Chi vuole avere l’ultima parola, quella che prevarrà su tutte le altre, deve parlare il linguaggio dell’amore.
In apparenza questo contrasta con la mentalità umana, ma in realtà non è così.
Guardiamo le Beatitudini dal punto di vista dell’amore:
Felice chi si fa povero per amore, perché di lui è il regno dei cieli; felice chi piange per amore, perché l’amore stesso lo consola; felice chi è mite e umile per amore, perché erediterà la terra. E potremmo dare la stessa interpretazione a tutte le altre (cf Mt 5,3-12).
Quando la nostra ultima parola è l’amore, le nostre azioni mostrano la mitezza e da esse siamo riconosciuti.
Apolonio Carvalho Nascimento
È innegabile che il mondo abbia bisogno di tenerezza, di bontà e di mitezza, perché sono le persone miti che rendono la terra e il mondo più abitabile.
La violenza infatti non si arrende alla violenza, anzi diventa fonte di continue guerre; invece si arrende alla mitezza che si concretizza nella non-violenza e nella mansuetudine, le uniche virtù dell’uomo, le quali proprio perché semplici e piccole, sono capaci di superare i conflitti più difficili.
Noi uomini non siamo naturalmente miti ma la mitezza non è affatto codardia, anzi comporta una lotta costante contro noi stessi, un continuo dominio di noi e un grandissimo coraggio.
Infatti se la viviamo e quasi ci abituiamo ad essa, diventiamo non solo “padroni” di noi stessi, ma beneficiamo e avvolgiamo come per osmosi non solo gli altri intorno a noi ma anche tutto l’ambiente.
Prima di tutto la mitezza è un profondo silenzio interiore che trasforma tutto: gli interessi, i desideri e i giudizi, educando il cuore alla clemenza e all’umiltà, assimilando le Parole e lo stile di Gesù che è quello dell’amore e del cielo, che sradica dai cuori il veleno della rabbia e della violenza e fa fiorire al loro posto la pace e la fraternità.
Per questo “essere miti” è anche saper sorridere nelle difficoltà e trovare serenità anche nei momenti di dolore, perché è l’espressione più interiore e più delicata dell’amore, diventando una continua risposta d’amore al voler esplodere dell’io e aiutandoci invece a saper perdere proprio per amore.
“Essere miti” è saper rispettare e gioire con l’altro come lui è; non solo ma, come cristiani, essere pronti a dare la vita per lui.
Per questo, secondo i maestri dello Spirito, la mitezza, con la sua presenza umile e dolce, è quella che tra i quattro elementi che formano l’universo, sceglie di vestirsi con la semplicità dell’acqua:
– come l’acqua se incontra un ostacolo, si ferma; ma se l’ostacolo si rompe, corre via serena.
– come l’acqua diventa rotonda o quadrata secondo il recipiente in cui viene messa e sa smussare tutto quello che è affilato e che può ferire.
Ancora, l’essere miti applicato ai rapporti e alle relazioni tra noi uomini, è un continuo invito a non pretendere niente dagli altri, anzi ad essere sempre pronto a fare loro casa, ad accoglierli, a sentirli fratelli, vero toccasana per far vivere tutti in un mondo di serenità e di pace.
Sentite Papa Francesco: “Essere poveri di cuore, reagire con umile mitezza, saper piangere con gli altri, cercare la giustizia con fame e sete d’amore, guardare e agire con misericordia; ecco questa si, è santità.”
E San Paolo scriveva a Tito: “Ti ricordo di non parlare male di nessuno, di evitare liti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini”.
Attenzione però, essere miti non vuol dire essere deboli e senza nerbo, ma scoprire, trovare e inventare forze insperate “altrove”, nella presenza di un amore che non viene da noi ma che ci è donato; come diceva ancora San Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.
Chiaramente non di una forza nostra, ma della forza della comunione che fiorisce naturalmente come fiore di campo intorno alle persone miti e che praticamente le rende invincibili.
Cosa ve ne pare allora concludere il passaparola di oggi, affermando con fermezza che questo passaparola di oggi, “essere miti”, è veramente l’azione più intelligente della vita?
