Martedì 22 Ottobre 2024
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Le parole del Papa


SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI E IL COLLEGIO CARDINALIZIO APERTURA DELL´ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Piazza San Pietro, San Francesco d´Assisi - Mercoledì, 4 ottobre 2023

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

Il Vangelo che abbiamo ascoltato è preceduto dal racconto di un momento difficile della missione di Gesù, che potremmo definire di “desolazione pastorale”: Giovanni Battista dubita che sia davvero lui il Messia; tante città che ha attraversato, nonostante i prodigi compiuti, non si sono convertite; la gente lo accusa di essere un mangione e un beone, mentre poco prima si era lamentata del Battista perché era troppo austero (cfr Mt 11,2-24). Tuttavia vediamo che Gesù non si lascia risucchiare dalla tristezza, ma alza gli occhi al cielo e benedice il Padre perché ha rivelato ai semplici i misteri del Regno di Dio: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Nel momento della desolazione, dunque, Gesù ha uno sguardo capace di vedere oltre: loda la sapienza del Padre e riesce a scorgere il bene nascosto che cresce, il seme della Parola accolto dai semplici, la luce del Regno di Dio che si fa strada anche nella notte.

 

Cari fratelli Cardinali, confratelli Vescovi, sorelle e fratelli, siamo all’apertura dell’Assemblea Sinodale. E non ci serve uno sguardo immanente, fatto di strategie umane, calcoli politici o battaglie ideologiche – se il Sinodo darà questo permesso, quell’altro, aprirà questa porta, quell’altra – questo non serve. Non siamo qui per portare avanti una riunione parlamentare o un piano di riforme. Il Sinodo, cari fratelli e sorelle, non è un parlamento. Il protagonista è lo Spirito Santo. No. Non siamo qui per fare parlamento, ma per camminare insieme con lo sguardo di Gesù, che benedice il Padre e accoglie quanti sono affaticati e oppressi. Partiamo dunque dallo sguardo di Gesù, che è uno sguardo benedicente e accogliente.

1. Vediamo il primo aspetto: uno sguardo benedicente. Pur avendo sperimentato il rifiuto e aver visto attorno a sé tanta durezza di cuore, Cristo non si lascia imprigionare dalla delusione, non diventa amaro, non spegne la lode; il suo cuore, fondato nel primato del Padre, rimane sereno pure nella tempesta.

Questo sguardo benedicente del Signore invita anche noi a essere una Chiesa che, con animo lieto, contempla l’azione di Dio e discerne il presente. E che, fra le onde talvolta agitate del nostro tempo, non si perde d’animo, non cerca scappatoie ideologiche, non si barrica dietro convinzioni acquisite, non cede a soluzioni di comodo, non si lascia dettare l’agenda dal mondo. Questa è la sapienza spirituale della Chiesa, sintetizzata con serenità da San Giovanni XXIII: «È necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato» (Discorso per la solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).

Lo sguardo benedicente di Gesù ci invita a essere una Chiesa che non affronta le sfide e i problemi di oggi con uno spirito divisivo e conflittuale ma che, al contrario, volge gli occhi a Dio che è comunione e, con stupore e umiltà, lo benedice e lo adora, riconoscendolo suo unico Signore. Apparteniamo a Lui e – ricordiamolo – esistiamo solo per portare Lui al mondo. Come ci ha detto l’Apostolo Paolo, non abbiamo altro «vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo»(Gal 6,14). Questo basta, Lui ci basta. Non vogliamo glorie terrene, non vogliamo farci belli agli occhi del mondo, ma raggiungerlo con la consolazione del Vangelo, per testimoniare meglio, e a tutti, l’amore infinito di Dio. Infatti, come ha affermato Benedetto XVI proprio parlando a un’Assemblea sinodale, «la questione per noi è: Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza?» (Meditazione nella I Congregazione generale della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 8 ottobre 2012). Questa è la domanda fondamentale. E questo è il compito primario del Sinodo: ricentrare il nostro sguardo su Dio, per essere una Chiesa che guarda con misericordia l’umanità. Una Chiesa unita e fraterna – o almeno che cerca di essere unita e fraterna –, che ascolta e dialoga; una Chiesa che benedice e incoraggia, che aiuta chi cerca il Signore, che scuote beneficamente gli indifferenti, che avvia percorsi per iniziare le persone alla bellezza della fede. Una Chiesa che ha Dio al centro e che, perciò, non si divide all’interno e non è mai aspra all’esterno. Una Chiesa che rischia con Gesù. Così Gesù vuole la Chiesa, così vuole la sua Sposa.

