Giovedì 18 Aprile 2024
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Le parole del Papa


CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA

Basilica Vaticana, Venerdì 4 Marzo 2016


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

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«Che io veda di nuovo» (Mc 10,51). È questa la richiesta che oggi vogliamo rivolgere al Signore. Vedere di nuovo, dopo che i nostri peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene e ci hanno distolto dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta.

 

Questo brano di Vangelo ha un grande valore simbolico, perché ognuno di noi si trova nella situazione di Bartimeo. La sua cecità lo aveva portato alla povertà e a vivere ai margini della città, dipendendo dagli altri in tutto. Anche il peccato ha questo effetto: ci impoverisce e ci isola. E’ una cecità dello spirito, che impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene. Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare la vista del cuore e di renderlo miope! Quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale! Guardando solo al nostro io, diventiamo ciechi, spenti e ripiegati su noi stessi, privi di gioia e privi di libertà. E’ così brutto!

 

Ma Gesù passa; passa e non va oltre: «si fermò», dice il Vangelo (v. 49). Allora un fremito attraversa il cuore, perché ci si accorge di essere guardati dalla Luce, da quella Luce gentile che ci invita a non rimanere rinchiusi nelle nostre scure cecità. La presenza vicina di Gesù fa sentire che lontani da Lui ci manca qualcosa di importante. Ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore. Poi, quando il desiderio di essere guariti si fa audace, conduce alla preghiera, a gridare con forza e insistenza aiuto, come ha fatto Bartimeo: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47).

 

Purtroppo, come quei «molti» del Vangelo, c’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi, che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio (cfr v. 48). È la tentazione di andare avanti come se nulla fosse, ma in questo modo si rimane distanti dal Signore e si tengono lontani da Gesù anche gli altri. Riconosciamo di essere tutti mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa. «Ho paura del Signore che passa», diceva sant’Agostino. Paura che passi e io lo lasci passare. Diamo voce al nostro desiderio più vero: «[Gesù], che io veda di nuovo!» (v. 51). Questo Giubileo della Misericordia è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore. Come Bartimeo, gettiamo via il mantello e alziamoci in piedi (cfr v. 50): buttiamo via, cioè, quello che impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati; non rimaniamo seduti, rialziamoci, ritroviamo la nostra statura spirituale - in piedi - la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati. E la parola forse che oggi arriva nel nostro cuore, è la stessa della creazione dell’uomo: “Alzati!”. Dio ci ha creati in piedi: “Alzati!”.

 

Oggi più che mai, soprattutto noi Pastori siamo anche chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore. Siamo tenuti a rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano dalla tenerezza di Dio. Non dobbiamo certo sminuire le esigenze del Vangelo, ma non possiamo rischiare di rendere vano il desiderio del peccatore di riconciliarsi con il Padre, perché il ritorno a casa del figlio è ciò che il Padre attende prima di tutto (cfr Lc 15,20-32).

 

Le nostre parole siano quelle dei discepoli che, ripetendo le stesse espressioni di Gesù, dicono a Bartimeo: «Coraggio! Alzati, ti chiama» (v. 49). Siamo mandati ad infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù. Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore. Non dimentichiamo: è solo Dio che agisce in ogni persona. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce. Noi siamo stati scelti – noi pastori – per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia. Che ogni uomo e donna che si accosta al confessionale trovi un padre; trovi un padre che l’aspetta; trovi il Padre che perdona.

 

La conclusione del racconto evangelico è carica di significato: Bartimeo «subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (v. 52). Anche noi, quando ci accostiamo a Gesù, rivediamo la luce per guardare al futuro con fiducia, ritroviamo la forza e il coraggio per metterci in cammino. Infatti «chi crede, vede» (Lett. enc. Lumen fidei, 1) e va avanti con speranza, perché sa che il Signore è presente, sostiene e guida. Seguiamolo, come discepoli fedeli, per fare partecipi quanti incontriamo sul nostro cammino della gioia del suo amore. E dopo l’abbraccio del Padre, il perdono del Padre, facciamo festa nel nostro cuore! Perché Lui fa festa!

 



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 10 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 14. La fortezza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La catechesi di oggi è dedicata alla terza delle virtù cardinali, vale a dire la fortezza. Partiamo dalla descrizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni» (n. 1808). Così dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla virtù della fortezza.

Ecco, dunque, la più “combattiva” delle virtù. Se la prima delle virtù cardinali, vale a dire la prudenza, era soprattutto associata alla ragione dell’uomo; e mentre la giustizia trovava la sua dimora nella volontà; questa terza virtù, la fortezza, è spesso legata dagli autori scolastici a ciò che gli antichi chiamavano “appetito irascibile”. Il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni: sarebbe un sasso. E non è detto che le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate, vanno indirizzate, vanno purificate con l’acqua del Battesimo, o meglio con il fuoco dello Spirito Santo. Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile. Pensiamo a questo! Gesù non è un Dio diafano e asettico, che non conosce le emozioni umane. Al contrario. Davanti alla morte dell’amico Lazzaro scoppia in pianto; e in certe sue espressioni traspare il suo animo appassionato, come quando dice: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49); e davanti al commercio nel tempio ha reagito con forza (cfr Mt 21,12-13). Gesù aveva passione.

Ma cerchiamo ora una descrizione esistenziale di questa virtù così importante che ci aiuta a portare frutto nella vita. Gli antichi – sia i filosofi greci, che i teologi cristiani – riconoscevano nella virtù della fortezza un duplice andamento, uno passivo e un altro attivo.

Il primo è rivolto dentro noi stessi. Ci sono nemici interni che dobbiamo sconfiggere, che vanno sotto il nome di ansia, di angoscia, di paura, di colpa: tutte forze che si agitano nel nostro intimo e che in qualche situazione ci paralizzano. Quanti lottatori soccombono prima ancora di iniziare la sfida! Perché non si rendono conto di questi nemici interni. La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi stessi. La maggior parte delle paure che nascono in noi sono irrealistiche, e non si avverano per nulla. Meglio allora invocare lo Spirito Santo e affrontare tutto con paziente fortezza: un problema alla volta, come siamo capaci, ma non da soli! Il Signore è con noi, se confidiamo in Lui e cerchiamo sinceramente il bene. Allora in ogni situazione possiamo contare sulla Provvidenza di Dio che ci fa da scudo e corazza.

E poi il secondo movimento della virtù della fortezza, questa volta di natura più attiva. Oltre alle prove interne, ci sono nemici esterni, che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci aspettavamo e che ci sorprendono. Infatti, noi possiamo tentare di prevedere quello che ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare qualche volta la nostra barca viene sballottata dalle onde. La fortezza allora ci fa essere marinai resistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano.

La fortezza è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo. Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte. Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano. La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un “no”, un “no” secco a tutto questo. Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti. Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie. C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza. “No” al male e “no” all’indifferenza; “sì” al cammino, al cammino che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.

Riscopriamo allora nel Vangelo la fortezza di Gesù, e impariamola dalla testimonianza dei santi e delle sante. Grazie!

Papa Francesco