Don Nino Carta
IL BENE NON FA RUMORE
Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra." (Mt 6,3). Gesù molte volte ha parlato di questo silenzio del bene. Lui stesso, quando faceva un miracolo, alle volte ordinava che non lo si dicesse a nessuno. Il bene si propaga nel silenzio, senza fare rumore. Al momento opportuno verrà alla luce, non come vanagloria ma come esempio per gli altri, come una luce che può aiutare le persone ad essere migliori. Allora, oggi, agire senza fare rumore, minando con il bene le strutture della società che sono contaminate dal male. Apolonio Carvalho
“L’amore tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. (1 Cor 13, 7)
Quando non capiamo cosa significa amare, questa frase di Paolo sembra assurda. Le domande che sorgono sono: Come posso perdonare qualcuno che mi offende deliberatamente? Come posso credere a qualcuno che mi ha ingannato? Come posso sperare in qualcuno che non mi ama? Come posso sopportare l’ingiustizia?
L’amore di cui parla l’apostolo è l’amore redentore di Gesù, che possiamo vivere. Non siamo degni del Suo amore, ma Lui ci ama lo stesso.
Le risposte a queste domande si trovano solo quando amiamo al di là delle offese e delle ingiustizie; quando il nostro amore copre una moltitudine di peccati, nostri e altrui.
Quando amiamo gli altri senza condannarli per i loro difetti, vediamo i nostri difetti sostituiti dalle virtù.
Guardiamo gli altri attraverso la lente dell’amore, che diminuisce i difetti e ingrandisce le virtù.
Solo l’amore può realizzare questo fenomeno.
Apolonio Carvalho Nascimento
In casa, all’università, al lavoro, nei campi sportivi, in vacanza, in chiesa, per strada, dobbiamo cogliere le varie occasioni per amare gli altri come noi stessi, vedendo Gesù in loro, non trascurando nessuno, anzi amando tutti per primi. C.L.
La Bibbia, con il suo racconto della creazione, ci insegna che solo nell’armonia con il piano di Dio la natura e l’uomo trovano l’ordine e la pace. Se l’uomo non é in pace con Dio, la terra stessa non é in pace. […] Se si scopre che tutto il creato é dono di un Padre che ci vuol bene, sarà molto più facile trovare un rapporto armonioso con la natura.[...] (Lettera di Chiara Lubich a Nikkyo Niwano – 1990, in POLI, R. e CONTE, A., Vita, salute, ambiente tra speranza e responsabilità, Cittá Nuova, Roma, 2021, pp. 32-34)
Ringraziare, rallegrarsi e vivere l’interiorità sono tre atteggiamenti che ci portano a vivere pienamente la nostra vita quotidiana e che sono intimamente legati tra loro. Qualsiasi cosa facciamo, possiamo sempre provare gratitudine per chi ci sostiene e per chi cammina con noi. La gratitudine, infatti, è un sentimento che nasce liberamente e sinceramente dal cuore e ci rende consapevoli di non essere autosufficienti. www.focolare.org
[…] Bisogna vedere Gesù in tutti, perché l’ha detto: al giudizio finale l’esame sarà questo: l’avete fatto a me, quello che di bene facciamo e quello che di male purtroppo facciamo. Quindi terza cosa: amare tutti, amare per primi, vedere Gesù nel prossimo. Ma un amore che non deve essere un amore platonico, sentimentale; un amore concreto e per essere concreto occorre, come dice Paolo, farsi tutto a tutti, farsi uno con quello che soffre, farsi uno con quello che gode, e condividere gioie, dolori, necessità. Condividere.
Allora: amare tutti, amare per primi, vedere Gesù, e poi amare concretamente. Questo è quello che possiamo fare noi, mettere nel nostro cuore l’amore vero. La chiamata è la sua parte, questa è la nostra, la chiamata è la sua parte, è compito suo.
www.focolare.org - Chiara Lubich ai giovani: puntate in alto!
