Ospedale da campo
Malnutrizione causa disabilità per un bambino su 5
“Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia”. Destò meraviglia questa definizione di Chiesa data da papa Francesco all’indomani della sua elezione. Corpo di Cristo, casa di Dio, tempio dello Spirito…, ma “ospedale da campo” è davvero nuova! Riporta alla mente edifici che recentemente si trasformano in luoghi di accoglienza: la basilica di santa Maria in Trastevere a Roma dove i banchi lasciano il posto alle tavole per la mensa dei poveri, la cattedrale di san Paolo del Brasile che nelle inusuali rigide notti d’inverno ospita i senza tetto… Le chiese in muratura, prima di essere la “casa di Dio” – che non ha bisogno di una casa – sono la “casa del popolo di Dio”, a cominciare da chi non ha casa o è comunque provato dalla solitudine, dalla violenza, dal fallimento, dall’abbandono.
Chi, se non la comunità cristiana, è chiamata a far casa a tutti? Quante piaghe, fisiche e morali, feriscono la nostra povera società. Accogliere chi è ferito, ecco la missione della Chiesa, che mostra la sua vera identità “nella capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, nella vicinanza, nella prossimità... E bisogna cominciare dal basso”.
La prima “riforma” della Chiesa “deve essere quella dell’atteggiamento… riscaldare il cuore delle persone, camminare nella notte con loro, saper dialogare e anche scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”. Siamo ben al di là del ritualismo, dell’attestarsi puntigliosamente sui principi morali. Siamo davanti alla persona concreta, che domanda di essere accolta così com’è, nella sua particolare situazione. “Tutto – direbbe ancora papa Francesco – dipende dall’amore che muove il cuore di chi fa le cose”.
È emergenza carestia in Etiopia, dove, a causa del fenomeno climatico chiamato El Nino, anche le zone fertili sono state colpite e rese aride da siccità e assenza di piogge, che hanno decimato raccolti e bestiame, e obbligato migliaia di persone a percorrere lunghi chilometri in cerca di cibo e acqua pulita. Si tratta della siccità più grave degli ultimi 30 anni e sono oltre 13 milioni le persone colpite.
Le più vulnerabili in questo momento sono le persone con disabilità, le prime a essere dimenticate, le ultime a ricevere gli aiuti. Nelle emergenze il tasso di mortalità delle persone con disabilità è doppio rispetto a quello degli altri. Per una persona cieca o con disabilità raggiungere le fonti di acqua e i luoghi dove si distribuisce cibo è ancora più difficile, spesso impossibile. Non solo: la malnutrizione è causa di disabilità per un bambino su 5.
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Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1, 28).
Queste parole hanno suscitato in tempi recenti una forte critica. Esse, ha scritto qualcuno, attribuendo all’uomo un dominio indiscriminato sul resto della natura, sono all’origine dell’attuale crisi ecologica. Viene rovesciato il rapporto del mondo antico, soprattutto dei greci, che vedeva l’uomo in funzione del cosmo, e non il cosmo in funzione dell’uomo (Lynn White, The historical roots of our ecologic crisis in «Science» 1967 e in «Ecology and religion in history» 1974).
Io credo che questa critica, come tante analoghe mosse al testo biblico, parta dal fatto che si interpretano le parole della Bibbia alla luce di categorie secolari ad essa estranee. “Dominate”, non ha qui il significato che la parola ha fuori della Bibbia. Per la Bibbia, il modello ultimo del dominus, del signore, non è il sovrano politico che sfrutta i suoi sudditi, ma è Dio stesso, Signore e padre.
Il dominio di Dio sulle creature non è certo finalizzato al proprio interesse, ma a quello delle creature che egli crea e custodisce. C’è un parallelismo evidente: come Dio è il dominus dell’uomo, così l’uomo deve essere il dominus del resto del creato, cioè responsabile di esso e suo custode. L’uomo è creato perché sia «ad immagine e somiglianza di Dio», non di padroni umani. Il senso del dominio dell’uomo è esplicitato da ciò che segue poco dopo nel testo: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2, 15). Lo esprime molto bene la preghiera Eucaristica IV dove si dice rivolti a Dio: «A tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo perché nell’obbedienza a te, suo creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato».
