò che mi ha fatto nascere quel pianto è stato capire che ogni volta che nella mia vita mi ero accontentato avevo messo Gesù in croce. E quante volte lo avevo fatto.

 

Ma come potevo io con tutti i miei limiti e le mie paure donarmi totalmente per gli altri? Quella sera alla marcia Dio ha risposto a questa domanda: mi mostrava una realtà nuova e molto grande: che la mia vita non era mia, ma era Sua. Mi chiedeva di cedergli il posto e lasciare Lui al centro, non per farmi da padrone, ma per amarmi, e soprattutto perché io mi lasciassi amare da Lui. Gesù Cristo aveva donato la sua vita per me; in un solo modo potevo rispondere: donare la mia vita per Lui. Donare la vita a Lui per ricevere tutto.

 

Quell’inquietudine che vivevo prima della marcia francescana era dovuta al fatto che a guidare la mia vita c’ero io e non Dio. La felicità pian piano si era consumata perché veniva da me e non da Dio. Il risparmiarmi nell’amore era una conseguenza di un amore limitato, perché veniva da me. Dio mi ha fatto una sorpresa: mi ha chiesto di lasciare fare a Lui. Di lasciarlo al centro della mia vita, di affidarmi a Lui per cancellare le inquietudini, per donarmi una felicità che non si consuma, per trasformare la mia vita in un dono da offrire agli altri.

Una bella sorpresa!

Emanuele

 

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Dio è davvero esagerato. E L’esagerazione è la misura che ho sempre ricercato nella mia vita e che non sono mai riuscita a raggiungere. Cercavo l’eternità nel tempo, la smisuratezza nell’amore e il massimo in ogni risultato.
Ma tutto questo lo ricercavo nel mondo e lo trovavo solo sotto forma di surrogati. Perfino Dio nella mia vita aveva sembianze e misure umane.
Sono arrivata alla marcia con il desiderio di lasciare a casa le preoccupazioni e prendermi una vacanza dal mondo, dall’università e dagli stessi amici che mi stavano stretti da tempo. Cercavo tempo libero per me… Volevo dare spazio alla mia ricerca della felicità.

 

Sono arrivata alla marcia senza aspettative e senza programmi ed è una cosa insolita per me. Mi ero costretta a disorganizzarmiper una volta e a fidarmi degli altri.
Facendo lo zaino la sera prima della partenza, ero stata attenta a caricarlo solo con lo stretto necessario, ma mi sembrava in ogni caso pesante. Ignoravo che da anni mi portavo nel cuore macigni enormi e che nella testa c’erano montagne di rifiuti che aspettavano solo di essere smaltiti. Mi ero preoccupata di svuotare il mio bagaglio materiale, ma avevo scordato di dare tregua al cuore e alla testa, in completa carenza d’ossigeno. Stavo troppo bene immersa nei miei impegni che mi evitavano tante domande e impedivano al silenzio di entrare e allestire il salotto per il mio incontro con Dio.


Alla marcia sono arrivata desiderosa di mettere ordine, ma senza sapere da dove partire e senza il coraggio di farlo sul serio. Tutto il coraggio di oggi è arrivato marciando, è arrivato accorciando ogni giorno, passo dopo passo, la mia distanza da Cristo.In ogni momento avrei potuto fermarmi, chiedere aiuto…Tornare indietro…Ma Dio era sempre un centimetro più vicino del momento prima e io volevo esagerare.Questa volta mi ero ripromessa davvero di fare il colpo di mano. Di toccare le sue vesti come l’emorroissa e mettere le mie mani sulle sue ferite come Tommaso. La mia determinazione e la mia testardaggine sono stati gli strumenti che più ho benedetto nella preghiera e di cui Dio si è servito per allungare il mio passo verso di lui.

 

I momenti di silenzio sono stati il mio sacrificio più grande. Non li desideravo, perché mi costringevano ad ascoltare tutto quello che da sempre avevo messo in modalità silenziosa. E poi mi suggerivano di fare spazio ai progetti di Dio, e io non avevo intenzione di lasciare la mia vita nelle mani di qualcun altro. Non me lo sarei mai concessa. Ma il tempo dei cambiamenti era vicino e io stessa mi ci avvicinavo senza farci caso.

