Blog del Koko


LAUDATO SI´, O MIO SIGNORE!

Il BLOG di "BENABE" è aperto a tutti, per aiutare reciprocamente a tendere a quel SOLO che da sempre ci aspetta per "perderci" in Lui.

Prima di cercare la pace nel mondo che ci circonda, è essenziale trovarla dentro di noi. Pratiche come la meditazione e la riflessione aiutano a calmare la mente e a coltivare un cuore pacifico.

Comprendere e rispettare le differenze tra le persone è fondamentale per costruire un ambiente in cui regni la pace. 
Esprimersi in modo chiaro e rispettoso, senza ricorrere all’aggressività, è fondamentale per risolvere i conflitti e rafforzare relazioni sane.
È fondamentale promuovere l’educazione alla pace, ai diritti umani e alla giustizia sociale. 
La pace non è solo l’assenza di guerra, ma uno stato di armonia e benessere che tutti possiamo contribuire a costruire. Le piccole azioni quotidiane, fatte con amore e rispetto, hanno il potere di trasformare l’ambiente che ci circonda e, perché non dirlo, anche il mondo.
 
Apolonio Carvalho Nascimento

 

LASCIARE SPAZIO A DIO. Ma come riconoscere la Parola di Dio e darle spazio perché viva in noi? Occorre disarmare il cuore ed “arrenderci” all’invito di Dio, per metterci in un libero e coraggioso ascolto della Sua voce, spesso la più sottile e discreta. [...]

“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”. (Cf Mt 6,33)

Lasciare spazio a Dio non significa solo dedicare del tempo alla preghiera, alla lode e all’adorazione. Queste cose sono molto importanti, ma prima dobbiamo fare spazio affinché Dio agisca nella nostra vita; dobbiamo aprire i nostri cuori e le nostre menti alla sua presenza e al suo amore.

Nel nostro servizio agli altri, apriamo un grande spazio a Dio, perché Egli preferisce l’amore misericordioso ai sacrifici.

Quando diamo spazio a Dio, egli ci riempie con le sue grazie e i suoi favori. In questo modo, non ci manca nulla, perché Lui ci dà in abbondanza tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

La nostra parte è proprio questa: fare spazio, essere un recipiente vuoto, perché lui possa riempirci di sé. E dove Dio trova spazio, riempie e trabocca, in modo da poter raggiungere tutti attraverso di noi.

Apolonio Carvalho Nascimento

 

Ci viene proposto di mettere al primo posto l’amore per il fratello, per ogni fratello e sorella, ma soprattutto per coloro con i quali lavoriamo, studiamo, viviamo. […] Nell’aiuto al fratello sono […] riassunti tutti i nostri doveri. Lo conferma una di quelle parole della Scrittura, incentrate sull’amore, che risuonano in noi in modo particolare: “Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5, 14). Se le cose stanno così, per noi tensione alla santità significa porre tutta la nostra attenzione, il nostro sforzo, nell’amare il fratello. Il cercare la santità […], per noi, non consiste tanto nel toglierci i difetti uno per uno, quanto nell’amare, nel pensare agli altri, dimentichi completamente di noi stessi. […]

www.focolare.org - Chiara Lubich: Come se fosse il primo giorno

 

L’incontro personale e profondo con Dio nella preghiera risignifica tutta la nostra esistenza. Riconoscere in Lui l’autore della grazia ci concede la possibilità di amare da figli, di perderci nel suo sguardo, fino a diventare preghiera vivente.

 

[...] ogni nostro gesto, ogni nostra parola, ogni nostro atteggiamento se impregnato d’amore, sarà come quello di Gesù. Saremo, come lui, portatori di gioia e di speranza, di concordia e di pace e cioè di quel mondo riconciliato con Dio (cf 2 Cor 5,19) che tutta la creazione attende. [...]    Chiara Lubich

 

“Che tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda”. (Cf Gv 17,21)

Prima della sua passione e morte, Gesù ha recitato una preghiera al Padre, conosciuta come il suo testamento. Questa preghiera è stata pienamente convalidata con la sua risurrezione. Da quel giorno, quindi, viviamo in un tempo di speranza, la speranza dell’unità.