Credere, infatti, è sentirsi guardati e amati da Dio, è sapere che ogni nostra preghiera, ogni parola, ogni mossa, ogni avvenimento triste o gioioso o indifferente, ogni malattia, tutto, tutto, tutto, dalle cose che noi diciamo importanti alle minime azioni o pensieri o sentimenti, tutto è guardato da Dio. E se Dio è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza. Possiamo avere allora quella confidenza che porta a parlare spesso con lui, a esporgli le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti. Ognuno di noi può abbandonarsi al suo amore, sicuro di essere compreso, confortato, aiutato. [...]
(Fonte: Confidare in Dio - 20 settembre 2004 - Chiara Lubich - Città Nuova)
[…] amare per primi, prendendo sempre l’iniziativa, senza aspettare che l’altro faccia il primo passo. Questo modo di amare ci espone in prima persona, ma, se vogliamo amare a immagine di Dio, e sviluppare questa capacità di amore che Dio ha messo nei nostri cuori, dobbiamo fare come Lui, che non ha aspettato di essere amato da noi, ma ci ha dimostrato da sempre e in mille modi che Egli ci ama per primo, qualunque sia la nostra risposta. Siamo stati creati in dono gli uni per gli altri e realizziamo questo nostro essere impegnandoci per i nostri fratelli e sorelle con quell’amore che viene prima di ogni gesto di amore dell’altro.
(Fonte: L’Arte di Amare - Chiara Lubich - Ed. Città Nuova)
[…] se sei cristiano non ti può bastare l’essere stato battezzato o qualche sporadica pratica di culto e di carità. Ti occorrerà crescere come cristiano. E ogni crescita, in campo spirituale, non può avvenire se non in mezzo alle prove, ai dolori, agli ostacoli, alle battaglie.
C’è chi sa perseverare per davvero: è colui che ama. L’amore, infatti, non vede ostacoli, non vede difficoltà, non vede sacrifici. E la perseveranza è l’amore provato.
La Madonna è il tipo della persona perseverante. Sceglie Dio da piccola, come suo unico tutto, e vi rimane fedele tutta la vita.
(Fonte: www.centrochiartalubich.org - Rocca di Papa, 26 gennaio 1979 - Parola di Vita “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19) - Chiara Lubich)
Alziamo il termometro della nostra reciproca carità. Che anche un semplice nostro sorriso, o un gesto, o un atto d’amore, o una parola, o un consiglio, o un apprezzamento, o una correzione a suo tempo, rivolti ai fratelli, rivelino la nostra prontezza a morire per loro. Che si veda il nostro amore, non certo per vanità, ma per garantirci l’arma potente della testimonianza. Spesso anche noi, come i primi cristiani, siamo in un mondo senza Dio, scristianizzato. Dobbiamo, dunque, testimoniare Gesù e lo possiamo fare nel migliore dei modi con il nostro reciproco amore.
(Fonte: Chiara Lubich - La testimonianza da dare)
Il 7 dicembre 1943 a Trento (Italia) Chiara Lubich pronunciava il suo si a Dio. Un sì che, nel tempo, si moltiplica generando una numerosa famiglia, quella del Movimento dei Focolari, formata da persone di diversi continenti, età, culture, vocazioni.
Non fu un voto, fu un “volo”. Un volo ardito come quello di Charles Lindbergh quando, per la prima volta, sorvolò l’Atlantico senza scalo. “Hai trovato la tua vocazione?”, le aveva chiesto il sacerdote vedendola tornare radiosa dal santuario di Loreto che custodisce la casa di Nazareth. “Sì”, le rispose con semplicità. “Ti sposi?”. “No”. “Vai in convento?”. “No”. “Rimani vergine nel mondo?”. “No”. Il sacerdote smarrito non aveva altre alternative da proporre. Allora? Era una quarta strada, quella che Chiara Lubich intravedeva davanti a sé. Quale? Non lo sapeva bene neppure lei, era una via nuova, che bisognava percorrere, con audacia e con coraggio.
Passano pochi anni. Sente dentro di sé una voce che le chiede: “Datti tutta a me”. Come? Dove? Non ha importanza, bisogna solo rispondere a quella voce. Il solo pensiero di darsi tutta a Dio la riempie di gioia. “Se vai per questa via non avrai una tua famiglia, insinua il sacerdote, non avrai dei figli, resterai sola nella vita…”. Sola? Finché ci sarà un tabernacolo sulla terra – si dice tra sé Chiara – non sarò mai sola. Gesù non ha promesso cento madri, cento fratelli e sorelle, cento figli a chi tutto abbandona per seguirlo? Ma in quel momento Chiara non pensa né a quello che avrebbe lasciato né a quello che avrebbe ricevuto in cambio. Sa soltanto che vuole sposare Dio. Nientemeno!