La fede in un Dio creatore e nell’uomo fatto a immagine di Dio, non è dunque una minaccia, ma piuttosto una garanzia per il creato, e la più forte di tutte. Dice che l’uomo non è padrone assoluto delle altre creature; deve rendere conto di quello che ha ricevuto. La parabola dei talenti ha qui la sua applicazione primordiale: la terra è il talento che tutti insieme abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo rendere conto.
L’idea di un rapporto idillico tra l’uomo e il cosmo, fuori della Bibbia, oltre tutto, è una invenzione letteraria. L’opinione dominante tra i filosofi pagani del tempo tendeva a fare del mondo materiale, sulla scia di Platone, il prodotto di un dio di secondo rango (il Deuteros theos, o Demiurgo), o addirittura, come dirà Marcione, opera di un dio cattivo, diverso dal Dio rivelato da Gesù Cristo. L’anelito era liberarsi dalla materia, non liberare la materia. Una visione, questa, che al tempo di Francesco d’Assisi riviveva nell’eresia dei catari.
Una riprova che non è la visione biblica a favorire la prevaricazione dell’uomo sul creato, è che la mappa dell’inquinamento non coincide affatto con quella della diffusione della religione biblica o di altre religioni, ma coincide piuttosto con quella di una industrializzazione selvaggia, volta solo al profitto, e con quella della corruzione che chiude la bocca a tutte le proteste e resiste a tutti i poteri.
Accanto alla grande affermazione che uomini e cose provengono da un unico principio, il racconto biblico mette in luce, questo sì, una gerarchia di importanza che è la gerarchia stessa della vita e che vediamo inscritta in tutta la natura. Il minerale serve al vegetale che di esso si nutre, il vegetale serve all’animale (è il bue che mangia l’erba non il contrario!), e tutti tre servono alla creatura razionale che è l’uomo.
Questa gerarchia è per la vita, non contro di essa. Essa viene violata, per esempio, quando si fanno spese pazze per degli animali (e non certo per quelli in pericolo di estinzione!), mentre si lasciano morire di fame e di malattie milioni di bambini sotto i propri occhi. Qualcuno vorrebbe abolire del tutto la gerarchia tra gli esseri, posta dalla Bibbia e insita nella natura. Ci si è spinti addirittura a ipotizzare e auspicare un universo futuro senza più la presenza in esso della specie umana, ritenuta dannosa per il resto del creato. La si chiama “ecologia profonda” (è il caso del sito internet VHEMT - Voluntary human extinction movement). Ma questo è chiaramente un non-senso. Sarebbe come se un’immensa orchestra fosse ridotta a suonare una splendida sinfonia, ma nel vuoto totale, senza che ci sia nessuno ad ascoltare e gli stessi suonatori fossero sordi.
Come è rasserenante, in questo contesto, riascoltare le parole del salmo 8 che vogliamo far nostre in questa veglia di preghiera: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi: tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari. O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!».
Passiamo ora al brano evangelico che abbiamo ascoltato: «Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo... Osservate come crescono i gigli del campo. Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”... Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 25-34).
Qui le obiezioni umane diventano un coro di protesta. Non preoccuparsi del domani? Ma non è proprio quello che si propone l’ecologismo e che Papa Francesco fa in tutta la sua enciclica Laudato si’? È salutare che a volte reagiamo così alla parola di Gesù; è sempre l’occasione per scoprire qualcosa di nuovo nelle sue parole.
Anzitutto una precisazione necessaria. Gesù non rivolge quelle parole a tutti indistintamente, ma a coloro che chiama a una sequela radicale, a essere suoi collaboratori nella predicazione del regno, al pari di lui che non aveva dove posare il capo. A quelli che confidano a tal punto nella provvidenza del Padre celeste da non preoccuparsi del domani, egli assicura (e la storia in venti secoli non l’ha mai smentito) tutto il necessario, magari all’ultimo momento.
Ma quelle parole di Gesù oggi parlano anche a tutti noi. Dicono: non preoccupatevi del vostro domani, ma preoccupatevi del domani di quelli che verranno dopo di voi! Non chiedetevi: «Che mangeremo? Che berremo? Che vestiremo?». Chiedetevi piuttosto: «Che mangeranno? Che berranno? Che vestiranno i nostri figli, i futuri abitatori di questo pianeta?».