E tutti sono chiamati a vivere nell’unità, perché Gesù ha pregato per tutti, ha chiesto che tutti diventassero uno in Lui, con il Padre.

Anche di fronte alla tragedia della guerra, alle catastrofi naturali, alle divisioni, viviamo ancora in un tempo di speranza, perché siamo in tanti a credere nell’unità e a dare la vita per realizzarla.

Il tempo della speranza è nel cuore di ogni persona che unisce il proprio dolore a quello del Crocifisso, affinché la redenzione del mondo diventi realtà.

Io credo! Vivo per l’unità. Vivo in un tempo di speranza.                                              Apolonio Carvalho Nascimento

 

[…] Cerchiamo di essere i primi ad amare ogni persona che incontriamo, alla quale telefoniamo, scriviamo, o con la quale viviamo. E sia il nostro un amore concreto, che sa capire, prevenire, che è paziente, fiducioso, perseverante, generoso. Ci accorgeremo che la nostra vita spirituale farà un balzo di qualità, senza contare la gioia che riempirà il nostro cuore.

 

Dobbiamo essere i primi ad amare come fa Dio; non aspettare che l’altro si faccia avanti e ti ami e faccia il primo passo; dobbiamo noi prendere l’iniziativa. Se poi altri vivono questo amore insieme a noi, ci sarà l’amore vicendevole. Esso è fondamento sicuro dell’unità del mondo; è capace di dar vita alla famiglia umana universale ,rendendo i rapporti fra persone, gruppi, popoli, tali da abbattere le divisioni e le barriere di ogni tipo, in ogni epoca. Ed è per questo amore, vissuto da persone delle più varie religioni, anche attraverso il nostro Movimento, che oggi uomini e donne di quasi tutte le nazioni del mondo stanno decisamente tentando di essere, almeno là dove si trovano, germi di un popolo nuovo, costruttori nel mondo di una sola famiglia. [...]  Chiara Lubich 

 

L’amore di Dio non può riempire un cuore che è già pieno di altre cose. Perciò, per poter essere riempiti, dobbiamo prima svuotarci.

Svuotarci di tutto ciò che non è amore: odio, risentimento, sentimenti di vendetta, invidia; svuotarci dei giudizi, dei pregiudizi.

Possiamo anche svuotarci di ciò che ci sembra buono, o almeno non ci sembra cattivo, ma che potrebbe prendere il posto di Dio nel nostro cuore.

Completamente svuotati di noi stessi, cominciamo a coltivare il desiderio di amare: amare Dio e amare il prossimo. Dopo il desiderio viene l’azione, i gesti concreti.

Quando meno ce lo aspettiamo, il nostro cuore si troverà riempito dell’amore di Dio.

Apolonio Carvalho Nascimento

 

VUOI ASCOLTARE LA VOCE DI DIO?

      Vuoi imparare ad amare? Ad amare Dio, ad amare i fratelli per Lui? Non attendere un istante, non pensare troppo, non fermarti a desiderare di amare, ma ama subito nel momento presente. Ed amare significa fare subito, ora, adesso, in questo minuto, la volontà di Dio, non la tua.

        La vita non è fatta che di attimi presenti e valgono quelli per chi vuol operare qualcosa.

       E’ il presente che conta, il momento che fugge, che per me, per te, per noi, deve essere colto al volo e vissuto bene, fino in fondo, facendo in quello ciò che Dio vuole da noi: studiare, camminare, dormire, mangiare, soffrire, godere, giocare …

     Impara ad ascoltare nel profondo della tua anima la voce di Dio, la voce della coscienza: essa ti dirà ciò che Dio vuole da te in ogni momento.

       Te la prendi col tuo prossimo? “Attenzione - ti dice la coscienza -, devi amare tutti, persino i nemici …”.