Il sacerdote si rende conto che, benché quella ragazza abbia soltanto 23 anni, avrebbe potuto spiccare un volo così ardito: è davvero decisa, sa quello che vuole. Le dà appuntamento nella cappella del collegetto. Però, le raccomanda, “passerai la notte in preghiera”, quasi una veglia d’armi, così come allora si usava. Nella sua stanzetta Chiara prende il crocifisso di famiglia, lo bacia e inizia a parlargli. Poco dopo il suo respiro si condensa sull’immagine di Gesù e lei si addormenta…
Al mattino presto veste l’abito più bello. I poveri – anche Chiara lo era – hanno sempre un vestito per la festa. Fuori la bufera, quasi qualcuno voglia trattenerla da un passo così temerario. Ella va incontro al vento e alla pioggia, decisa. Nella chiesetta è di nuovo avvolta dal silenzio. La messa, la comunione, il suo sì intero, totale, per sempre. Una lacrima, perché consapevole che un ponte crolla alle sue spalle, non sarebbe più potuta tornare indietro. Ma davanti c’è tutta la vita. Ha sposato Dio e può attendersi tutto da lui. Era il 7 dicembre 1943.
Sono passati 80 anni. Chiara Lubich non è rimasta sola. Lo Sposo l’ha fatta viaggiare con sé, spalancandole il Paradiso e rendendola partecipe delle sue bellezze, come lei stessa esclamerà più tardi: «Sposo mio dolcissimo, troppo bello è il Cielo e Tu come un divino Amante, dopo Mistiche Nozze …, mi mostri i tuoi possessi che sono miei! (…) Mio Dio, ma perché? Perché a me tanto? Perché tanta Luce e tanto Amore?». Chiara non è rimasta sola. Attorno a lei è nata una famiglia numerosa, fatta di uomini e donne di tutti i continenti, di tutte le vocazioni, di molte culture e religioni. Un sì fecondo il suo, perché Dio non si lascia mai vincere in generosità.
Dopo 80 anni quel “sì” si è moltiplicato e risuona ancora oggi, in mille modi. Infuriano le tempeste, il futuro appare incerto, il “volo” può somigliare a un salto nel buio, la paura paralizza… Eppure quella voce continua a farsi sentire in tanti, ora appena tenue ora forte: “Datti tutta a me, datti tutto a me…”. Come? Ognuno lo scopre lentamente, ma ogni chiamata richiede subito un sì generoso. Può essere un sì titubante e timido o deciso, un sì piccolo piccolo o grande grande… Basta che sia un sì, sincero, autentico… Così Dio continua a farsi presente nel mondo e a costruire la sua storia che sboccerà nel Regno dei cieli.
Padre Fabio Ciardi, OMI
SIGNORE, ho capito: sto arrivando ! E' il mio povero corpo che, avanzando negli anni e stanco di fatiche, incomincia a dar segni che presto non ne potrà più. Sento che i sensi si indeboliscono e si rallentano i riflessi. Si altera il ritmo del sonno e del lavoro. E' tutto il mio fisico che mi dice che il cammino sta arrivando al suo traguardo e che stiamo per entrare nella retta finale.
Però l'anima non si sta accasciando. Anzi, rimonta al cielo con più vigore e forza, e arriva più spedita a Te! E' incominciato lo sdoppiamento. Fino ad ora corpo e anima tiravano, più o meno alla pari. D'ora in poi non più. Ognuno seguirà per conto suo, verso il suo ultimo destino. Il corpo verso terra e l'anima verso Dio. Il corpo sempre più pesante e l'anima sempre più leggera. Il corpo con le gambe sempre più deboli e l'anima con le ali sempre più forti, più capaci di meditazione, di preghiera, di dono, di distacco, di abbandono, di amore e di pace. E' incominciata l'ultima tappa della vita.