Un grande studioso dell’antichità cristiana, Adolph von Harnack, ha scritto che quando si tratta di noi stessi, il vangelo ci vuole distaccati dai beni della terra, ma quando si tratta del prossimo non vuole nemmeno sentire parlare di disinteresse e di vivere alla giornata. «La massima speciosa del “libero gioco delle forze”, del “vivere e lasciar vivere” — meglio sarebbe dire: vivere e lascia morire — è in aperta opposizione con il vangelo» (Das Wesen des Christentums, Lipsia 1900. Traduzione italiana L’essenza del cristianesimo, Brescia, Queriniana 1980). Purtroppo questa massima del “vivere e lasciar morire” è quella che nessuno pronuncia, ma molti praticano nella realtà. Gesù, in più occasioni, si preoccupa di dare lui stesso da mangiare alla gente, moltiplicando il pane e i pesci, e alla fine dice di raccogliere i pezzi avanzati «perché nulla vada disperso» (Gv 6, 12). Una parola che bisognerebbe adottare come motto contro lo spreco, soprattutto in campo alimentare.
In realtà, il brano evangelico mette la scure alla radice — la stessa scure alla stessa radice a cui la mette Papa Francesco nella sua enciclica. Lo fa quando dice all’inizio del brano: «Non potete servire Dio e la ricchezza». Nessuno può servire seriamente la causa della salvaguardia del creato se non ha il coraggio di puntare il dito contro l’accumulo di ricchezze esagerate nelle mani di pochi e contro il denaro che ne è la misura.
Sia chiaro: Gesù non ha mai condannato la ricchezza per se stessa. A Zaccheo permette di tenere la metà dei suoi beni che dovevano essere cospicui; tra i suoi amici c’è Giuseppe d’Arimatea definito «uomo ricco» (Mt 27, 57). Quella che Gesù condanna è «la ricchezza disonesta» (Lc 16, 9), la ricchezza accumulata a spese del prossimo, frutto di corruzione e speculazione, la ricchezza sorda ai bisogni del povero: quella, per esempio, del ricco epulone della parabola, che oggi, tra l’altro, non sta più per un individuo, ma un intero emisfero.
Ora possiamo dedicare un po’ di attenzione anche a Francesco d’Assisi e al suo cantico delle creature che Papa Francesco, con felicissima intuizione, ha scelto come cornice spirituale per la sua enciclica. Che cosa possiamo imparare da lui, noi uomini d’oggi?
Francesco è la prova vivente dell’apporto che la fede in Dio può dare allo sforzo comune per la salvaguardia del creato. Il suo amore per le creature è una conseguenza diretta della sua fede nella paternità universale di Dio. Non ha ancora le ragioni pratiche che abbiamo noi oggi per preoccuparci del futuro del pianeta: inquinamento atmosferico, scarsità di acqua pulita... Il suo è un ecologismo puro dagli scopi utilitaristici, per quanto legittimi, che abbiamo noi oggi. Le parole di Gesù «Uno solo è il vostro Padre, quello celeste; voi siete tutti fratelli» (cfr. Mt 23, 8-9), gli bastano. Esse non sono per lui un principio astratto; è l’orizzonte costante dentro cui vive e pensa. Forte di questa certezza, egli ha voluto mettere il mondo intero «in stato di fraternità e in stato di lode».
Le fonti francescane ci riferiscono i sentimenti con cui Francesco si accinse a scrivere il suo cantico: «Voglio, a lode di Dio e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova Lauda del Signore per le sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene». E postosi a sedere, si concentrò a riflettere, e poi disse: «Altissimo, onnipotente, bon Segnore...» (Leggenda Perugina, 43; «Fonti Francescane», 1592).
Le parole del santo che definisce bello il sole, bello fratello fuoco, chiarite e belle le stelle, sono l’eco di quel «E Dio vide che tutto era bello», del racconto della creazione.
Il peccato di fondo contro il creato, che precede tutti gli altri, è di non ascoltare la sua voce, condannarlo irrimediabilmente, direbbe san Paolo, alla vanità, all’insignificanza (cfr. Rom 8, 18 s.). Lo stesso Apostolo parla di un peccato fondamentale che chiama empietà, o «soffocare la verità». Dice che esso è il peccato di chi «pur conoscendo Dio non gli rende gloria e non gli dice grazie» come si conviene a Dio. Questo non è dunque soltanto il peccato degli atei che negano l’esistenza di Dio; è anche il peccato di quei credenti dal cui cuore non è uscito mai un entusiastico «Gloria a Dio nell’alto dei cieli», né un commosso «Grazie a te, Signore». La Chiesa ci mette sulle labbra le parole per farlo quando, nel Gloria della Messa, ci fa dire: «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa».
