A tutto campo |
Unioni civili, una legge che non avrebbe convinto don Camillo (e nemmeno Peppone)
DDL Cirinnà? No, grazie. Legiferare contro natura è come stabilire che il gallo per legge covi le uova della sua gallina, mentre questa fa, al suo posto "Chicchirichi!".
di fra Vincenzo Ippolito
26 gennaio 2016
Mi fa sorridere e non poco il dibattito in corso in parlamento sul decreto legge Cirinnà, un fiume di parole che ha rotto gli argini delle aule politiche per dilagare nelle piazze e polarizzare l’attenzione dei più. Se il mio parroco fosse ancora vivo, sentendo di queste cose, griderebbe, aggiustandosi il colletto della sua talare, nel gesto suo solito di provare allergia per determinati discorsi. Direbbe il suo diniego senza paura: “Questa è la modernità!”. Non oso immaginare mio nonno. Per lui e per quelli della sua generazione la realtà è vivere secondo natura, perché non solo il cuore ha le sue ragioni che la ragioni non comprende, ma, rivedendo l’adagio di Pascal, diremmo che la natura ha le sue leggi che la legge umana non comprende.
Meraviglia che nella querelle di discussioni, dibattiti e confronti, dai toni più o meno aspri a seconda di chi ne sia latore, sfugga una cosa che agli uomini di un tempo sembrerebbe così ovvio da apparire quasi banale, ovvero il rapporto tra legge positiva e legge naturale. In termini diversi può uno stato sovrano rendere legge quanto la natura nega? Può un referendum o anche un parlamento al quale i cittadini hanno demandato il potere legislativo, sanzionare che l’uomo abbia il diritto, in nome di una libertà che egli stesso crede illimitata, talvolta anche il dovere di vivere come meglio gli aggrada perché, come si dice oggi, “Che male c’è?”. Ma la domanda canticchiata da Pino Daniele è più profonda di ciò che appare.
Sì, per legge dobbiamo dire – così vorrebbero coloro che hanno riempito le novanta piazze lo scorso sabato! – che la natura è ingiusta, matrigna, cattiva perché nega ciò che la mente vuole, il gusto predilige, la moda addita come bello, il piacere come bene. La natura è ingiusta perché impedisce il relativismo che da Protagora di Abdera è divenuto sistema di pensiero ed ortoprassi. “L’uomo è misura di tutte le cose”. Ma la natura è oggettività del reale, non si piega al manierismo dei tempi, né alle pretese imperanti per ideologie striscianti o manifeste. La natura è natura. Ecco perché definiamo naturale un cibo sano, lo ricerchiamo e preferiamo tra gli altri. C’è da sorridere, proprio oggi che prediligiamo il biologico, il non contaminato, il non manipolato, che quanto è naturale non venga ricercato e difeso nelle relazioni, nella trasmissione della vita, nella custodia e nell’educazione dei figli! Non è forse questo un violare la natura e le sue leggi?
Leggendo il decreto in discussione, balza subito l’espressione “unioni civili tra persone dello stesso sesso” usato a iosa. Forse il linguaggio giuridico non rispetta il dolce stile novo – le ripetizioni in italiano sono cacofonia – ma cosa dire dell’ossimoro, ovvero dell’accostare termini antitetici? Come si possa parlare di unione tra persone dello stesso sesso resta un mistero, ancor di più l’equiparazione all’istituto matrimoniale che, per natura, è complementarietà possibile solo tra diversità. Ad equilibrare il tutto si aggiunge l’aggettivo civili, ma ritorniamo a poppa, può la legge decretare contro natura e dirsi civiltà l’imposizione violenta del senso comune? Quando si credeva che la terra stesse ferma e il sole a muoversi, la civiltà, sinonimo di scientificità e di ragione, condusse a mettere da parte la credenza per accogliere ciò che la natura con le sue leggi aveva stabilito. Ed ora? È forse civiltà imporre ciò che si crede e vuole, contro la realtà? Può il sentire comune, oltre a fare opinione, divenire legge? E, questione ancora più delicata, può lo Stato, al pari dei Romani che, per ingraziarsi la folla concedevano il pane richiesto ed i giochi amati, può lo Stato rendere legge ciò che l’opinione chiede, senza quel minimo discernimento che rende l’amministrazione della res pubblica un’arte e non questione di interesse?
Continuo a sorridere e di questo chiedo venia, ma sembra ad uno come me, figlio di quel Poverello di Assisi che amava definirsi semplice ed idiota, che legiferare contro natura è come stabilire che il gallo per legge covi le uova della sua gallina, mentre questa fa, al suo posto “Chicchirichi!”. Può la legge stabilire che un gallo adotti il suo pulcino e gli dia il calore di una chioccia o che un ariete faccia da balia ad un agnello? Sorridiamo, ma poi per l’uomo questo lo vogliamo come segno di civiltà, per sentirci simile agli altri paesi Europei. Così fece anche Israele, per sentirsi uguale alle altre nazioni volle il suo re, che fu l’inizio della sua rovina.
Non è questione di fede dire un sonoro “No, grazie!” a proposte di leggi come queste. È solo realtà di natura, una legge non può andare contro natura. Che poi per un credente, la natura sia creazione è una ricchezza maggiore, perché dell’Artefice divino porta l’impronta, ma la dignità della natura ed il rispetto che le dobbiamo in quanto madre è un dovere per tutti. Il popolo è sì sovrano, ma ancor di più lo è la natura, le sue leggi e dinamiche. Non me la sento, come uomo e come credente, ancor di più come pastore, di avallare una legge per buonismo o peggio per paura di essere impopolare. Ogni mattina, quando mi alzo, dico a me stesso di seguire un Uomo-Dio tanto impopolare da essere stato crocifisso.