2. Dopo questo sguardo benedicente, contempliamo lo sguardo accogliente di Cristo. Mentre coloro che si credono sapienti non riescono a riconoscere l’opera di Dio, Lui esulta nel Padre perché si rivela ai piccoli, ai semplici, ai poveri in spirito. Una volta c’era una difficoltà in una parrocchia e la gente parlava di quella difficoltà, mi diceva le cose. E un’anziana, molto anziana, una signora del popolo, quasi analfabeta, ha fatto un intervento proprio da teologo, e con tanta mitezza e saggezza spirituale ha dato il suo contributo. Ricordo quel momento come una rivelazione del Signore, anche con gioia; e mi è venuto in mente di domandarle: “Mi dica, signora, lei dove ha studiato, con Royo Marín, questa teologia così forte?”. La gente saggia del popolo ha questa fede. E perciò, in tutta la sua vita, Egli assume questo sguardo ospitale verso i più deboli, i sofferenti, gli scartati. A loro, in particolare, si rivolge dicendo quanto abbiamo ascoltato: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

Questo sguardo accogliente di Gesù invita anche noi ad essere una Chiesa ospitale, non con le porte chiuse. In un tempo complesso come il nostro, emergono sfide culturali e pastorali nuove, che richiedono un atteggiamento interiore cordiale e gentile, per poterci confrontare senza paura. Nel dialogo sinodale, in questa bella “marcia nello Spirito Santo” che compiamo insieme come Popolo di Dio, possiamo crescere nell’unità e nell’amicizia con il Signore per guardare alle sfide di oggi con il suo sguardo; per diventare, usando una bella espressione di San Paolo VI, una Chiesa che «si fa colloquio» (Lett. enc. Ecclesiam suam, n. 67). Una Chiesa “dal giogo dolce” (cfr Mt 11,30), che non impone pesi e che a tutti ripete: “Venite, affaticati e oppressi, venite, voi che avete smarrito la via o vi sentite lontani, venite, voi che avete chiuso le porte alla speranza: la Chiesa è qui per voi!”.  La Chiesa delle porte aperte a tutti, tutti, tutti!

3. Fratelli e sorelle, Popolo santo di Dio, dinanzi alle difficoltà e alle sfide che ci attendono, lo sguardo benedicente e accogliente di Gesù ci impedisce di cadere in alcune tentazioni pericolose: di essere una Chiesa rigida – una dogana –, che si arma contro il mondo e guarda all’indietro; di essere una Chiesa tiepida, che si arrende alle mode del mondo; di essere una Chiesa stanca, ripiegata su sé stessa. Nel libro dell’Apocalisse, il Signore dice: “Io sono alla porta e busso perché la porta sia aperta”; ma tante volte, fratelli e sorelle, Lui bussa alla porta, però dall’interno della Chiesa, perché lasciamo il Signore uscire con la Chiesa a proclamare il suo Vangelo.