 

Dall’incontro con le clarisse, il primo giorno, ho realizzato che Dio ti chiama ad operare per l’eternità. Dio non è mediocre e non sa cosa siano le mezze misure, le sfumature di grigio, le decisioni prese a metà, non ragiona sottraendo e dividendo. Dio moltiplica e aggiunge.“Giocatevi la vita per niente di meno che l’eternità… Fate scelte che siano per sempre”,a me questo invito piaceva. Era esagerato, provocatorio, e mi spaventava. Per lanciarsi in qualcosa di eterno ci voleva coraggio. E io non ne avevo.


“Cerco il tuo volto che mi cerca” questo ci cantavano le consacrate mentre, tra i muri silenziosi del monastero, intessevano Lodi a Dio. Non sapevo spiegarmi la pace che respiravo. Lì il tempo sembrava essersi fermato. Guardavo i trecento marciatori e guastatori che Dio aveva scelto come compagni di viaggio per me e non vedevo nulla di familiare, eppure mi sentivo a casa. Dio sapeva che cercavo casa da tempo… Nel cuore delle persone. E che il mio desiderio di trovarla mi avrebbe portato più vicino a lui di quanto potessi immaginare.


Continuavo a tenere a mente le coincidenze che si verificavano dall’inizio della marcia e a riguardarle ora, vedo quanto combaciavano con le intenzioni di Dio. Voleva sorprendermi e farmi abbassare le difese.
Ci è riuscito soprattutto al secondo giorno di marcia, quando mi è scoppiata una vescica! E mi sono riscoperta “non allenata”, “non pronta” fisicamente a quei chilometri che avevo considerato un’impresa da niente, per una sportiva come me. Dio stava facendo la sua parte e stava mostrando alla Beatrice esagerata, che non esiste alcuna preparazione adeguata al suo incontro. Perché la bellezza di Dio sta nell’imprevedibilità… E nel non-calcolo. Io avevo ancora una volta cercato di controllare tutto a mio modo, evitando l’infermeria per giorni, dimenticando di chiedere aiuto e di fermarmi. Ero troppo impegnata a guardare me stessa per accorgermi che già tante mani si erano offerte di aiutarmi. Dio tentava di comunicarmi qualcosa… Ma ascoltarlo avrebbe significato stare ai suoi piani, che io consideravo d’emergenza.


Al quarto giorno ho iniziato a farmi medicare le ferite, ho apprezzato la pazienza di Dio e disprezzato la mia testardaggine. Ho sperimentato la bellezza di farsi amare da Dio per mezzo degli altri. E toccato con mano la grandezza di un piccolo e debole amore riflesso, che attinge alla sua fonte copiosa e limpida.

 

Mentre scrivo queste parole, riconsidero tutti i “no” che ho detto prima delle marcia e benedico quel “si, vengo” che mi ha trascinata ad Orvieto il 25 luglio. Realizzo che questa era la mia occasione per fare sul serio con Dio e passare da una bella-vita a una vita-bella.


II tempo che dedichiamo a Dio è tempo che profuma di eternità e che non si esaurisce con il finire della clessidra. I giorni trascorsi in marcia sono fissati per l’eternità, insieme agli sguardi di chi era con me. Avevo amici vicini ma estremamente lontani, ora ho amici lontani ma estremamente vicini. Credevo di essere felice, adesso sono felice di credere. Pensavo di poter vivere da sola, ora mi rendo conto che vivere è condividere. Davvero in quei giorni quello che credevo impossibile nella mia vita è diventato quotidianità. Tutto questo lo devo a Dio.


Ringrazio anche i marciatori e i guastatori, i frati e le suore mi hanno portata a lui. Perché sono entrati nella mia vita con il desiderio di cercarlo, e nell’incontrarlo me lo hanno portato più vicino di quanto potessi credere possibile. Donarsi e spezzarsi per gli altri è amare da Dio.
E solo OGGI è il giorno perfetto per iniziare, perché con Dio, IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE.

 

Ho iniziato il pellegrinaggio nel desiderio di cercare Dio e ho sperimentato che è impossibile desiderare davvero qualcosa e non ricercarla a fondo. Quando questo non succede è perché ad abitare in noi ci sono compromessi sbagliati, tutto quello che io chiamo “Inquinamento luminoso”.