Mi spiace, cara Cirinnà, ma la tua legge, non avrebbe convinto il mio vecchio parroco, il mio nonno che tanto sprovveduto poi non era, e non convince neanche me. Definiscimi anche un uomo di altri tempi, un reazionario, come Peppone apostrofava don Camillo, ma non me la sento di seguirti in quella strada cieca. Molti ti seguiranno, ma io no e continuerò a pensare che non siamo così liberi, come tu ci vuoi far credere, da mutare il corso naturale delle cose come la mente crede di potere e voler fare. Ti guardo con curiosità per vedere dove intendi arrivare nel tuo titanico sforzo di piegare la natura, in nome di una legge che per me legge non è, se di quella della natura non è lo specchio.

Rachele e Dimitar: «Siamo fidanzati dal 24 febbraio del 2013 (il 24 novembre prossimo festeggeremo i nostri primi 1000 giorni insieme). Io studio Ingegneria biomedica e lui è idraulico. Tra i progetti futuri c’è sicuramente il matrimonio e il nostro grande desiderio di creare una famiglia. Non appena terminerò gli studi, coroneremo questo sogno. Un progetto da realizzare nell’immediato è la partecipazione alla Giornata Mondiale dei Giovani a Cracovia, l’anno prossimo. Non vediamo l’ora di vivere questa esperienza con Papa Francesco e con i giovani di tutto il mondo, proprio nella terra di Giovanni Paolo II! Facciamo parte da diversi anni della Fraternità di Emmaus e da due anni siamo i volontari dello studio mobile di Radio Maria di Salerno. Dobbiamo molto a queste due realtà, perché ci aiutano a crescere e a camminare insieme sempre più uniti lungo i passi della fede».
La domanda dei fidanzati: In un’epoca di profondi cambiamenti, alcuni di certo non a favore della famiglia cristiana, quali esperienze di condivisione possiamo fare noi fidanzati che desideriamo seguire le sante orme della famiglia di Nazareth?
Aniello e Nunzia: «Siamo sposati da 16 anni, abbiamo due bambini di 10 e 7 anni. Senza vergogna confidiamo di essere arrivati al matrimonio casti, lo diciamo alle coppie che seguiamo nel percorso prematrimoniale. La nostra data del matrimonio è l’8 settembre una data mariana, perché consapevoli già dall’inizio che il matrimonio è indissolubile e l’uomo da solo non va lontano. Il primo figlio è arrivato quando Dio ce l’ha donato. Non avremmo violato le leggi della natura con fecondazioni eterologhe. In questo periodo avvertiamo la responsabilità genitoriale nel compito educativo e abbiamo deciso di impegnarci come rappresentanti dei genitori a scuola. Dopo la manifestazione in piazza San Giovanni del 21 giugno scorso, crediamo che la scuola non possa accettare da “suddita” le teorie gender.
La domanda dei genitori: La Chiesa non può non parlare, non può non ascoltare la voce delle famiglie. Per il compito educativo chiediamo ai padri sinodali di esprimere una sola e chiara voce, quella della Chiesa.
Francesca e Matteo: «Abbiamo scelto nomi di fantasia, perché non siamo ancora pronti a raccontare la nostra storia a volto scoperto. Siamo i genitori di un figlio straordinario. Quattro anni dopo aver avuto Cristina, che oggi ha 10 anni, è arrivato Emanuele. Sin dalla gravidanza abbiamo saputo che avrebbe avuto una disabilità, ma nonostante tutto abbiamo deciso di accogliere la vita. Per una sofferenza da parto, Emanuele ha avuto anche un ritardo cognitivo. Ha imparato a camminare a 4 anni ed è quasi totalmente cieco. Per me e mio marito non è stato semplice, non lo è tutt’ora. La disabilità è doppia: quella del tuo bambino e quella relazionale, tra moglie e marito, tra genitori e gli altri figli, che si sentono traditi per le attenzioni sottratte.
La domanda dei genitori con un figlio straordinario: Noi chiediamo ai vescovi e ai cardinali di continuare a pregare sempre per la famiglia; ma interpelliamo la Chiesa ad avere attenzioni più specifiche per le famiglie che affrontano una disabilità. Perché non far riscoprire ai giovani la bellezza del volontariato ai ragazzi con handicap, sostenendo così tante mamme e tanti papà?
Giuseppe: «Ho 47 anni e due figli stupendi, Ciro ed Emanuele. Dal 2009 sono vedovo. Mia moglie è morta a soli 39 anni, dopo il secondo parto un’ecografia ha evidenziato un nodulo. Abbiamo scoperto che si trattava di Linfoma non Hodgkin. Dopo una prima fase molto difficile, tra i bambini piccoli da seguire e il vuoto che sentivo dentro, ho iniziato un cammino spirituale per vedovi. Un itinerario intenso in cui ho scoperto una vocazione nella vocazione. Da poco meno di un anno ho scelto di consegnare la mia vita a Dio. Tra i segni di consacrazione ricevuti, le fedi nuziali intrecciate con un giglio sopra, che simboleggia il mio abbandono fiducioso nelle mani del Signore».
La domanda del vedovo: La vedovanza è un tempo fecondo, in cui si può testimoniare che l’amore e la fedeltà continuano anche con la scomparsa del coniuge. Un vedovo meglio di altri può spiegare il significato del “per sempre”. A volte, però, i vedovi sono considerate soltanto persone più libere a cui riempire l’agenda di impegni parrocchiali. Come può la Chiesa valorizzare l’esperienza dei vedovi, che cercano di dare nuovo senso al tempo che vivono?
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