«I cieli e la terra — dice spesso la Scrittura — sono pieni della sua gloria». Ne sono, per così dire, gravidi. Ma essi non possono, da soli, “sgravarsene”. Come la donna incinta, hanno bisogno anch’essi delle abili mani di una levatrice per dare alla luce ciò di cui sono “gravidi”. E queste “levatrici” della gloria di Dio dobbiamo essere noi. Quanto ha dovuto attendere l’universo, quale lunga rincorsa ha dovuto prendere, per giungere a questo punto! Milioni e miliardi di anni, durante i quali la materia, attraverso la sua opacità, avanzava faticosamente verso la luce della coscienza, come la linfa che dal sottosuolo sale verso la cima dell’albero per espandersi in fiore e frutto. Questa coscienza fu finalmente raggiunta, quando comparve nell’universo «il fenomeno umano». Ma ora che l’universo ha raggiunto il suo traguardo, esige che l’uomo compia il suo dovere, che assuma, per così dire, la direzione del coro e intoni per tutti il «Gloria a Dio nell’alto dei cieli!».
Francesco ci addita la strada per un cambiamento radicale nel nostro rapporto con il creato: essa consiste nel sostituire al possesso la contemplazione. Egli ha scoperto un modo diverso di godere delle cose che è quello di contemplarle, anziché possederle. Può gioire di tutte le cose, perché ha rinunciato a possederne alcuna. Le fonti francescane ci descrivono la situazione di Francesco quando compone il suo Cantico delle creature: «Non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità» (Leggenda Perugina, 1614; «Fonti Francescane», 1591).
Francesco canta la bellezza delle creature quando non è più in grado di vedere nessuna di esse e anzi la semplice luce del sole o del fuoco gli procura atroci dolori! Il possesso esclude, la contemplazione include; il possesso divide, la contemplazione moltiplica. Uno solo può possedere un lago, un parco, e così tutti gli altri ne sono esclusi; migliaia possono contemplare quello stesso lago o parco, e tutti ne godono senza sottrarlo ad alcuno. Si tratta di un possesso più vero e profondo, un possedere dentro, non fuori, con l’anima, non solo con il corpo. Quanti latifondisti si sono mai fermati ad ammirare un fiore dei loro campi o ad accarezzare una spiga del loro grano? La contemplazione permette di possedere le cose senza accaparrarle.
L’esempio di Francesco d’Assisi dimostra che l’atteggiamento religioso e dossologico nei confronti del creato non è senza conseguenze pratiche e operative; non è qualcosa campato in aria. Spinge anche a gesti concreti. Ecco come il primo biografo del Santo riferisce alcuni di questi gesti concreti del Poverello: «Abbraccia tutti gli esseri creati con un amore e una devozione quale non si è mai udito [...]. Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna. Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell’inverno» (Celano, Vita Seconda, 165).
Alcune sue raccomandazioni sembrano scritte oggi, sotto la pressione degli ambientalisti. Egli disse un giorno: «Io non voglio essere ladro di elemosine» (Celano, Vita Seconda, 54), s’intende, ricevendone più del bisogno, sottraendole così a chi ne ha più bisogno di me. Oggi questa regola potrebbe avere un’applicazione quanto mai utile per l’avvenire della terra. Anche noi dovremmo proporci: non voglio essere ladro di risorse, usandone più del dovuto e sottraendole così a chi verrà dopo di me.
Certo, Francesco non aveva la visione globale e planetaria del problema ecologico, ma una visione locale, immediata. Pensava a quello che poteva fare lui ed eventualmente i suoi frati. Anche in questo però egli ci insegna qualcosa. Uno slogan oggi molto di moda dice: Think globally, act locally, pensa globalmente, ma agisci localmente. Che senso ha, per esempio, prendersela con chi inquina l’atmosfera, gli oceani e le foreste, se io non esito a gettare in riva a un torrente o al mare, un sacchetto di plastica che rimarrà lì per secoli, se qualcuno non lo recupera, se butto dove capita, strada o bosco, quello di cui mi voglio liberare, o se imbratto le mura della mia città?