       Hai voglia di saltare nell’ora dello studio? “Attenzione - ti dice la coscienza -, giocherai con più gioia dopo, se ora farai perfettamente il tuo dovere”. E così via …

        Viviamo bene ciò che Dio vuole nel momento presente; e come un punto accanto a un punto fa la retta, così momento accanto a momento fa la vita.

                                                                                                                                                                                          * * *

[…] l’amore questo fa: quando è disinteressato chiama amore, la gente corrisponde. Allora nasce questo amore reciproco, per cui si creano degli spazi di fraternità nel mondo che sono una cosa meravigliosa oggi, con le tante divisioni, con i tanti pericoli che ci sono. C.L. 

 

[…] ogni giornata nostra deve essere come una resurrezione: sempre su, sempre pronta ad amare chiunque incontriamo senza guardare se ci piace o meno. Amare, amare, amare . Non stancarci mai di amare. Non smettere mai la nostra rivoluzione.  C.L. 

 

Chi vuole avere l’ultima parola, quella che prevarrà su tutte le altre, deve parlare il linguaggio dell’amore.

In apparenza questo contrasta con la mentalità umana, ma in realtà non è così.

Guardiamo le Beatitudini dal punto di vista dell’amore:

Felice chi si fa povero per amore, perché di lui è il regno dei cieli; felice chi piange per amore, perché l’amore stesso lo consola; felice chi è mite e umile per amore, perché erediterà la terra. E potremmo dare la stessa interpretazione a tutte le altre (cf Mt 5,3-12).

Quando la nostra ultima parola è l’amore, le nostre azioni mostrano la mitezza e da esse siamo riconosciuti.

Apolonio Carvalho Nascimento

 

È innegabile che il mondo abbia bisogno di tenerezza, di bontà e di mitezza, perché sono le persone miti che rendono la terra e il mondo più abitabile.

La violenza infatti non si arrende alla violenza, anzi diventa fonte di continue guerre; invece si arrende alla mitezza che si concretizza nella non-violenza e nella mansuetudine, le uniche virtù dell’uomo, le quali proprio perché semplici e piccole, sono capaci di superare i conflitti più difficili.

Noi uomini non siamo naturalmente miti ma la mitezza non è affatto codardia, anzi comporta una lotta costante contro noi stessi, un continuo dominio di noi e un grandissimo coraggio.

Infatti se la viviamo e quasi ci abituiamo ad essa, diventiamo non solo “padroni” di noi stessi, ma beneficiamo e avvolgiamo come per osmosi non solo gli altri intorno a noi ma anche tutto l’ambiente.

Prima di tutto la mitezza è un profondo silenzio interiore che trasforma tutto: gli interessi, i desideri e i giudizi, educando il cuore alla clemenza e all’umiltà, assimilando le Parole e lo stile di Gesù che è quello dell’amore e del cielo, che sradica dai cuori il veleno della rabbia e della violenza e fa fiorire al loro posto la pace e la fraternità.

Per questo “essere miti” è anche saper sorridere nelle difficoltà e trovare serenità anche nei momenti di dolore, perché è l’espressione più interiore e più delicata dell’amore, diventando una continua risposta d’amore al voler esplodere dell’io e aiutandoci invece a saper perdere proprio per amore.

“Essere miti” è saper rispettare e gioire con l’altro come lui è; non solo ma, come cristiani, essere pronti a dare la vita per lui.

Per questo, secondo i maestri dello Spirito, la mitezza, con la sua presenza umile e dolce, è quella che tra i quattro elementi che formano l’universo, sceglie di vestirsi con la semplicità dell’acqua:

– come l’acqua se incontra un ostacolo, si ferma; ma se l’ostacolo si rompe, corre via serena.

– come l’acqua diventa rotonda o quadrata secondo il recipiente in cui viene messa e sa smussare tutto quello che è affilato e che può ferire.

Ancora, l’essere miti applicato ai rapporti e alle relazioni tra noi uomini, è un continuo invito a non pretendere niente dagli altri, anzi ad essere sempre pronto a fare loro casa, ad accoglierli, a sentirli fratelli, vero toccasana per far vivere tutti in un mondo di serenità e di pace.