Camminiamo insieme: umili, ardenti e gioiosi. Camminiamo sulle orme di San Francesco d’Assisi, il Santo della povertà e della pace, il “folle di Dio” che ha portato nel corpo le stigmate di Gesù e, per rivestirsi di Lui, si è spogliato di tutto. Com’è difficile questa spogliazione interiore e anche esteriore di tutti noi e anche delle istituzioni! San Bonaventura racconta che, mentre pregava, il Crocifisso gli disse: «Va’ e ripara la mia chiesa» (Legenda maior, II, 1). Il Sinodo serve a ricordarci questo: la nostra Madre Chiesa ha sempre bisogno di purificazione, di essere “riparata”, perché noi tutti siamo un Popolo di peccatori perdonati – ambedue le cose: peccatori perdonati –, sempre bisognosi di ritornare alla fonte che è Gesù e di rimetterci sulle strade dello Spirito per raggiungere tutti col suo Vangelo. Francesco di Assisi, in un tempo di grandi lotte e divisioni, tra il potere temporale e quello religioso, tra la Chiesa istituzionale e le correnti eretiche, tra i cristiani e altri credenti, non criticò e non si scagliò contro nessuno, imbracciando solo le armi del Vangelo, cioè l’umiltà e l’unità, la preghiera e la carità. Facciamo anche noi così! Umiltà e unità, preghiera e carità.

E se il Popolo santo di Dio con i suoi pastori, da ogni parte del mondo, nutre attese, speranze e pure qualche paura sul Sinodo che iniziamo, ricordiamo ancora che esso non è un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito; non un parlamento polarizzato, ma un luogo di grazia e di comunione. Lo Spirito Santo, poi, spesso frantuma le nostre aspettative per creare qualcosa di nuovo, che supera le nostre previsioni e le nostre negatività. Forse posso dire che i momenti più fruttuosi nel Sinodo sono quelli di preghiera, anche l’ambiente di preghiera, con il quale il Signore agisce in noi. Apriamoci a Lui e invochiamo Lui: Lui è il protagonista, lo Spirito Santo. Lasciamo che Lui sia il protagonista del Sinodo! E con Lui camminiamo, nella fiducia e con gioia.



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro - Mercoledì, 9 Ottobre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 8. «Tutti furono colmati di Spirito Santo». Lo Spirito Santo negli Atti degli Apostoli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa, oggi facciamo riferimento al Libro degli Atti degli Apostoli.

Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori – il vento fragoroso e le lingue di fuoco –, ma trova la sua conclusione nell’affermazione: «E tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). San Luca – che ha scritto gli Atti degli Apostoli – mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere “colmati di Spirito Santo” è che gli Apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue» e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla (cfr At 2,4ss).

Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa.

Il primo dei due movimenti – l’universalità – lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra “pentecoste”, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani (cfr At 10-11).

A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo – si legge sempre negli Atti degli Apostoli (cfr 16,6-10) – voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, «lo Spirito Santo glielo aveva impedito»; voleva passare in Bitinia «ma lo Spirito di Gesù non lo permise». Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa.

Il secondo movimento dello Spirito Santo – quello che crea l’unità – lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste. Lo fa anche – e nella maggioranza dei casi – con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo. La sua soluzione fu annunciata a tutta la Chiesa con le ben note parole: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...» (At 15,28).

Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: «Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa» [1]. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. È Lui stesso il “vincolo di unità”. È Lui che fa l’unità della Chiesa.

Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere.

Il motivo – per cui è difficile l’unità tra noi – è che ognuno vuole, sì, che si faccia l’unità, ma intorno al proprio punto di vista, senza pensare che l’altro che gli sta davanti pensa esattamente la stessa cosa circa il “suo” punto di vista. Per questa via, l’unità non fa che allontanarsi. L’unità di vita, l’unità di Pentecoste, secondo lo Spirito, si realizza quando ci si sforza di mettere al centro Dio, non sé stessi. Anche l’unità dei cristiani si costruisce così: non aspettando che gli altri ci raggiungano là dove noi siamo, ma muovendoci insieme verso Cristo.

Chiediamo allo Spirito Santo che ci aiuti ad essere strumenti di unità e di pace.

[1] Discorsi, 267, 4

Papa Francesco