La salvaguardia del creato, come la pace, si fa, direbbe il nostro Santo Padre Francesco, “artigianalmente”, cominciando subito da se stessi. La pace incomincia da te, si ripete spesso nei messaggi per la giornata della pace; anche la salvaguardia del creato comincia da te. Era quello che un rappresentante ortodosso affermava già nell’Assemblea ecumenica di Basilea del 1989 su “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”: «Senza un cambiamento del cuore dell’uomo, l’ecologia non ha speranze di successo».
Concludo la mia riflessione. Poche settimane prima della sua morte san Francesco aggiunse una strofa al suo Cantico, quella che comincia con le parole: «Laudato sii, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore» (Leggenda Perugina, 84). Penso che se vivesse oggi egli aggiungerebbe un’altra strofa ancora al suo cantico: Laudato sii, mi Signore, per tutti quelli che lavorano per proteggere nostra sorella madre Terra, scienziati, politici, capi di tutte le religioni e uomini di buona volontà. Laudato sii, mi Signore per colui che, insieme con il mio nome, ha preso anche il mio messaggio e lo sta portando oggi a tutto il mondo!
L'Osservatore Romano, Edizione quotidiana n. 198 del 2 settembre 2015
Dopo l’enciclica “Laudato si'”, papa Francesco raccoglie – rilanciando anche al mondo cattolico e non solo – un’iniziativa della Chiesa Ortodossa. Per una comune presa di coscienza e un agire in sinergia.
Una mossa dal timbro decisamente ecumenico, questa di papa Francesco di dedicare una “Giornata di preghiera mondiale per la cura del Creato”. Egli infatti non solo ha individuato nell’attuale crisi ecologica una delle urgenze più scottanti del nostro tempo, ma ha voluto evidenziare l’improrogabile esigenza di agire – in ecologia, come nelle altre sfide che interpellano l’umanità – non più frammentati e isolati ma “insieme”.
L’idea della “Giornata di preghiera” gliel’aveva proposta il Metropolita greco-ortodosso Ioannis di Pergamo, intervenuto alla presentazione dell’enciclica Laudato sì nel giugno scorso. E per sottolineare quel valore aggiunto alla preghiera che è il “si consenserint” (se chiedete uniti) del Vangelo, nella lettera con cui istituisce la “Giornata” (6.8.15), il Papa esordisce: «Condividendo con l’amato fratello il Patriarca Ecumenico Bartolomeo le preoccupazioni per il futuro del Creato, ed accogliendo il suggerimento del suo rappresentante, il Metropolita Ioannis …». Come a dire: non è importante a chi sia venuta l’idea: si può sempre imparare gli uni dagli altri! E per ribadire il concetto, verso la fine della lettera, il Papa sollecita il card. Koch, presidente del dicastero per l’Unità dei cristiani, a «curare il coordinamento con iniziative simili intraprese dal Consiglio Ecumenico delle Chiese».
Tale Consiglio Ecumenico (CEC), infatti, dedica al periodo che va dall’1° settembre (primo giorno dell’anno liturgico nella tradizione ortodossa) al 4 ottobre (giorno di San Francesco d’Assisi nella tradizione cattolica), il motto “Il tempo per il creato”, con iniziative per l’ambiente e la sua interrelazione con la giustizia e la pace.
Significativa dunque la scelta del Papa di voler celebrare la “Giornata” il 1° settembre di ogni anno, la stessa dei fratelli ortodossi e giorno d’inizio del “tempo” che vi dedica il CEC. Come pure significativo è il suo auspicio che si uniscano anche altre chiese e comunità ecclesiali, facendola diventare un’occasione proficua per «testimoniare la nostra crescente comunione».
Questa “Giornata” che offre «la preziosa opportunità di rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato, elevando a Dio il ringraziamento per l’opera meravigliosa che Egli ha affidato alla nostra cura», proprio perché destinata a coinvolgere cristiani appartenenti a varie Chiese ma che parlano con una sola voce, diventa un ulteriore passo concreto per dare al mondo un messaggio cristiano comune.
La passione per il Creato caratterizza l’impegno dei Focolari, che con la sua rete internazionale EcoOne offre a quanti lavorano nel campo ambientale uno spazio di confronto sia a livello di pensiero che di iniziative concrete. Come è pure significativo l’impegno del Movimento in campo ecumenico, con il suo tipico dialogo della vita.
Per i Focolari dunque la “Giornata” rappresenta un provvidenziale, magnifico appuntamento planetario che riunisce in preghiera tutti i suoi membri per impetrare da Dio la salvaguardia della Casa che ospita la grande Famiglia Umana. Ma anche per individuare, insieme a persone di buona volontà, di qualunque credo o convinzione esse siano, nuove strategie e nuove risposte, in ordine all’ambiente e, a partire da esso, alla realizzazione di un mondo più unito.
Città del Vaticano, 26 Agosto 2015 (ZENIT.org)
Martedì prossimo, 1 settembre, si celebrerà la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato. Lo ha annunciato papa Francesco a conclusione dell’Udienza Generale di oggi.
“In comunione di preghiera con i nostri fratelli ortodossi e con tutte le persone di buona volontà, vogliamo offrire il nostro contributo al superamento della crisi ecologica che l’umanità sta vivendo”, ha sottolineato il Pontefice.
“In tutto il mondo – ha proseguito - le varie realtà ecclesiali locali hanno programmato opportune iniziative di preghiera e di riflessione, per rendere tale Giornata un momento forte anche in vista dell’assunzione di stili di vita coerenti”.
Il Santo Padre ha quindi dato appuntamento ai vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Curia romana, alla Basilica di San Pietro alle ore 17, per la Liturgia della Parola, alla quale ha invitato a partecipare “i romani, e i pellegrini e quanti lo desiderano”.
Ai Venerati Fratelli
Cardinale Peter Kodwo Appiah TURKSON
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Cardinale Kurt KOCH
Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani
Condividendo con l’amato fratello il Patriarca Ecumenico Bartolomeo le preoccupazioni per il futuro del creato (cfr Lett. Enc. Laudato si’, 7-9), ed accogliendo il suggerimento del suo rappresentante, il Metropolita Ioannis di Pergamo, intervenuto alla presentazione dell’Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, desidero comunicarvi che ho deciso di istituire anche nella Chiesa Cattolica la “Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato”, che, a partire dall’anno corrente, sarà celebrata il 1° settembre, così come già da tempo avviene nella Chiesa Ortodossa.
Come cristiani vogliamo offrire il nostro contributo al superamento della crisi ecologica che l’umanità sta vivendo. Per questo dobbiamo prima di tutto attingere dal nostro ricco patrimonio spirituale le motivazioni che alimentano la passione per la cura del creato, ricordando sempre che per i credenti in Gesù Cristo, Verbo di Dio fattosi uomo per noi, «la spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che li circonda» (ibid., 216). La crisi ecologica ci chiama dunque ad una profonda conversione spirituale: i cristiani sono chiamati ad una «conversione ecologica che comporta il lasciare emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda» (ibid., 217). Infatti, «vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (ibid).
L’annuale Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato offrirà ai singoli credenti ed alle comunità la preziosa opportunità di rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato, elevando a Dio il ringraziamento per l’opera meravigliosa che Egli ha affidato alla nostra cura, invocando il suo aiuto per la protezione del creato e la sua misericordia per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo. La celebrazione della Giornata, nella stessa data, con la Chiesa Ortodossa sarà un’occasione proficua per testimoniare la nostra crescente comunione con i fratelli ortodossi. Viviamo in un tempo in cui tutti i cristiani affrontano identiche ed importanti sfide, alle quali, per risultare più credibili ed efficaci, dobbiamo dare risposte comuni. Per questo, è mio auspicio che tale Giornata possa coinvolgere, in qualche modo, anche altre Chiese e Comunità ecclesiali ed essere celebrata in sintonia con le iniziative che il Consiglio Ecumenico delle Chiese promuove su questo tema.
A Lei, Cardinale Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, chiedo di portare a conoscenza delle Commissioni Giustizia e Pace delle Conferenze episcopali, nonché degli Organismi nazionali e internazionali impegnati in ambito ecologico, l’istituzione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, affinché, in armonia con le esigenze e le situazioni locali, la celebrazione sia debitamente curata con la partecipazione dell’intero Popolo di Dio: sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici. A tale scopo, sarà premura di codesto Dicastero, in collaborazione con le Conferenze Episcopali, attuare opportune iniziative di promozione e di animazione, affinché questa celebrazione annuale sia un momento forte di preghiera, riflessione, conversione e assunzione di stili di vita coerenti.
A Lei, Cardinale Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, chiedo di prendere i necessari contatti con il Patriarcato Ecumenico e con le altre realtà ecumeniche, affinché tale Giornata Mondiale possa diventare segno di un cammino percorso insieme da tutti i credenti in Cristo. Sarà premura inoltre di codesto Dicastero curare il coordinamento con iniziative simili intraprese dal Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Mentre auspico la più ampia collaborazione per il migliore avvio e sviluppo della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, invoco l’intercessione della Madre di Dio Maria Santissima e di san Francesco d’Assisi, il cui Cantico delle Creature ispira tanti uomini e donne di buona volontà a vivere nella lode del Creatore e nel rispetto del creato. Avvalora questi voti la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi, Signori Cardinali, e a quanti collaborano nel vostro ministero.
Dal Vaticano, 6 agosto 2015
Festa della Trasfigurazione del Signore
FRANCISCUS
DISCORSO INTEGRALE alla CEI - 18 Maggio 2015
Cari fratelli, buon pomeriggio, saluto tutti e saluto i nuovi nominati dopo l'ultima Assemblea, e anche i due nuovi Cardinali, creati dopo l'ultima Assemblea.
Quando io sento questo passo del Vangelo di Marco, io penso: ma questo Marco ce l'ha con la Maddalena! Perché fino all'ultimo momento ci ricorda che lei aveva ospitato sette demoni. Ma poi penso: e io quanti ne ho ospitati? E rimango zitto. Vorrei innanzitutto esprimervi il mio ringraziamento per questo incontro e per il tema che avete scelto: l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”.
La gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione - in questo quadro realisticamente poco confortante - la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri. La nostra vocazione è ascoltare ciò che il Signore ci chiede: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio” (Is 40, 1). Infatti, a noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene solo da Dio.
Anche Gesù ci dice: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null'altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5, 13). È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi.
Oggi perciò, sapendo che avete scelto, quale argomento di questo incontro, l’Esortazione Evangelii Gaudium, vorrei ascoltare le vostre idee, le vostre domande, e condividere con voi alcune mie domande e riflessioni.
I miei interrogativi e le mie preoccupazioni nascono da una visione globale e soprattutto dagli innumerevoli incontri che ho avuto in questi due anni con le Conferenze Episcopali, ove ho notato l’importanza di quello che si può definire la sensibilità ecclesiale: ossia appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza e di saggezza.
La sensibilità ecclesiale che comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata cheè riuscita aimpoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi. Sensibilità ecclesiale che, come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la degnità umana.
La sensibilità ecclesiale si manifesta anche nelle scelte pastorali e nella elaborazione dei Documenti, ove non deve prevalere l'aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese - ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti - invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili.
La sensibilità ecclesiale e pastorale si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilitàche a loro competono. In realtà, i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!
Infine, la sensibilità ecclesiale si rivela concretamente nella collegialità e nella comunione tra i Vescovi e i loro Sacerdoti; nella comunione tra i Vescovi stessi; tra le Diocesi ricche - materialmente e vocazionalmente - e quelle in difficoltà; tra le periferie e il centro; tra le conferenze episcopali e i Vescovi con il successore di Pietro.
Si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l'abitudine di verificare la recezione di programmi e l'attuazione dei progetti, ad esempio, si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare.
Un altro esempio: perché si lasciano invecchiare così tanto gli Istituti religiosi, Monasteri, Congregazioni, tanto da non essere quasi più testimonianze evangeliche fedeli al carisma fondativo? Perché non si provvede ad accorparli prima che sia tardi sotto tanti punti di vista?
Mi fermo qui, dopo aver voluto offrire soltanto alcuni esempi sulla sensibilità ecclesiale indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e dalla crisi che non risparmia nemmeno la stessa identità cristiana ed ecclesiale.
Possa il Signore - durante il Giubileo della Misericordia che avrà inizio il prossimo otto dicembre - concederci «la gioia di riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione a ogni uomo e a ogni donna del nostro tempo ... Affidiamo fin d’ora questo Anno
Santo alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino» (Omelia 13 marzo 2015).
Ora lascio a voi il tempo per proporre le vostre riflessioni, le vostre idee, le vostre domande sulla Evangelii Gaudium e vi ringrazio di cuore!
P. Raniero Cantalamessa
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