Sentite Papa Francesco: “Essere poveri di cuore, reagire con umile mitezza, saper piangere con gli altri, cercare la giustizia con fame e sete d’amore, guardare e agire con misericordia; ecco questa si, è santità.”

E San Paolo scriveva a Tito: “Ti ricordo di non parlare male di nessuno, di evitare liti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini”.

Attenzione però, essere miti non vuol dire essere deboli e senza nerbo, ma scoprire, trovare e inventare forze insperate “altrove”, nella presenza di un amore che non viene da noi ma che ci è donato; come diceva ancora San Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.

Chiaramente non di una forza nostra, ma della forza della comunione che fiorisce naturalmente come fiore di campo intorno alle persone miti e che praticamente le rende invincibili.

Cosa ve ne pare allora concludere il passaparola di oggi, affermando con fermezza che questo passaparola di oggi, “essere miti”, è veramente l’azione più intelligente della vita?      

Don Nino Carta

 
IL BENE NON FA RUMORE
 
 Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra." (Mt 6,3). Gesù molte volte ha parlato di questo silenzio del bene. Lui stesso, quando faceva un miracolo, alle volte ordinava che non lo si dicesse a nessuno. Il bene si propaga nel silenzio, senza fare rumore. Al momento opportuno verrà alla luce, non come vanagloria ma come esempio per gli altri, come una luce che può aiutare le persone ad essere migliori. Allora, oggi, agire senza fare rumore, minando con il bene le strutture della società che sono contaminate dal male.  Apolonio Carvalho

 

“L’amore tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. (1 Cor 13, 7)

Quando non capiamo cosa significa amare, questa frase di Paolo sembra assurda. Le domande che sorgono sono: Come posso perdonare qualcuno che mi offende deliberatamente? Come posso credere a qualcuno che mi ha ingannato? Come posso sperare in qualcuno che non mi ama? Come posso sopportare l’ingiustizia?

L’amore di cui parla l’apostolo è l’amore redentore di Gesù, che possiamo vivere. Non siamo degni del Suo amore, ma Lui ci ama lo stesso.

Le risposte a queste domande si trovano solo quando amiamo al di là delle offese e delle ingiustizie; quando il nostro amore copre una moltitudine di peccati, nostri e altrui.

Quando amiamo gli altri senza condannarli per i loro difetti, vediamo i nostri difetti sostituiti dalle virtù.

Guardiamo gli altri attraverso la lente dell’amore, che diminuisce i difetti e ingrandisce le virtù.

Solo l’amore può realizzare questo fenomeno.

Apolonio Carvalho Nascimento

 

In casa, all’università, al lavoro, nei campi sportivi, in vacanza, in chiesa, per strada, dobbiamo cogliere le varie occasioni per amare gli altri come noi stessi, vedendo Gesù in loro, non trascurando nessuno, anzi amando tutti per primi. C.L. 

 

La Bibbia, con il suo racconto della creazione, ci insegna che solo nell’armonia con il piano di Dio la natura e l’uomo trovano l’ordine e la pace. Se l’uomo non é in pace con Dio, la terra stessa non é in pace. […] Se si scopre che tutto il creato é dono di un Padre che ci vuol bene, sarà molto più facile trovare un rapporto armonioso con la natura.[...]   (Lettera di Chiara Lubich a Nikkyo Niwano – 1990, in POLI, R. e CONTE, A., Vita, salute, ambiente tra speranza e responsabilità, Cittá Nuova, Roma, 2021, pp. 32-34)

 

Ringraziare, rallegrarsi e vivere l’interiorità sono tre atteggiamenti che ci portano a vivere pienamente la nostra vita quotidiana e che sono intimamente legati tra loro. Qualsiasi cosa facciamo, possiamo sempre provare gratitudine per chi ci sostiene e per chi cammina con noi. La gratitudine, infatti, è un sentimento che nasce liberamente e sinceramente dal cuore e ci rende consapevoli di non essere autosufficienti.  www.focolare.org 

 

[…] Bisogna vedere Gesù in tutti, perché l’ha detto: al giudizio finale l’esame sarà questo: l’avete fatto a me, quello che di bene facciamo e quello che di male purtroppo facciamo. Quindi terza cosa: amare tutti, amare per primi, vedere Gesù nel prossimo. Ma un amore che non deve essere un amore platonico, sentimentale; un amore concreto e per essere concreto occorre, come dice Paolo, farsi tutto a tutti, farsi uno con quello che soffre, farsi uno con quello che gode, e condividere gioie, dolori, necessità. Condividere.

Allora: amare tutti, amare per primi, vedere Gesù, e poi amare concretamente. Questo è quello che possiamo fare noi, mettere nel nostro cuore l’amore vero. La chiamata è la sua parte, questa è la nostra, la chiamata è la sua parte, è compito suo.

www.focolare.org - Chiara Lubich ai giovani: puntate in alto!

 

Credere, infatti, è sentirsi guardati e amati da Dio, è sapere che ogni nostra preghiera, ogni parola, ogni mossa, ogni avvenimento triste o gioioso o indifferente, ogni malattia, tutto, tutto, tutto, dalle cose che noi diciamo importanti alle minime azioni o pensieri o sentimenti, tutto è guardato da Dio. E se Dio è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza. Possiamo avere allora quella confidenza che porta a parlare spesso con lui, a esporgli le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti. Ognuno di noi può abbandonarsi al suo amore, sicuro di essere compreso, confortato, aiutato. [...]

(Fonte: Confidare in Dio - 20 settembre 2004 - Chiara Lubich - Città Nuova)

 

[…] amare per primi, prendendo sempre l’iniziativa, senza aspettare che l’altro faccia il primo passo. Questo modo di amare ci espone in prima persona, ma, se vogliamo amare a immagine di Dio, e sviluppare questa capacità di amore che Dio ha messo nei nostri cuori, dobbiamo fare come Lui, che non ha aspettato di essere amato da noi, ma ci ha dimostrato da sempre e in mille modi che Egli ci ama per primo, qualunque sia la nostra risposta. Siamo stati creati in dono gli uni per gli altri e realizziamo questo nostro essere impegnandoci per i nostri fratelli e sorelle con quell’amore che viene prima di ogni gesto di amore dell’altro.

(Fonte: L’Arte di Amare - Chiara Lubich - Ed. Città Nuova)

 

 

[…] se sei cristiano non ti può bastare l’essere stato battezzato o qualche sporadica pratica di culto e di carità. Ti occorrerà crescere come cristiano. E ogni crescita, in campo spirituale, non può avvenire se non in mezzo alle prove, ai dolori, agli ostacoli, alle battaglie.

C’è chi sa perseverare per davvero: è colui che ama. L’amore, infatti, non vede ostacoli, non vede difficoltà, non vede sacrifici. E la perseveranza è l’amore provato.

La Madonna è il tipo della persona perseverante. Sceglie Dio da piccola, come suo unico tutto, e vi rimane fedele tutta la vita.

(Fonte: www.centrochiartalubich.org - Rocca di Papa, 26 gennaio 1979 - Parola di Vita “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19) - Chiara Lubich)

 

       Alziamo il termometro della nostra reciproca carità. Che anche un semplice nostro sorriso, o un gesto, o un atto d’amore, o una parola, o un consiglio, o un apprezzamento, o una correzione a suo tempo, rivolti ai fratelli, rivelino la nostra prontezza a morire per loro. Che si veda il nostro amore, non certo per vanità, ma per garantirci l’arma potente della testimonianza. Spesso anche noi, come i primi cristiani, siamo in un mondo senza Dio, scristianizzato. Dobbiamo, dunque, testimoniare Gesù e lo possiamo fare nel migliore dei modi con il nostro reciproco amore.

 

(Fonte: Chiara Lubich - La testimonianza da dare)

 

 

Il 7 dicembre 1943 a Trento (Italia) Chiara Lubich pronunciava il suo si a Dio. Un sì che, nel tempo, si moltiplica generando una numerosa famiglia, quella del Movimento dei Focolari,  formata da persone di diversi continenti, età, culture, vocazioni.

Non fu un voto, fu un “volo”. Un volo ardito come quello di Charles Lindbergh quando, per la prima volta, sorvolò l’Atlantico senza scalo. “Hai trovato la tua vocazione?”, le aveva chiesto il sacerdote vedendola tornare radiosa dal santuario di Loreto che custodisce la casa di Nazareth. “Sì”, le rispose con semplicità. “Ti sposi?”. “No”. “Vai in convento?”. “No”. “Rimani vergine nel mondo?”. “No”. Il sacerdote smarrito non aveva altre alternative da proporre. Allora? Era una quarta strada, quella che Chiara Lubich intravedeva davanti a sé. Quale? Non lo sapeva bene neppure lei, era una via nuova, che bisognava percorrere, con audacia e con coraggio.

Passano pochi anni. Sente dentro di sé una voce che le chiede: “Datti tutta a me”. Come? Dove? Non ha importanza, bisogna solo rispondere a quella voce. Il solo pensiero di darsi tutta a Dio la riempie di gioia. “Se vai per questa via non avrai una tua famiglia, insinua il sacerdote, non avrai dei figli, resterai sola nella vita…”. Sola? Finché ci sarà un tabernacolo sulla terra – si dice tra sé Chiara – non sarò mai sola. Gesù non ha promesso cento madri, cento fratelli e sorelle, cento figli a chi tutto abbandona per seguirlo? Ma in quel momento Chiara non pensa né a quello che avrebbe lasciato né a quello che avrebbe ricevuto in cambio. Sa soltanto che vuole sposare Dio. Nientemeno!

Il sacerdote si rende conto che, benché quella ragazza abbia soltanto 23 anni, avrebbe potuto spiccare un volo così ardito: è davvero decisa, sa quello che vuole. Le dà appuntamento nella cappella del collegetto. Però, le raccomanda, “passerai la notte in preghiera”, quasi una veglia d’armi, così come allora si usava. Nella sua stanzetta Chiara prende il crocifisso di famiglia, lo bacia e inizia a parlargli. Poco dopo il suo respiro si condensa sull’immagine di Gesù e lei si addormenta…

Al mattino presto veste l’abito più bello. I poveri – anche Chiara lo era – hanno sempre un vestito per la festa. Fuori la bufera, quasi qualcuno voglia trattenerla da un passo così temerario. Ella va incontro al vento e alla pioggia, decisa. Nella chiesetta è di nuovo avvolta dal silenzio. La messa, la comunione, il suo sì intero, totale, per sempre. Una lacrima, perché consapevole che un ponte crolla alle sue spalle, non sarebbe più potuta tornare indietro. Ma davanti c’è tutta la vita. Ha sposato Dio e può attendersi tutto da lui. Era il 7 dicembre 1943.

Sono passati 80 anni. Chiara Lubich non è rimasta sola. Lo Sposo l’ha fatta viaggiare con sé, spalancandole il Paradiso e rendendola partecipe delle sue bellezze, come lei stessa esclamerà più tardi: «Sposo mio dolcissimo, troppo bello è il Cielo e Tu come un divino Amante, dopo Mistiche Nozze …, mi mostri i tuoi possessi che sono miei! (…) Mio Dio, ma perché? Perché a me tanto? Perché tanta Luce e tanto Amore?». Chiara non è rimasta sola. Attorno a lei è nata una famiglia numerosa, fatta di uomini e donne di tutti i continenti, di tutte le vocazioni, di molte culture e religioni. Un sì fecondo il suo, perché Dio non si lascia mai vincere in generosità.

Dopo 80 anni quel “sì” si è moltiplicato e risuona ancora oggi, in mille modi. Infuriano le tempeste, il futuro appare incerto, il “volo” può somigliare a un salto nel buio, la paura paralizza… Eppure quella voce continua a farsi sentire in tanti, ora appena tenue ora forte: “Datti tutta a me, datti tutto a me…”. Come? Ognuno lo scopre lentamente, ma ogni chiamata richiede subito un sì generoso. Può essere un sì titubante e timido o deciso, un sì piccolo piccolo o grande grande… Basta che sia un sì, sincero, autentico…  Così Dio continua a farsi presente nel mondo e a costruire la sua storia che sboccerà nel Regno dei cieli.

Padre Fabio Ciardi, OMI

 
 
RICORDANDO padre UMBERTO
 
 
SIGNORE, ho capito: sto arrivando ! E' il mio povero corpo che, avanzando negli anni e stanco di fatiche, incomincia a dar segni che presto non ne potrà più. Sento che i sensi si indeboliscono e si rallentano i riflessi. Si altera il ritmo del sonno e del lavoro. E' tutto il mio fisico che mi dice che il cammino sta arrivando al suo traguardo e che stiamo per entrare nella retta finale.
Però l'anima non si sta accasciando. Anzi, rimonta al cielo con più vigore e forza, e arriva più spedita a Te! E' incominciato lo sdoppiamento. Fino ad ora corpo e anima tiravano, più o meno alla pari. D'ora in poi non più. Ognuno seguirà per conto suo, verso il suo ultimo destino. Il corpo verso terra e l'anima verso Dio. Il corpo sempre più pesante e l'anima sempre più leggera. Il corpo con le gambe sempre più deboli e l'anima con le ali sempre più forti, più capaci di meditazione, di preghiera, di dono, di distacco, di abbandono, di amore e di pace. E' incominciata l'ultima tappa della vita.

“SIGNORE, ho capito, sei Tu che mi chiami. Va benissimo. Ti rispondo di sì: che accetto, ci sto! Mentre il corpo tira verso il basso, l'anima continui, o Signore, la sua salita verso Te … e quando il corpo toccherà il fondo e rimarrà inerte dove la morte lo coglie, l'anima raggiunga tra le Tue Braccia la cima del suo destino con Te, come luce nella Luce! ECCOMI a TE : sono a Tua Disposizione!”.

 

[…] Dio ci ama in tutti i momenti, anche in quelli più difficili, «ha effuso abbondantemente nei nostri cuori il suo Spirito come artefice, come garante, proprio perché possa alimentare dentro di noi la fede e mantenere viva questa speranza e questa sicurezza: “Dio mi ama”, anche se è un momento difficile, anche se ho fatto qualcosa di cattivo, ripetiamolo come preghiera, “sono sicuro che Dio mi ama”. (Papa Francesco)



 

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Messaggio Cristiano
DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV AI PARTECIPANTI AL GIUBILEO DELLE CHIESE ORIENTALI

Aula Paolo VI
Mercoledì, 14 maggio 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la pace sia con voi!

Beatitudini, Eminenza, Eccellenze,
cari sacerdoti, consacrate e consacrati,
fratelli e sorelle,

Cristo è risorto. È veramente risorto! Vi saluto con le parole che, in molte regioni, l’Oriente cristiano in questo tempo pasquale non si stanca di ripetere, professando il nucleo centrale della fede e della speranza. Ed è bello vedervi qui proprio in occasione del Giubileo della speranza, della quale la risurrezione di Gesù è il fondamento indistruttibile. Benvenuti a Roma! Sono felice di incontrarvi e di dedicare ai fedeli orientali uno dei primi incontri del mio pontificato.

Siete preziosi. Guardando a voi, penso alla varietà delle vostre provenienze, alla storia gloriosa e alle aspre sofferenze che molte vostre comunità hanno patito o patiscono. E vorrei ribadire quanto delle Chiese Orientali disse Papa Francesco: «Sono Chiese che vanno amate: custodiscono tradizioni spirituali e sapienziali uniche, e hanno tanto da dirci sulla vita cristiana, sulla sinodalità e sulla liturgia; pensiamo ai padri antichi, ai Concili, al monachesimo: tesori inestimabili per la Chiesa» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea della ROACO, 27 giugno 2024).

Desidero citare anche Papa Leone XIII, che per primo dedicò uno specifico documento alla dignità delle vostre Chiese, data anzitutto dal fatto che “l’opera della redenzione umana iniziò nell’Oriente” (cfr Lett. ap. Orientalium dignitas, 30 novembre 1894). Sì, avete «un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente» (S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen, 5). È significativo che alcune delle vostre Liturgie – in questi giorni le state celebrando solennemente a Roma secondo le varie tradizioni – utilizzano ancora la lingua del Signore Gesù. Ma Papa Leone XIII espresse un accorato appello affinché la «legittima varietà di liturgia e di disciplina orientale […] ridondi a […] grande decoro e utilità della Chiesa» (Lett. ap. Orientalium dignitas). La sua preoccupazione di allora è molto attuale, perché ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali.

Oltre un secolo fa, Leone XIII notò che «la conservazione dei riti orientali è più importante di quanto si creda» e a questo fine prescrisse persino che «qualsiasi missionario latino, del clero secolare o regolare, che con consigli o aiuti attiri qualche orientale al rito latino» fosse «destituito ed escluso dal suo ufficio» (ibid.). Accogliamo l’appello a custodire e promuovere l’Oriente cristiano, soprattutto nella diaspora; qui, oltre ad erigere, dove possibile e opportuno, delle circoscrizioni orientali, occorre sensibilizzare i latini. In questo senso chiedo al Dicastero per le Chiese Orientali, che ringrazio per il suo lavoro, di aiutarmi a definire principi, norme, linee-guida attraverso cui i Pastori latini possano concretamente sostenere i cattolici orientali della diaspora e a preservare le loro tradizioni viventi e ad arricchire con la loro specificità il contesto in cui vivono.

La Chiesa ha bisogno di voi. Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano! Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana! E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista.

Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti. Abbiamo bisogno di lodare e ringraziare senza fine il Signore per questo. Con voi possiamo pregare le parole di Sant’Efrem il Siro e dire a Gesù: «Gloria a te che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. […] Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali» (Discorso sul Signore, 9). È un dono da chiedere quello di saper vedere la certezza della Pasqua in ogni travaglio della vita e di non perderci d’animo ricordando, come scriveva un altro grande padre orientale, che «il più grande peccato è non credere nelle energie della Risurrezione» (Sant’Isacco di Ninive, Sermones ascetici, I,5).

Chi dunque, più di voi, può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che Papa Francesco chiamò le vostre Chiese «martiriali» (Discorso alla ROACO, cit.)? È vero: dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza! E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del Papa, ma di Cristo, che ripete: «Pace a voi!» (Gv 20,19.21.26). E specifica: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare.

Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi.

La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani – orientali e latini – che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!

E grazie, grazie a voi, cari fratelli e sorelle dell’Oriente, da cui è sorto Gesù, il Sole di giustizia, per essere “luci del mondo” (cfr Mt 5,14). Continuate a brillare per fede, speranza e carità, e per null’altro. Le vostre Chiese siano di esempio, e i Pastori promuovano con rettitudine la comunione, soprattutto nei Sinodi dei Vescovi, perché siano luoghi di collegialità e di corresponsabilità autentica. Si curi la trasparenza nella gestione dei beni, si dia testimonianza di dedizione umile e totale al santo popolo di Dio, senza attaccamenti agli onori, ai poteri del mondo e alla propria immagine. San Simeone il Nuovo Teologo additava un bell’esempio: «Come uno, gettando polvere sulla fiamma di una fornace accesa la spegne, allo stesso modo le preoccupazioni di questa vita e ogni tipo di attaccamento a cose meschine e di nessun valore distruggono il calore del cuore acceso agli inizi» (Capitoli pratici e teologici, 63). Lo splendore dell’Oriente cristiano domanda, oggi più che mai, libertà da ogni dipendenza mondana e da ogni tendenza contraria alla comunione, per essere fedeli nell’obbedienza e nella testimonianza evangeliche.

Io vi ringrazio per questo e di cuore vi benedico, chiedendovi di pregare per la Chiesa e di elevare le vostri potenti preghiere di intercessione per il mio ministero. Grazie!