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Africa di ieri e di oggi


Padre Ambati, il missionario ex luterano che dialoga coi musulmani

Di Padre Piero Gheddo

 

Convertito al cattolicesimo a 22 anni, sacerdote a 35, padre Xavier oggi svolge una missione nel Nord Camerun minacciato dal terrorismo

 

ROMA, 21 Aprile 2015 (Zenit.org) - Il Nord del Camerun è pesantemente infiltrato dai Boko Aram che arrivano dallo stato di Borno nel nord della Nigeria, dove è già vigente la legge coranica “sharia” e quasi ogni giorno ci sono scuole e villaggi cristiani vittime degli estremisti dell’islam. Il confine tra Camerun e Nigeria, lungo più di 2.000 km, passa in foreste e steppe senza alcuna barriera divisoria. I Boko Aram entrano facilmente e reclutano giovani musulmani disoccupati, mandando 250 dollari al mese alle loro famiglie (insegnanti e infermiere guadagnano circa 70-80 dollari); se poi questi giovani vogliono ritirarsi, tagliano la gola a loro e ai loro famigliari in Camerun; assaltano villaggi, fermano pullman di servizio statale facendo strage dei musulmani che non sanno leggere il Corano e degli uomini cristiani; portano in Nigeria le loro donne e i bambini come ostaggi. Le ambasciate occidentali hanno ordinato ai loro cittadini di ritirarsi dal Nord Camerun, diviso dal Sud, dove l’islam è poco presente, da 900 km di foreste.

 

Chi è rimasto nel Nord? Missionari e suore per assistere i loro cristiani. Il Nord Camerun ha circa 7 milioni di abitanti, 1,5 musulmani e 350.000 cristiani, ma la maggioranza della popolazione è ancora animista e diverse tribù tendono a convertirsi a Cristo. Siamo in una vera missione ad gentes. Se nel Nord non ci fosse personale religioso straniero, le quattro diocesi locali non potrebbero sopravvivere. Dal 1967 il Pime è presente nel Sud Camerun e nel Nord dal 1974, dove lavora in due diocesi (Maroua e Yagoua), soprattutto in due tribù, Ghizigà e Toupurì, con una dozzina di preti e fratelli, fra i quali il sacerdote indiano Xavier Ambati, che ha una storia interessante.

 

Nato nel 1968 a Nandigama in Andhra Pradesh da genitori che erano insegnanti in scuole luterane e ancor oggi Xavier parla con ammirazione della rigorosa formazione dei luterani. A 22 anni, quando già studiava all’Università, si è convertito alla Chiesa cattolica ed è stato ordinato sacerdote del Pime nel 2003. Da 11 anni è nel Nord Camerun, negli ultimi anni a contatto con l’islam estremista e i Boko Aram. All’inizio è stato a Mouturwa, parrocchia fondata e poi consegnata al vescovo locale. Padre Xavier è andato a Kousseri (città islamica, 100.000 abitanti) ai confini con Ciad e Nigeria, dove padre Giovanni Malvestio stava costruendo chiesa, scuola e varie opere parrocchiali per i pochi cristiani della città. Mentre era a Kousseri, da lunedì a venerdì Xavier andava a fondare la Chiesa a Wazà vicina all’omonimo Parco nazionale e a 7 km dalla Nigeria, sabato e domenica tornava a Kousseri per aiutare nella pastorale domenicale.

 

Padre Ambati nei villaggi animisti e musulmani

 

Intervistato a Milano, padre Xavier racconta: A Wazà un missionario francese aveva costruito una grande sala in muratura che serviva da chiesa e da luogo di riunione e scuola. Non avevo casa e dormivo su un materassino in chiesa. Portavo con me 5-6 giovani cristiani di Kousseri, incontravamo la gente, si parlava di Gesù Cristo e della Chiesa, si girava nei villaggi a cercare i cristiani, ma erano pochi. Ci facevamo conoscere come missione cattolica che doveva nascere a Wazà, lasciando immagini di Gesù e della Madonna nelle loro capanne. Chi era interessato al cristianesimo ci dava il suo nome e promettevamo di ritornare. Io parlavo francese, i giovani traducevano nella lingua locale. A volte celebravo la Messa con la cappella piena di gente ma le comunioni erano poche, oltre a quelle dei miei giovani. In sei-sette villaggi ho costruito la cappella in fango e paglia, come segno che volevano conoscere il cristianesimo. Nel 1913 i Boko Aram si sono infiltrati in Camerun dalla Nigeria, l’esercito camerunese è intervenuto e a Natale e Pasqua 2013 quando celebravo la Messa, i soldati che difendevano la chiesa erano trenta, la gente quasi tutta animista. In quelle regioni di frontiera fra cristianesimo e islam, se non prendiamo subito gli animisti, diventano musulmani. Nel mondo moderno, l’animismo non conta più niente, quindi bisogna scegliere: o diventare cristiani o essere costretti a diventare musulmani. Con i ragazzi cattolici che venivano con me, portavamo da Kousseri qualcosa da mangiare, ma in genere mangiavamo quello che avevano le famiglie dei villaggi. A volte io comperavo nei mercatini locali del miglio e mangiavamo polenta di miglio con qualche famiglia; e con la polenta qualche pesce secco e altri animali di foresta come i topi e qualche erba di foresta bollita. La gente mangiava quello e anche per noi, mattino, mezzogiorno e sera il nostro cibo era quello. Una vera penitenza ma anche i ragazzi con me la facevano volentieri.