Dio non se ne fa niente della luce artificiale, delle tue piccole soddisfazioni, del tuo tempo speso a festeggiare per dimenticare le insoddisfazioni e gli insuccessi, Lui non se ne fa niente delle tue maschere sorridenti, perché in te ricerca il volto originario, quello che ti ha donato il giorno che sei venuto al mondo. Lui aspetta con pazienza che tu faccia le rughe e pianga… che tu stia al buio per portarti alla luce del giorno. Scava nelle tue tenebre per ricercare dentro di te l’anima vergine, la Porziuncola, perché mentre eravamo ancora peccatori, è morto per noi. Dio non ha aspettative su di te, ma solo disegni di pienezza, eternità, totalità.


Io mi sono innamorata di Gesù Cristo quando mi ha promesso una vita piena, perché ero stanca di procurarmi qualcosa che la riempisse per un po’, ero stanca di affastellare impegni e occupazioni per riempire il silenzio … Dio lo abitava comunque, anche se ci stava stretto, poiché era il santuario che per anni aveva cercato di costruire nel mio cuore e che io avevo sempre abbattuto dalle fondamenta.

 

Il 31 luglio con la Confessione mi sono spogliata di tutte le maschere che avevo sempre indossato. Se qualcuno mi chiedesse “che volto ha la libertà per te?” oggi risponderei “Ha il volto di un uomo che è morto e risorto per me, il volto di chi mi ha trascinato fuori dalle tenebre e rimesso al mondo”. Mai avrei pensato che la libertà potesse avere il volto di qualcuno, tanto meno quello di Dio. Ma la categoria di Dio è l’impossibile. E da oggi voglio coltivarla nell’orticello della mia fede. Per farlo ho bisogno della sua grazia di cui ho fatto esperienza nella penitenziale. La confessione che, per me, era sempre stato un sacramento accessorio si è rivelato essere la chiave per le porte della vita eterna. Ho sguazzato 22 anni nei miei peccati credendo che da sola mi sarei salvata da essi…La disillusione di quella sera mi ha ricordato che io non sono Dio e che da sola non posso mietere un campo di grano senza raccogliere anche la zizzania. Mi sono sempre affannata a levarla prima del tempo, tagliandola, ignorando che le radici del male attecchiscono anche nei terreni più aridi. E che per vincere il mio peccato avevo bisogno di Dio.“È Dio che cercavo, quando sognavo la felicità”.
Il 2 agosto, baciando la terra santa che avevo raggiunto a piedi, ho strappato a Dio un abbraccio meraviglioso.

 

Da quando sono tornata dalla marcia, ho realizzato che la mia vita a casa è rimasta ferma al punto in cui l’avevo lasciata prima di caricare lo zaino in spalla e partire, ma nel cuore c’è un desiderio nuovo, quello di FARMI PROGRAMMARE LA VITA DA GESÙ CRISTO”. È spaventoso, e da visionari… ma sono stanca di correre il rischio di non accettare e voglio fare il BENE.

 

Da questo pellegrinaggio porto a casa verità, bellezza e la certezza che la misura di Dio è l’esagerazione… tutto quello che ho sempre desiderato per la mia vita.
Tutto il caso che c’era nella mia vita è mutato in provvidenza, tutto il passato in misericordia, tutto il presente in possibilità.
Mi avevano detto che la marcia sarebbe stato un posto privilegiato per fare esperienza di Dio. E così è stato. Mi sono lasciata stupire… perché chi si stupisce, regnerà e chi guarderà a Lui, sarà raggiante!

 

Beatrice

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, 15 Maggio 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 19. La carità

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parleremo della terza virtù teologale, la carità. Le altre due, ricordiamo, erano la fede e la speranza: oggi parleremo della terza, la carità. Essa è il culmine di tutto l’itinerario che abbiamo compiuto con le catechesi sulle virtù. Pensare alla carità allarga subito il cuore, allarga la mente, corre alle parole ispirate di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Concludendo quell’inno stupendo, San Paolo cita la triade delle virtù teologali ed esclama: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità» (1 Cor 13,13).

