Saluto il Cardinale, i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli. A Cesena sono stato.
Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11). Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio. Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa. Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus» - «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr Pio VII, Alloc. Ad supremum, 6).
Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia.
Primo: la comunione. Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci. I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche. Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto. E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo. Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile. E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!
Una cosa che aiuta tanto la comunione è il saper parlare bene. Cosa vuol dire? Dico il contrario: parlare male, il chiacchiericcio, distrugge la comunione. Non so se nelle vostre diocesi c’è il chiacchiericcio, credo di no, perché tutti voi dalla faccia siete buonissimi… Ma nel caso che ci fosse qualche chiacchiericcio, c’è un rimedio molto buono: mordersi la lingua. Quando ti viene voglia di sparlare o “spellare” l’altro, morditi la lingua e farai un bel lavoro di comunità, di unità nella comunità.
E tutto questo – la comunione, il cercare l’unità della Chiesa – ci porta al secondo punto: la testimonianza. Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita. Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9). È bello questo che diceva! E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr San Leone Magno, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.
E veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia. Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative nel suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr Pio VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca.
Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo. Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia. A volte mandava dei messaggi nascosti nella biancheria; e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria! Ed è una cosa bella: è un uomo intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello.
Era anche un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono. Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia. Grande!
Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace, e quella furbizia evangelica che il Signore ci raccomanda. Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio. Ma questo non vuol dire che siamo stupidi, no, quella non è mansuetudine. Mansuetudine sì, ma furbi come il Signore ci raccomanda. Semplici come la colomba ma furbi come il serpente.
Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie. E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!