 

Un “Campo di lavoro” per i giovani camerunesi

 

Il Natale 2012 è stata una delle feste più solenni che ho celebrato a Wazà, poco prima che arrivassero i cinesi. Per prepararci al Natale, ho organizzato, con l’aiuto di padre Giovanni Malvestìo e del sacerdote diocesano don David Menema (suo collaboratore a Kousserì), un “Campo di lavoro per giovani” di cinque giorni come si fa in Italia. In quella cittadina isolata vicina al Parco Nazionale, è stato un successo notevole, anche perché il Natale è sentito dai musulmani come una festa religiosa popolare di tutti.

 

La vigilia del Natale sono andato da Kousserì a Wazà con un seminarista e sei giovani cristiani, accolti bene dalle autorità civili, dai leader tradizionali e delle altre religioni. Dopo cena, abbiamo preparato la Messa del Natale, spiegando il significato della festa, insegnando alcuni canti e mostrando concretamente come si celebra la Messa del giorno dopo con musica, canti, candele, incenso e una processione alla quale partecipano tutti. Il giorno di Natale che era una domenica, abbiamo celebrato la Messa, alla presenza delle autorità di Wazà, molti giovani e gente del posto. Una cerimonia e una festa così solenne non l’avevano mai vista.

 

Dopo pranzo si è visitato un villaggio a 15 km dal centro chiamato Tagawa, con abitanti tupurì e massà. Hanno partecipato i giovani di Wazà e Kousserì e alcuni funzionari locali e abbiamo entusiasmato il villaggio con animazioni nella loro lingua e subito dopo parecchie famiglie hanno espresso il desiderio di diventare cristiane. Il leader locale dell’islam ha incoraggiato la gente a costruire una cappella per pregare assieme, cosa che poi abbiamo fatto! Il lunedi siamo andati a visitare altri due villaggi: Jiguina (15 km) con una sola famiglia cattolica e tutti gli altri musulmani;  nel secondo, Madà (a 5 km), c’era una donna protestante. In ambedue i villaggi abbiamo presentato il Vangelo, insegnando il Padre Nostro. Il giorno dopo abbiamo visitato il villaggio di Bonderi con un programma simile, ma questo villaggio è composto di 50 famiglie di religione tradizionale e alcune famiglie cristiane di cui tre cattoliche e 1 protestante che desidera entrare nella famiglia cattolica. In questo villaggio c’era più tempo e abbiamo benedetto le capanne e visitato i malati e la gente ha espresso il desiderio di avere una presenza regolare del sacerdote. L’ultimo giorno abbiamo ancora celebrato la Messa a Wazà attirando molte persone e famiglie e poi abbiamo chiuso il Campo con la promessa di farne un altro per Pasqua.

 

Questi cinque giorni sono stati molto positivi, sia per l’entusiasmo dei giovani locali e di quelli che mi accompagnavano da Kousserì, sia perché si è dimostrata importante la presenza del seminarista della diocesi di Yagoua, mandatoci del suo vescovo, che durante tutto il tempo di permanenza ha guidato la preghiera della sera e il Rosario, facendo una piccola catechesi quotidiana ai giovani presenti. Proprio questi giovani locali hanno preparato la nostra venuta provvedendo al nostro vitto e alloggio nel miglior modo possibile, in quella situazione di grande povertà.

 

Boko Aram sequestra i cinesi al lavoro

 

Nei villaggi della futura parrocchia di Wazà il governo del Camerun costruisce una strada che parte da Kousseri e va verso il Sud, anche per determinare il confine con la Nigeria. Nel 2013 sono venuti i cinesi e costruivano la strada per il governo camerunese, da nord a sud, lunga più di 1.000 chilometri; la strada passa proprio vicino alla nostra cappella e sono vissuto per molti mesi con i cinesi, che erano divisi in gruppi lungo quel tracciato. Il gruppo che era a Wazà aveva macchine grosse per lavorare, camion, ruspe, caterpillar, scavatrici, ecc. I cinesi vivevano in da case prefabbricate portate dalla Cina, le montano e poi le smontano e se le portano via e producono la loro energia elettrica.