Paolo indirizza queste parole a una comunità tutt’altro che perfetta nell’amore fraterno: i cristiani di Corinto erano piuttosto litigiosi, c’erano divisioni interne, c’è chi pretende di avere sempre ragione e non ascolta gli altri, ritenendoli inferiori. A questi tali Paolo ricorda che la scienza gonfia, mentre la carità edifica (cfr 1 Cor 8,1). L’Apostolo poi registra uno scandalo che tocca perfino il momento di massima unione di una comunità cristiana, vale a dire la “cena del Signore”, la celebrazione eucaristica: anche lì ci sono divisioni, e c’è chi se ne approfitta per mangiare e bere escludendo chi non ha niente (cfr 1 Cor 11,18-22). Davanti a questo, Paolo dà un giudizio netto: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore» (v. 20), avete un altro rituale, che è pagano, non è la cena del Signore.

Chissà, forse nella comunità di Corinto nessuno pensava di aver commesso peccato e quelle parole così dure dell’Apostolo suonavano un po’ incomprensibili per loro. Probabilmente tutti erano convinti di essere brave persone, e se interrogati sull’amore, avrebbero risposto che certo l’amore era per loro un valore molto importante, come pure l’amicizia e la famiglia. Anche ai nostri giorni l’amore è sulla bocca di tutti, è sulla bocca di tanti “influencer” e nei ritornelli di tante canzoni. Si parla tanto dell’amore, ma cos’è l’amore?

“Ma l’altro amore?”, sembra chiedere Paolo ai suoi cristiani di Corinto. Non l’amore che sale, ma quello che scende; non quello che prende, ma quello che dona; non quello che appare, ma quello che si nasconde. Paolo è preoccupato che a Corinto – come anche oggi tra noi – si faccia confusione e che della virtù teologale dell’amore, quella che viene solo da Dio, in realtà non ci sia alcuna traccia. E se anche a parole tutti assicurano di essere brave persone, di voler bene alla propria famiglia e ai propri amici, in realtà dell’amore di Dio sanno ben poco.

I cristiani dell’antichità avevano a disposizione diverse parole greche per definire l’amore. Alla fine, è emerso il vocabolo “agape”, che normalmente traduciamo con “carità”. Perché in verità i cristiani sono capaci di tutti gli amori del mondo: anche loro si innamorano, più o meno come capita a tutti. Anche loro sperimentano la benevolenza che si prova nell’amicizia. Anche loro vivono l’amor di patria e l’amore universale per tutta l’umanità. Ma c’è un amore più grande, un amore che proviene da Dio e si indirizza verso Dio, che ci abilita ad amare Dio, a diventare suoi amici, ci abilita ad amare il prossimo come lo ama Dio, col desiderio di condividere l’amicizia con Dio. Questo amore, a motivo di Cristo, ci spinge là dove umanamente non andremmo: è l’amore per il povero, per ciò che non è amabile, per chi non ci vuole bene e non è riconoscente. È l’amore per ciò che nessuno amerebbe; anche per il nemico. Anche per il nemico. Questo è “teologale”, questo viene da Dio, è opera dello Spirito Santo in noi.

Predica Gesù, nel discorso della montagna: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso» (Lc 6,32-33). E conclude: «Amate invece i vostri nemici – noi siamo abituati a sparlare dei nemici – amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35). Ricordiamo questo: “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla”. Non dimentichiamo questo!

In queste parole l’amore si rivela come virtù teologale e assume il nome di carità. L’amore è carità. Ci accorgiamo subito che è un amore difficile, anzi impossibile da praticare se non si vive in Dio. La nostra natura umana ci fa amare spontaneamente ciò che è buono e bello. In nome di un ideale o di un grande affetto possiamo anche essere generosi e compiere atti eroici. Ma l’amore di Dio va oltre questi criteri. L’amore cristiano abbraccia ciò che non è amabile, offre il perdono – quanto è difficile perdonare! quanto amore ci vuole per perdonare! –, l’amore cristiano benedice quelli che maledicono, mentre noi siamo abituati, davanti a un insulto o a una maledizione, a rispondere con un altro insulto, con un’altra maledizione. È un amore così ardito da sembrare quasi impossibile, eppure è la sola cosa che resterà di noi. L’amore è la “porta stretta” attraverso cui passare per entrare nel Regno di Dio. Perché alla sera della vita non saremo giudicati sull’amore generico, saremo giudicati proprio sulla carità, sull’amore che noi abbiamo avuto in concreto. E Gesù ci dice questo, tanto bello: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Questa è la cosa bella, la cosa grande dell’amore. Avanti e coraggio!

Papa Francesco