 

Nei primi mesi del 2014, dal Parco nazionale di Wazà un giorno sono spuntati all’improvviso circa 300 uomini di Boko Aram, armati e tutti incappucciati. Hanno circondato il campo cinese e hanno portato via una dozzina di capi, direttori e tecnici, ma non i lavoratori cinesi che sono carcerati, liberati in Cina per lavorare in luoghi pericolosi. I carcerati del nostro gruppo erano circa 70, facevano i lavori più difficili e assumevano anche lavoratori locali, ma gli africani vanno poco con loro perché debbono lavorare molto e sono pagati pochissimo. Ho sentito dire che in Cina fanno questa proposta ai carcerati, se vanno a lavorare all’estero per la Cina non so quanti anni, poi sono liberi.

 

A difendere i cinesi c’erano una trentina di militari camerunesi, qualcuno di loro ha sparato ma è stato ucciso, gli altri, vedendo quella legione di guerriglieri, sono scappati. I Boko Aram, mi hanno detto la gente di Wazà, erano un vero esercito, impossibile fermarli. Per fortuna sono venuti in un giorno in cui io ero a Kousseri con i giovani cristiani, altrimenti rapivano anche noi. Mi hanno detto che hanno portato i capi cinesi nello stato nigeriano di confine dove comandano loro e fino ad oggi so che non li hanno ancora liberati. Dopo questo fatto, il superiore del Pime in Camerun e poi anche il vescovo, mi hanno detto di venir via, troppo pericoloso!

 

Il vescovo mi manda a fondare una nuova parrocchia

 

Alcuni mesi dopo, il vescovo di Yagoua mi ha mandato a fondare una parrocchia a Wagà, a circa 120 km dalla Nigeria e ai confini col Ciad, anche questo un territorio infiltrato dai Boko Aram, che nel Nord Camerun è presente ormai ovunque. E anche qui dormo nella grande chiesa di fango e paglia. Sto iniziando a prendere contatto con i villaggi animisti dove trovo alcune famiglie cattoliche che mi ringraziano di essere venuto  tra loro.

 

Sono già stato a Magà nei mesi scorsi con padre Giuseppe Parietti per vedere la situazione, ci siamo fermati qualche giorno e abbiamo girato alcuni villaggi. Mi sono fatto l’idea che è proprio una missione ad gentes, con numerosi animisti che vogliono diventare cristiani. A Magà c’è la situazione che si trova ovunque nel Nord del Camerun. La maggioranza degli abitanti (che appartengono a varie etnie o tribù) sono ancora animisti, Ciascun villaggetto o ciascuna famiglia va per conto suo e non ha alcun punto di riferimento per la vita moderna, nessun appoggio o protezione. Anche i giovani tribali, educati al culto degli spiriti del villaggio, della tribù o della famiglia, si trovano spaesati e isolati, mentre i cristiani e i musulmani hanno il Libro (Bibbia o Corano) e la Chiesa o la “umma”islamica. È inevitabile, come avviene in tutto il Nord Camerun, che si impone la scelta di una religione adatta al tempo moderni.

 

All’inizio di settembre ritorno in Camerun e vado a Magà per iniziare la parrocchia. Dovrebbero esserci  alcune centinaia di cristiani dispersi in vari villaggi, ma senza il prete residente da molti anni: non so ancora quanti sono rimasti. Ci sono anche tre suore africane che hanno iniziato una scuola primaria in muratura, costruita dalle suore canadesi. Nella loro casa le suore hanno un cappellina, ma troppo piccola per la parrocchia. Tanti anni fa c’era un missionario francese che veniva a Magà una volta al mese, aveva battezzato molti e usava quel capannone di paglia che oggi è vacillante e col tetto sforato in più parti. Dev’essere riparato, anche perché iodormo in chiesa. Per mangiare non ho nessuno, il padre canadese mangiava con le suore canadesi, ma io mangerò da solo. All’inizio mi porteranno qualcosa i cristiani del villaggio, poi cercherò qualcuno che possa farmi da mangiare, ma ci penserò quando sono sul posto. Di fame credo che non muoio e un missionario anziano mi ha detto che, all’inizio di una missione bisogna sopportare un po’ di penitenze, perché alle fondamenta di una Chiesa c’è la Croce di Gesù Cristo.

 

***

 

Fonte: http://gheddo.missionline.org/?p=1643



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco